Le ricadute della riforma

I rischi di un Quirinale “politico”: così la svolta presidenzialista comprometterebbe la legittimità del Capo di Stato al Csm

Editoriali - di Alberto Cisterna

25 Maggio 2023 alle 18:30 - Ultimo agg. 26 Maggio 2023 alle 12:20

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I rischi di un Quirinale “politico”: così la svolta presidenzialista comprometterebbe la legittimità del Capo di Stato al Csm

In un recente intervento (Il Dubbio, 18 maggio) un giurista di valore come Nello Rossi ha delineato in modo chiaro quali siano le possibili ricadute negative di una riforma per via presidenziale o semipresidenziale dell’assetto costituzionale in atto. In particolare, l’intervento di Rossi punta a segnalare la grave fibrillazione che si avrebbe nella collocazione costituzionale del Csm se un inquilino del Quirinale, eletto direttamente dal popolo, continuasse ad averne la presidenza in continuità con il vigente disposto della Carta.

La perdita di neutralità politica del capo dello Stato, è la tesi corretta, comprometterebbe la sua legittimazione a presiedere l’organo di autogoverno della magistratura. La questione è nota ai riformatori che sono all’opera in questa legislatura e, in effetti, il contributo di Rossi ricorda l’esistenza di progetti di legge costituzionale che trasferiscono al presidente della Cassazione la funzione di presiedere il consesso di Palazzo dei marescialli. Si potrebbe obiettare che il declassamento costituzionale del Csm, per effetto di una così rilevante capitis deminutio, potrebbe trovare adeguata compensazione nella designazione direttamente a opera del Parlamento, e a maggioranza particolarmente qualificata (3/5), del suo presidente.

In fondo si tratterebbe di adeguare la procedura in atto – la quale prevede che sempre e comunque il vice-presidente del Csm sia eletto tra i componenti laici dell’organo, ossia tra quelli di estrazione parlamentare – muovendo dalla semplice constatazione che per decenni la funzione presidenziale nella direzione dei lavori del Consiglio è stata sempre esercitata con grande moderazione e che un potere di moral suasion, sia pure dall’esterno dell’organo, dovrebbe comunque attribuirsi a un Quirinale a forte legittimazione politica ed elettorale.

La sostituzione del Capo dello Stato con un presidente del Csm di estrazione parlamentare, peraltro, omologherebbe l’organo di autogoverno alla Corte costituzionale che parimenti conosce un meccanismo di designazione inter pares del proprio presidente e del cui prestigio e della cui autonomia nessuno ha mai seriamente discusso. Si potrebbe sostenere che la più accentuata autosufficienza della Consulta rinvenga la propria ragion d’essere nella funzione giurisdizionale che le compete peraltro al rango più alto, quello della giustizia costituzionale, con le sue importanti ricadute nelle decisioni di tutte le magistrature del paese titolari del potere di rimessione alla Corte delle questioni di costituzionalità. Ma questo è invero un pregio irripetibile che la composizione “mista” della Consulta presenta rispetto ad altri organi costituzionali o di rilevanza costituzionale. La provenienza paritaria dei suoi componenti per elezione delle magistrature, per designazione presidenziale e per nomina parlamentare ne esalta l’autonomia e ne connota il prestigio e l’autorevolezza rispetto a ogni altro potere dello Stato i cui conflitti è anche chiamato a dirimere.

Ma resta vero che, in effetti, un’eventuale riforma in direzione presidenzialista ponga delicati problemi nell’assetto della Repubblica, quand’anche si vada per l’opzione intermedia del premier eletto direttamente dal corpo elettorale. Non che finora, e da parecchio tempo, le elezioni non abbiano già consegnato il nome del futuro presidente del Consiglio individuato ex ante dai partiti politici tra i propri leader, ma un rafforzamento del potere esecutivo porrebbe indubbiamente l’esigenza di mantenere meglio separati i poteri dello Stato e di evitare che si costituisca un premierato politico anche per il Csm con la diretta elezione parlamentare del suo presidente.

In questo caso, tuttavia, non si vede perché si dovrebbe por mano alla vigente presidenza di Palazzo dei marescialli in capo al presidente della Repubblica che resterebbe indenne dalla modifica del meccanismo di elezione del premier. La privazione del potere di nomina del primo ministro, infatti, dimidierebbe la funzione di arbitro e di massimo garante che è assicurata oggi dalla presidenza della Repubblica, ma difficilmente intaccherebbe l’assetto della magistratura italiana. Altro è il fatto che un esecutivo rafforzato dall’elezione diretta del premier potrebbe tendenzialmente entrare più facilmente in conflitto con l’ordine giudiziario nel momento in cui volesse adoperare il peso della propria legittimazione popolare per approvare riforme incisive della giustizia.

Il check and balance che di fatto si è realizzato nella vita repubblicana degli ultimi 30 anni ha visto, come noto, un chiaro rafforzamento della funzione giudiziaria a discapito non tanto della politica tout court intesa, quanto proprio del potere esecutivo che, con grandi difficoltà, è riuscito a negoziare con la magistratura riforme di un certo peso. Sullo sfondo, e ben al di là del rilievo che assume nel dibattito in corso, resta il tema dell’assegnazione “fuori ruolo” dei magistrati al ministero della Giustizia o ad altre istituzioni di derivazione governativa.

Sabino Cassese ha di recente riproposto la questione e par lecito dubitare che un premierato di elezione diretta renda ancora compatibile questa nutrita presenza nel dicastero di via Arenula, o altrove, di giudici ordinari. L’imprimatur politico su palazzo Chigi non più di derivazione parlamentare, ma di diretta espressione popolare piegherebbe definitivamente l’intero assetto del potere esecutivo in direzione del perseguimento degli obiettivi di indirizzo politico del premier più che della sua stessa maggioranza. Il filtro della fiducia parlamentare, l’approvazione del programma di governo, la funzione di indirizzo del Parlamento giustificano ancora il “fuori ruolo” delle toghe in forza di un’investitura del Governo che trae comunque le proprie origini dal voto delle Camere. La trazione diretta con il voto popolare squarcerebbe questo sottile velo e imporrebbe una più netta e inequivoca distinzione tra i poteri dello Stato.

25 Maggio 2023

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