Lettera a L'Unità
Faccio il ministro della difesa ma cerco di ispirarmi a don Milani
Caro direttore,
leggo e apprezzo il tuo giornale, una vera temeraria sfida, quella di rilanciare l’Unità, e su carta, di questi tempi. Dovessi dirti che sono d’accordo con tutte le battaglie e i temi che sollevi mentirei. Su una di certo sì, il garantismo. Ma non è di questo che volevo parlarti. Vedi, proprio sull’Unità trovo interviste e commenti interessanti sulla guerra e sul conflitto in Ucraina. Voi dell’Unità chiedete, giustamente, la pace, auspicate una mediazione da parte vaticana (la auspico anche io a tal punto che ho messo a disposizione di sua eminenza, il cardinale Zuppi, il mio ministero, la mia persona, le mie relazioni, per arrivare a un risultato soddisfacente per tutti).
Però, vedete la partita in modo un po’ squilibrato. Non si può chiedere la pace all’Ucraina senza l’abbandono e la rinunzia ai territori che la Russia ha occupato, il riconoscimento che l’invasione è stato un atto illegittimo, in violazione di ogni norma internazionale, che ha causato danni e sofferenze indicibili alle popolazioni civili. Stabilito che credo che il solo tentativo di mediazione serio, in campo e che bisogna aiutare in tutti i modi sia proprio quello di Zuppi e del Vaticano, resta il punto: “Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra diseguali”.
- Una volta c’era Don Milani, ora ci sono Valditara e Crosetto
- Chi era Lorenzo Milani, l’uomo del futuro nato cento anni fa
- Lettera di Don Milani ai cappellani militari: “Virtù non è dire ‘Patria’, virtù è disobbedire”
- Mattarella e la lezione di Don Milani: “Merito è dare nuove opportunità a chi non ne ha”
Immagino già un vecchio pacifista come te che sobbalza sulla sedia: ma come, Crosetto che mi cita don Milani?! Eh sì, non solo perché ricorrono i cento anni dalla nascita, questa frase di don Lorenzo Milani, tratto dal suo pamphlet più famoso, Lettera a una professoressa, mi frulla in testa da giorni. La citazione, come ben sai, si riferisce, principalmente, al mondo della scuola. Proprio ieri, il Capo dello Stato, ricordando don Milani, ha detto che “La scuola è di tutti, deve essere di tutti. Una scuola che seleziona distrugge la cultura. Il merito non è l’amplificazione del vantaggio di chi già parte favorito”. Per Mattarella, sulla scorta del pensiero di quel “prete scomodo”, riabilitato solo di recente dalla Chiesa, “è dare nuove opportunità a chi non le ha”. Per farlo, come sa chi fa politica, sovviene un’altra riflessione di don Milani: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”.
Partendo dal concetto di equità, don Milani vuole sottolineare come sia importante dare a tutti le stesse possibilità, ma ‘non’ attraverso gli stessi strumenti. Ognuno di noi ha le proprie caratteristiche e il proprio modo di essere e tutti abbiamo il diritto di imparare e di diventare chi vogliamo, tuttavia la scuola non deve uniformarsi e creare un codice o delle regole da usare per tutti allo stesso modo, in quanto, essendo composta da individui differenti deve cercare di integrare tutti. L’esempio più concreto, è ovvio, riguarda le disponibilità economiche: proponendo agli studenti di comprare un libro costoso, saranno avvantaggiati quelli provenienti da famiglie benestanti e chi non proviene da un ceto elevato si sentirà escluso perché impossibilitato ad averlo.
Insomma, don Milani ce l’aveva con il sistema scolastico che creava (oggi le cose sono molto diverse) una vera e propria gerarchia sociale. Sempre Don Milani fa questo paragone: la scuola è un ospedale che cura i sani e respinge i malati, ma perdendo gli ultimi la scuola non è più scuola. Se ci pensi, però, le parole di don Milani si possono prendere e traslare sul piano politico, diplomatico e internazionale: l’Ucraina è la parte debole, aggredita, invasa (tanto che viene aiutata dall’Occidente, democrazie libere e basate sul consenso e il gioco democratico, non autocrazie), la Russia è la parte forte, l’aggressore, l’invasore. Non si possono, cioè, fare parti uguali tra diseguali, neppure nei rapporti tra le Nazioni…
Naturalmente, citando don Milani, potrei subire facilmente la critica di appropriarmi del pensiero di un autore famoso, anche, per il suo pacifismo e il suo antimilitarismo. Come racconta l’Unità, don Milani è stato davvero “l’uomo del futuro” perché la rivoluzione l’aveva fatta innanzitutto dentro se stesso, prima ancora che fuori. Quando morì a 44 anni di leucemia, sul suo capo pendeva ancora una sentenza di condanna per apologia di reato (obiezione di coscienza), poi passata in giudicato, quindi estinta, per la morte del ‘reo’.
Sto parlando della Lettera ai cappellani militari toscani di don Milani, uno dei documenti poi raccolti nel volume intitolato L’obbedienza non è più una virtù; insieme alla successiva Lettera ai giudici (l’autodifesa al processo in cui fu imputato proprio per aver scritto quella lettera), che costituisce uno dei grandi testi a sostegno dell’obiezione di coscienza contro ogni guerra, contro ogni esercito, contro ogni uccisione. Per don Milani non esistono guerre ‘giuste’. Non ne ravvisa la possibilità neppure nella Costituzione, che amava tanto: si riferisce, all’art. 11 (L’Italia ripudia la guerra, ma consente alle limitazioni di sovranità etc.) e all’art. 52 (difesa della Patria). Non sono, ovviamente, d’accordo. Le guerre ‘giuste’ (quelle per la difesa della Patria, come la lotta di Liberazione, e quelle per stabilire un ordine internazionale democratico, libero, pacifico, come la lotta al terrorismo, agli Stati canaglia, o quella di autodifesa dell’Ucraina) esistono eccome. Ma capisco e rispetto la posizione di un pacifismo ‘totale’, ‘intransigente’ e che rifiuta la guerra combattuta con ogni mezzo e per qualsiasi fine.
Rispetto molto meno partiti e giornali (non farò nomi) che, fino a ieri, quando erano al governo o appoggiavano partiti al governo, approvavano a occhi chiusi l’aumento delle spese militari e l’invio di armi all’Ucraina mentre, oggi, che sono all’opposizione, si sono ‘riscoperti’ pacifisti integrali, integerrimi, totali. Ridicoli… Resta che le parole e i libri di don Milani sono alla base dell’introduzione, anche in Italia, del diritto all’obiezione di coscienza, portato a dama da un deputato radicale morto di recente, Roberto Cicciomessere, protagonista, anche sul piano personale, della battaglia per introdurre l’obiezione di coscienza in Italia (legge dal 1972), che fu obiettore quando era impossibile esserlo e che finì anche detenuto in un carcere militare. Oggi, l’esercito di leva, da molti decenni, non esiste più. Abbiamo forze armate professionali e composte da professionisti che scelgono – bontà loro! – sacrificando molto della loro vita privata, di servire per difendere la Patria in Italia e fuori.
E proprio su questo tema, sulle nostre missioni militari all’estero, vorrei spendere due parole. Vedi, caro direttore, ovunque vanno le nostre Forze Armate, nei paesi stranieri in cui svolgono operazioni di peaceforcing e di peacekeeping, vengono trattate e vissute come ‘amici’, non come stranieri ‘invasori’. E’ il modello italiano che, nato nell’operazione militare in Libano, ormai fa scuola in mezzo mondo. Il mio compito, quello che mi sono prefisso, è di connettere, sempre di più, l’azione dei nostri militari con quella dei territori e delle popolazioni in cui operano, nel rispetto e nella gratitudine di tutti. La mia idea, un’idea ‘nuova’ per l’impiego delle nostre Forze Armate, è quella di aiutare i Paesi stranieri dilaniati da guerre civili, lotte intestine, terrorismi di varia natura, spesso privati dei più elementari diritti di democrazia, libertà, crescita economica e sociale, a crescere e svilupparsi. Fare in modo, cioè, che i nostri soldati – che rischiano la vita ogni giorno in luoghi lontani – siano, al contempo, portatori di pace e stabilità, sicurezza e ordine, ma anche di crescita sociale, economica, civile. Che lascino qualcosa di loro (e di noi, dell’Italia) ovunque operino. Che aiutino quei Paesi a costruire case, scuole, ospedali, che esaltino le potenzialità economiche e sociali delle classi più umili in uno sviluppo armonioso.
Condizioni che, purtroppo, in troppi teatri esteri, solo la presenza militare può davvero garantire. Penso soprattutto all’Africa, a quel grande continente, dove non a caso il governo Meloni ha lanciato un importante e serio ‘Piano Mattei’: vuol dire aiutare quei paesi a sviluppare ricchezza e non a depredarla, sottrarli all’influenza delle autocrazie (Russia e Cina) e incamminarle verso un percorso democratico e di crescita economica. Non come hanno fatto, per troppi secoli, molte potenze occidentali, ma come sappiamo fare noi. Il ‘piano Mattei’ e il ‘modello italiano’ è questo.
Giustamente, sul tuo giornale, il ricordo di don Milani inizia con una foto famosa in cui si vede il prete di Barbiana, già sofferente, mentre tiene in braccio un bambino africano, figlio di una coppia congolese che era andata a trovarlo. In Lettera a una professoressa (1966) farà lui stesso una folgorante riflessione al riguardo: «In Africa, in Asia, nell’America latina, nel Mezzogiorno, in montagna, nei campi, perfino nelle grandi città, milioni di ragazzi aspettano d’essere fatti uguali. Timidi come me, cretini come Sandro, svogliati come Gianni (lo scolaro svantaggiato di Barbiana, n.d.r.). Il meglio dell’umanità». Ti sembrerà curioso o strano, ma il lavoro del governo, in Italia come in Africa come altrove, mira proprio a questo: fare ‘uguali’ cittadini, nazioni, continenti. Proprio perché fare le parti uguali fra diseguali vuol dire commettere l’ingiustizia maggiore.