Lo scandalo Qatargate

Se la figlia di Eva Kaili un giorno rileggerà i giornali italiani…

Magari potrà guardare il video dell’intervista resa dal magistrato che la teneva lontano dalla madre, che si ritiene in diritto di parlare in faccia a una telecamera, mentre ingiunge all'eurodeputata di tenere la bocca chiusa.

Editoriali - di Iuri Maria Prado

6 Giugno 2023 alle 14:00

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Se la figlia di Eva Kaili un giorno rileggerà i giornali italiani…

Confesso di non sapere come la stampa belga abbia trattato il cosiddetto Qatargate e in particolare la vicenda giudiziaria di Eva Kaili. Nel Paese che organizzò la tratta dei minatori italiani, messi a vivere come bestie nelle baracche ai margini dei pozzi in cui crepavano a centinaia, sorvegliato da una giustizia che intervenne con qualche spicciolo risarcitorio, il lavoro giudiziario sulla carne di una parlamentare accusata non si capisce di che cosa potrebbe anche essere considerato come la riprova di uno zelo inquisitorio finalmente ripristinato.

E chissà, nel Paese più compromesso al mondo nell’abuso dell’infanzia e nell’assicurazione del regime di indefettibile impunità che lo presidia, chissà che impressione avrà fatto lassù l’immagine di una bambina di ventidue mesi mano nella mano del nonno, nella pioggia, minuscola e fasciata di un piumino rosa mentre copre di piccoli passi incerti il lastrico di quel cortile, lo squallore grigio su cui incombe la prigione in cui è rinchiusa la mamma. Chissà.

Ma sappiamo com’è stato trattato qui da noi il caso di quella giustizia aguzzina. Ultra-attiva e di inenarrabile sfrontatezza nel provvedimento che vieta a Eva Kaili di rendere dichiarazioni alla stampa – una misura solo più tenue ma identica in ratio e ignominia alla mordacchia imposta al bestemmiatore – qui da noi la sopraffazione giudiziaria inflitta a quella donna ha goduto per un verso dell’attenzione della destra in orgasmo per una Mani Pulite europea che scoperchiava il paiolo della malversazione progressista, e per altro verso ha trovato riscontro nella remissività vigliacca di una controparte che arrivava all’affronto di dirsi “parte lesa”: lesa non da quella pubblica macellazione dei diritti degli indagati, ma dallo spiacevole e tuttavia confinato scandalo provvidenzialmente affidato a una giustizia cui si giura fedeltà collaborazionista.

Non erano importanti le implorazioni di quella madre, cui si impediva per settimane di vedere la propria figlia neppure di due anni: era importante, su un fronte, riempire pagine con le fotografie delle borse piene di soldi a dimostrazione che la sinistra è sporcacciona; ed era importante, sull’altro fronte, produrre le prove della specchiatezza progressista ingiustamente messa in dubbio dalla propaganda che strumentalmente indugiava su poche mele marce.

Un torbido e gravissimo attentato all’effettività del potere rappresentativo comunitario, che si consumava nel sacrificio spettacolare dei diritti dei suoi esponenti e che ora si reitera nell’intimazione al silenzio rivolta a una signora che la giustizia si è costretta a liberare, era elevato al rango del mirabile repulisti che restituisce onore, via servizi segreti, a quell’istituzione assediata dall’affarismo corruttore. Questo si è fatto qui da noi. Con sparute eccezioni, certo: ma così, qui da noi, abbiamo seguito e rappresentato quella vicenda.

Cresciuta, quella bambina potrà darsi a una rassegna stampa degli editoriali quaggiù incarogniti sulla madre malandrina beccata con tutti quei soldi, che se l’hanno messa in galera qualcosa avrà pur fatto; potrà apprezzare gli sconsolati commenti a braccia allargate perché quella povera figlia non aveva colpe, ma la giustizia doveva pur fare il suo corso. E magari potrà guardare il video dell’intervista resa dal magistrato che la teneva lontano dalla madre, il magistrato che si ritiene in diritto di parlare abbondantemente, in faccia a una telecamera, mentre ingiunge a Eva Kaili di tenere la bocca chiusa.

6 Giugno 2023

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