60 anni dalla morte

Chi era Giovanni XXIII, il Papa Buono che fece la rivoluzione

Passò alla storia con un soprannome affettuoso ma riduttivo. Fu capace di traghettare la Chiesa nel secondo millennio e ne cambiò la storia, in sintonia con i fermenti della rivolta del ‘68

Editoriali - di Marco Boato

3 Giugno 2023 alle 11:00

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Chi era Giovanni XXIII, il Papa Buono che fece la rivoluzione

Quando papa Giovanni XXIII morì, 60 anni fa, il 3 giugno 1963, avevo ancora 18 anni ed ero alla conclusione del mio percorso liceale a Venezia (poi, nell’autunno di quello stesso anno, mi sarei trasferito a Trento a studiare nel neo-nato corso di laurea in Sociologia, che in seguito diventò una delle principali sedi del Movimento studentesco del ’68).

La sua morte fu l’ultima “lezione” di papa Giovanni

Vissi i giorni della sua finale agonia con un enorme coinvolgimento emotivo, che, da allora e ancor oggi, mi hanno fatto affrontare il pensiero della morte non come un evento angosciante, ma come un appuntamento da affrontare serenamente, quale inevitabile esito naturale della vita.

Fu questa l’ultima “lezione” e l’ultima testimonianza di una figura straordinaria, nella storia della Chiesa ma anche dell’umanità, come quella di Angelo Giuseppe Roncalli, che, partito dal piccolo borgo bergamasco di Sotto il Monte, dopo un lungo itinerario ecclesiale e diplomatico, era giunto fino al soglio pontificio, per un papato durato meno di cinque anni (1958-1963), che ha “rivoluzionato” la storia della Chiesa e ha lasciato una traccia ancora indelebile nella società mondiale.

Avevo avuto la fortuna di vivere gli anni della mia adolescenza veneziana quando Roncalli era stato, per cinque anni (1953-1958) patriarca della mia città e quando avevo, fin da ragazzo, cominciato a stringere conoscenza e poi duratura amicizia col suo segretario, don Loris Capovilla, un legame che poi mi ha accompagnato per tutta la vita, fino alla sua morte centenaria sette anni fa, il 26 maggio 2016, nominato infine cardinale da papa Francesco a 98 anni, nel 2014. Grazie proprio a Capovilla, nel 1960, insieme a mio fratello Sandro che era stato suo allievo al liceo “G.B. Benedetti” di Venezia, ebbi modo di incontrare privatamente papa Giovanni in Vaticano, in un colloquio cordialissimo, rimasto per me, allora sedicenne, indimenticabile.

La mia testimonianza su “l’Unità” nel 1968

Sono sempre stato, fin dalla giovinezza, un cattolico non integralista e francamente “anticlericale”, un cattolico democratico, ma mai un democratico-cristiano. Del resto, nella seconda metà degli anni 60 ero anche diventato redattore della rivista veneziana Questitalia, diretta da Vladimiro Dorigo, che era totalmente ispirata all’”anti-integrismo”, e poi anche, a Trento, della rivista Dopoconcilio.

Scrivendo ora su questo fortunatamente rinato quotidiano, mi torna alla mente che, nell’estate di quel fatidico 1968, avevo inviato a l’Unità una mia enfatica testimonianza su ciò che papa Giovanni aveva rappresentato per la mia generazione “ribelle” di allora. L’Unità, a qualche giorno di distanza, aveva pubblicato con evidenza il mio articolo, ma, poco dopo, Umberto Eco (che pure aveva avuto una formazione cristiana in gioventù, o forse proprio per questo) aveva pesantemente ironizzato sul mio entusiasmo per quanto la figura di papa Giovanni aveva rappresentato per la mia generazione di allora.

Avevo conosciuto da ragazzo il Roncalli patriarca di Venezia e da giovane il “papa del Concilio” e delle encicliche “Mater et Magistra” e “Pacem in terris”. Grazie anche all’amicizia con don Loris Capovilla, suo segretario per circa dieci anni, prima a Venezia e poi a Roma, ho poi avuto modo di conoscere più a fondo tutto il suo lungo itinerario e di scoprirne le radici, che poi l’avrebbero portato al pontificato più “innovativo” nella storia della Chiesa del Novecento (e non solo).

Il lungo itinerario ecclesiale di Roncalli e i sospetti di “modernismo”

Da giovane fu segretario del vescovo di Bergamo Giacomo Radini Tedeschi (di cui poi scrisse una biografia, ricordando anche favorevolmente l’episodio del lunghissimo sciopero di Ranica nel 1909) e docente di storia ecclesiastica. Erano gli anni del pontificato di Pio X e della “caccia alle streghe” del modernismo, di cui entrambi, ingiustamente, furono sospettati nel 1911 e negli anni seguenti.

Divenuto papa, Roncalli si fece consegnare il suo fascicolo personale custodito nella Congregazione concistoriale, e così scoprì le delazioni anonime di cui era stato fatto oggetto presso il cardinale De Lai, ma rilevò anche con disappunto che nello stesso fascicolo non erano contenute le lettere che lui stesso aveva all’epoca inviato per contestare i sospetti di cui era fatto oggetto (soprattutto per aver utilizzato la storia della Chiesa del francese Duchesne, poi addirittura messa all’Indice dei libri proibiti).

Poi aveva lavorato a Roma e in Italia per “Propaganda fide” (1921-1924). Successivamente era iniziata la sua “carriera” diplomatica, prima come visitatore apostolico in Bulgaria (1925-1934), quindi come delegato apostolico in Turchia e in Grecia (1935-1944) e, da ultimo, come nunzio a Parigi dal 1945 al 1952. In Turchia resta memorabile la sua opera per salvare decine di migliaia di ebrei dallo sterminio della Shoah, anche grazie alla riservata collaborazione dell’ambasciatore cattolico tedesco Franz von Papen (a favore del quale testimoniò al Processo di Norimberga, favorendo la sua assoluzione, unico tra gli imputati).

Eletto come “papa di transizione” determinò una svolta epocale

Nominato cardinale e patriarca di Venezia nel 1953, Roncalli era convinto di concludere in questo modo la sua vita e, dopo la morte di Pio XII nel 1958, durante il Conclave che ne seguì a molti suoi colleghi cardinali aveva confidato il desiderio di tornare a Venezia, per concludere lì la sua vita (allora non c’erano ancora i limiti di età, poi introdotti da Paolo VI a 75 anni). E invece, inaspettatamente, a 77 anni venne eletto papa e assunse, altrettanto inaspettatamente, il nome di Giovanni XXIII (con questo nome e numero c’era stato un antipapa all’inizio del ‘400).

Lo stesso Roncalli era stato consapevole che, considerata la sua età e la sua formazione “tridentina”, era stato eletto in Conclave con la convinzione di nominare un “papa di transizione”, che non avrebbe lasciato traccia per particolari innovazioni. La Chiesa del suo immediato predecessore, Pio XII, era chiusa in sé stessa, incapace di dialogare col mondo contemporaneo, irrigidita nelle prescrizioni dottrinali e nelle scomuniche (nel 1949 quella contro i comunisti, nel clima della “guerra fredda”), priva addirittura di un Segretario di Stato, per la sua volontà di accentrare al vertice tutte le decisioni. Lo stesso Montini era stato allontanato dal Vaticano e inviato alla diocesi di Milano, senza neppure nominarlo cardinale (Roncalli era convinto che, se Montini al momento del Conclave fosse stato cardinale, sarebbe stato lui eletto papa).

Il pontificato di Roncalli invece segnò una svolta radicale ed epocale nel papato, nel governo della Chiesa e nel rapporto con la società contemporanea. Sarebbe francamente riduttivo continuare a ricordarlo, come ancor oggi accade, come “il papa buono” o come “il parroco del mondo”, definizioni inadeguate a far capire sia la sua personalità, sia le profonde innovazioni che – senza nulla voler rinnegare della tradizione – ha saputo introdurre.

La più importante delle quali (ma non l’unica) è stata la quasi immediata decisione di voler promuovere il Concilio ecumenico Vaticano II, memore del fatto storico che il Vaticano I era stato interrotto dalla breccia di Porta Pia del 1870. “Papa di transizione” Roncalli lo è stato veramente. Ma una “transizione” da una Chiesa chiusa e arroccata in sé stessa ad una Chiesa aperta e plurale, capace di dialogo ecumenico, di superamento del tradizionale antisemitismo, sempre più lontana dalle intromissioni indebite nella vita politica italiana.

Dai diari del segretario Capovilla emerge l’idea immediata del Concilio

Se la prima dichiarazione ai cardinali della volontà di indire un Concilio ecumenico risale al 25 gennaio 1959, dalle agende del segretario Loris Capovilla emerge che il primo esplicito accenno alla necessità di un Concilio, per superare la crisi della Chiesa pacelliana, è annotato già alla data del 30 ottobre, due giorni dopo l’elezione (Capovilla annota “ma en passant, da storico”). Nuovamente le parole “Un Concilio?” (col punto di domanda) sono annotate da Capovilla il 2 novembre (che commenta cauto: “Grande parola.  Pare che il seme debba essere gettato. Resto muto quando alle 22 il Papa me ne parla”).

E poi nuovamente il 20 dicembre, “A proposito di Concilio!”, Capovilla, che è ancora cauto, annota il commento critico a lui rivolto da papa Giovanni: “… Solo quando avrai messo il tuo io sotto i piedi, sarai libero…”. Queste testimonianze, tratte dai diari del segretario Capovilla, dimostrano che l’idea di convocare un Concilio ecumenico era sorta in papa Giovanni subito dopo la sua elezione, ben prima dell’annuncio ai cardinali del successivo 25 gennaio 1959 (e comunque i cardinali presenti rimasero ammutoliti).

L’apertura del Concilio e la “Pacem in terris”

Il Concilio si aprì, dopo lunga preparazione, l’11 ottobre 1962, con un memorabile discorso inaugurale, scritto di pugno personalmente da papa Giovanni, che diede subito una impronta pastorale e non dottrinale, chiedendo un necessario “aggiornamento” della Chiesa e discostandosi dai ricorrenti “profeti di sventura”. Un testo ancor oggi di straordinaria attualità, così come l’ultima enciclica, dell’11 aprile 1963, “Pacem in terris”, rivolta non solo ai cattolici, ma, per la prima volta nella storia, “a tutti gli uomini di buona volontà”, con la famosa distinzione tra “l’errore” e “l’errante”, che tante polemiche suscitò negli ambienti più reazionari (dai quali fu rinominata sarcasticamente “Falcem in terris”).

Dopo la morte di Roncalli, il 3 giugno 1963, come suo successore venne eletto Giovanni Battista Montini, che ebbe il merito di riconvocare il Concilio e di portarlo a compimento l’8 dicembre 1965. Dopo di che cominciò la fase travagliata del dopo-Concilio, con quella che alcuni teologi e osservatori critici definirono una “restaurazione aggiornata”. Che si è finalmente conclusa con il pontificato di papa Francesco, il quale molte volte ha fatto riferimento alla tuttora perdurante necessità di attuare gli insegnamenti del Vaticano II.

E del resto è stato lui, nel 2014, a proclamare finalmente la santità di Giovanni XXIII. Al Concilio, all’inizio della seconda sessione nel 1963, molti vescovi avrebbero voluto una immediata proclamazione “conciliare” della santità di Roncalli, e invece sono dovuti passare ben cinquant’anni! Ma la “rivoluzione culturale” di papa Giovanni non si è mai spenta.

3 Giugno 2023

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