L'intervento alla Cei

Accoglienza, casa, lavoro e riforme: il piano Zuppi per salvare l’Italia

News - di Mons. Matteo Zuppi

24 Maggio 2023 alle 15:19 - Ultimo agg. 15 Novembre 2023 alle 10:48

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Accoglienza, casa, lavoro e riforme: il piano Zuppi per salvare l’Italia

Una delle preoccupazioni che Papa Francesco ci ha sempre rappresentato in questi anni, recentemente fino alla commozione: la pace, oggi specialmente in Ucraina con “un popolo martoriato” (cfr Regina Caeli, domenica 21 maggio 2023). Gli siamo grati per la sua profezia, così rara oggi, quando parlare di pace sembra evitare di schierarsi o non riconoscere le responsabilità. La sua voce si fa carico dell’ansia profonda, talvolta inespressa, spesso inascoltata, dei popoli che hanno bisogno della pace. La guerra è una pandemia. Ci coinvolge tutti. Nel recente viaggio in Ungheria, si è interrogato: “Dove sono gli sforzi creativi di pace?”. Lasciamoci inquietare da questa domanda, perché non rimanga solo la logica spietata del conflitto. Papa Francesco constata il deterioramento delle relazioni internazionali: “Pare di assistere al triste tramonto del sogno corale di pace – ha detto in Ungheria – mentre si fanno spazio i solisti della guerra. In generale, sembra essersi disgregato negli animi l’entusiasmo di edificare una comunità delle nazioni pacifica e stabile, mentre si marcano le zone, si segnano le differenze, tornano a ruggire i nazionalismi…

A livello internazionale pare persino che la politica abbia come effetto quello di infiammare gli animi anziché di risolvere i problemi, dimentica della maturità raggiunta dopo gli orrori della guerra e regredita a una sorta di infantilismo bellico. Ma la pace non verrà mai dal perseguimento dei propri interessi strategici, bensì da politiche capaci di guardare all’insieme, allo sviluppo di tutti…” (Incontro con le Autorità, con la Società civile e con il Corpo diplomatico, Budapest, 28 aprile 2023). È un’analisi che ci interroga. Per noi la pace non è solo un auspicio, ma è la realtà stessa della Chiesa, che germina – come il segno di pace – dall’Eucaristia e dal Vangelo. La Chiesa e i cristiani credono nella pace, siamo chiamati a essere tutti operatori di pace, ancora di più nella tempesta terribile dei conflitti. Durante la Seconda Guerra mondiale la Chiesa era tra la gente e sul territorio. Proprio tra pochi giorni ricorderemo i sessant’anni della morte di San Giovanni XXIII, che visse due guerre mondiali e attualizzò con efficacia il messaggio pacifico della fede con la Pacem in terris,  cominciando a rivolgersi agli “uomini di buona volontà”. Siamo il popolo della pace, a partire da Gesù che è la nostra pace. Lo siamo per la storia del nostro Paese, per la sua collocazione nel Mediterraneo, cerniera tra Nord e Sud, ma anche tra Est e Ovest.

Lo siamo – mi sembra – per le radici più profonde e caratteristiche del nostro popolo. Come cristiani italiani, con il Papa, siamo chiamati a una fervente e insistente preghiera per la pace in Ucraina e perché “si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace” (Pacem in terris, 91). Preghino tutte le nostre comunità intensamente per la pace! L’impegno di intercessione cambia la storia, come diceva Giorgio La Pira. C’è una cultura di pace tra la gente da generare e fortificare. Tante volte l’informazione così complessa spinge all’indifferenza, a essere spettatori della guerra ridotta a gioco. La solidarietà con i rifugiati – quelli ucraini, ma non solo – è un’azione di pace. I conflitti si moltiplicano. Penso al Sudan e al suo dramma umanitario. In un mondo come il nostro non possiamo prescindere da una visione globale. Seguire le vicende dolorose dei Paesi lontani, con la preghiera e l’informazione, è una forma di carità. Del resto la cultura della pace è un capitolo decisivo della cultura della vita, che trae ispirazione dalla fede.
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Accoglienza e natalità non si contrappongono
È stata da molti notata la crisi della famiglia. E questo non soltanto nel senso che si alzano voci sempre più pressanti di un’equiparazione dell’istituzione familiare ad altre forme di convivenza. Spesso le giovani coppie non riescono a costituire una famiglia semplicemente per la precarietà del lavoro o la mancanza di politiche di sostegno, a cominciare dalla casa. Quello della famiglia ha una ricaduta diretta su un altro tema, che ormai si presenta come una drammatica tendenza negativa pluriennale: si tratta della crisi demografica. Secondo alcuni demografi, siamo un Paese in estinzione. In questo ambito, alcune diocesi italiane hanno segnalato da tempo il problema particolarmente acuto dello spopolamento delle zone interne. Ma è tutto il Paese a soffrire una crisi e questa ha a che vedere anche con l’accoglienza di migranti e la loro inevitabile integrazione nella nostra società. Accoglienza e natalità, ha ricordato Papa Francesco, non solo non si oppongono ma si completano e nascono dal desiderio di guardare al futuro. La questione demografica e tutte le questioni sociali meritano attenzione e politiche lungimiranti. È sbagliato contrapporre o separare valori etici e valori sociali: sono la stessa cultura della vita che sgorga dal Vangelo! La cultura della vita sa che essa nasce e cresce nella famiglia e che tutto non dipende dal proprio volere soggettivo che arriva a giustificare la cosiddetta maternità surrogata, che utilizza la donna, spesso povera, per realizzare il desiderio altrui di genitorialità. Papa Francesco ha ben chiarito come natalità e accoglienza siano nello stesso orizzonte di apertura al futuro: “Non vanno mai contrapposte perché sono due facce della stessa medaglia, ci rivelano quanta felicità c’è nella società” (Discorso ai partecipanti alla III edizione degli Stati generali della natalità, 12 maggio 2023).

L’accoglienza della vita nascente si accompagna alle porte chiuse a rifugiati e migranti. È la triste società della paura. Chiudere le porte a chi bussa è, alla fine, nella stessa logica di chi non fa spazio alla vita nella propria casa. Del resto abbiamo bisogno di migranti per vivere: li chiedono l’impresa, la famiglia, la società. Non seminiamo di ostacoli, con un’ombra punitiva, il loro percorso nel nostro Paese! C’è un livello di difficoltà burocratica che rende difficile il percorso d’inserimento, i ricongiungimenti familiari, il tempo lungo per ottenere i permessi di soggiorno, mentre si trascurano i riconoscimenti dei titoli di studio degli immigrati (che pure sono un valore per la nazione) o ancora si rimanda una decisione sullo ius culturae. Intanto la regolarizzazione del 2020 attende in parte di essere ancora espletata. Non è dare sicurezza, anzi esprime la nostra insicurezza. Facciamo nostre in maniera accorata le parole del Santo Padre di fronte al naufragio di Cutro, pronunciate nell’udienza ai rifugiati giunti in Europa con i corridoi umanitari il 18 marzo scorso: “Quel naufragio non doveva avvenire, e bisogna fare tutto il possibile perché non si ripeta”. Parole gravi, dolorose e impegnative.

Lavoro e casa, per generare vita
La vita ha bisogno, per crescere e generare vita, di casa e di lavoro. Qui la centrale problematica del lavoro povero e della precarietà. La Caritas domanda “politiche di contrasto alla povertà”, le quali “richiedono interventi volti a ridurre la precarietà e il fenomeno del cosiddetto lavoro povero. Il decreto lavoro invece prevede strategie di detassazione che, seppur lodevoli, non sono configurabili come una politica dei redditi o di contrasto alla povertà. Senza dimenticare che il decreto prefigura un aumento della durata e dell’applicabilità dei contratti a tempo determinato, nonché l’ampliamento dell’utilizzo dei voucher” (Caritas Italiana, comunicato del 7 maggio 2023).

Non c’è vita degna e non c’è famiglia senza casa. Il piano della costruzione di alloggi pubblici è rimasto abbandonato da anni. Non fu così nei primi decenni del Dopoguerra. Perché l’Italia, da anni, non si fa casa ospitale per le giovani coppie e per chi non ha casa? Può essere utile la riconversione di parte del patrimonio pubblico per l’edilizia popolare. C’è un bisogno di casa a costi accessibili. La protesta degli studenti è una spia significativa di un più vasto disagio silenzioso. C’è un’Italia che soffre: i giovani, le famiglie, gli anziani, i senza casa, i precari, i poveri. La solitudine è una povertà in più. Quella delle periferie urbane, delle aree interne, parte importante – non come numero di abitanti – per l’ecologia umana e ambientale dell’Italia di domani.

Ringraziamo e incoraggiamo i cristiani, i sacerdoti e religiosi, impegnati perché nessuno sia solo: sono una risorsa meravigliosa per l’Italia, umile e spesso poco riconosciuta. L’Istat ha rilevato che in sei anni il Paese ha perso un milione di volontari, ridotti oggi a 4.600.000: un dato che ci fa riflettere anche sulla necessità di motivare in profondità l’impegno per gli altri nei nostri ambienti. La gratuità del servizio all’altro nel bisogno è un’esperienza sociale e spirituale: entrambi gli aspetti sono decisivi per farne una testimonianza profetica in un mondo dominato dalle logiche di mercato.

Anche il tema del lavoro resta ancora purtroppo al centro delle preoccupazioni di tante persone e senza che all’orizzonte si profilino ancora soluzioni strutturali. La questione coinvolge non solo l’accesso al mondo del lavoro, ma anche la dignità stessa del lavoratore, la sua giusta retribuzione, la parità di retribuzione tra uomini e donne, le garanzie sociali in caso di malattia propria o di un familiare. La Dottrina sociale della Chiesa su questi punti ha parole chiare. E fortunatamente non di rado anche i media fanno conoscere esperienze positive, come la ripartizione degli utili, la valorizzazione dei dipendenti attraverso bonus, etc.: tutte dinamiche che creano un ambiente in cui alla serenità del lavoratore seguono effetti benefici sulla produzione stessa.

Poveri e anziani, priorità che attendono risposte
Tante Conferenze Episcopali Regionali segnalano il problema dei rapporti con le autorità civili e con la politica. Le questioni locali vanno di certo affrontate in modo almeno parzialmente diverso da quelle nazionali. Con gli anni è avanzata l’idea di rivedere l’architettura della casa comune, la Costituzione repubblicana: questa ci richiama a pensarci sempre insieme agli altri. La Costituzione – come più volte ci ha ricordato il Presidente Mattarella – è ispiratrice del vivere insieme per il bene comune. Aggiornare il dettame costituzionale alle nuove esigenze del tempo è un processo che seguiamo con attenzione. Decisivo è il metodo. Per cambiare la Costituzione è necessario ritrovare uno spirito costituente, come fu nel Dopoguerra, in cui tutte le parti sentirono la responsabilità comune: non era momento di lotta politica, ma possibilità di fondare la vita politica del futuro. Un primo banco di prova, come dichiarò il Consiglio Permanente nel settembre scorso, è una legge elettorale adeguata e condivisa.

Alla disponibilità costante al dialogo e alla collaborazione leale si accompagnano le richieste pressanti di adottare politiche che abbiano un’attenzione particolare ai più deboli: non solo a quanti si trovano in uno stato di povertà economica, ma anche a quanti sono segnati dalla malattia, a quanti vedono violati i propri diritti fondamentali, a quanti attendono una sentenza giusta e celere. Aspettiamo la definizione del promettente riordino dell’assistenza degli anziani, a favore delle cure domiciliari. È un’emergenza da affrontare con visione, perché il dono della longevità sia una benedizione e non la condanna alla solitudine o alla perdita di dignità.
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24 Maggio 2023

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