Sì del Senato al ddl
Corte dei Conti, la riforma è legge: il governo svuota le funzioni dei giudici contabili e colpisce i contribuenti
Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano si è speso personalmente, assicurando che non c’è alcun spirito di “vendetta” da parte del governo Meloni nell’approvare la riforma della Corte dei Conti, ma è arduo non vedere nel ddl licenziato sabato dal Senato un intervento a gamba dura dell’esecutivo sulla magistratura contabile.
Corte dei Conti che in questi mesi in più occasioni è intervenuta su temi chiave per la maggioranza di destra: dai centri per migranti in Albania al Ponte sullo Stretto caro al ministro Matteo Salvini, fino ai progetti legati ai fondi del PNRR.
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Interventi che hanno provocato “l’orticaria” dalle parti di Palazzo Chigi, dove è fortissima l’allergia alle forme di controllo e la guerra alle toghe è ormai totale, con l’apice che si toccherà probabilmente il prossimo marzo col referendum sulla riforma della separazione delle carriere.
Per Mantovano però, come detto, “non c’è nessuna vendetta”. Perché, spiega il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ed ex magistrato, “l’iter di questa riforma parte all’incirca due anni fa. In Senato è approdata nel marzo di quest’anno, vi è stata una serie di audizioni: legarla al provvedimento della magistratura contabile sul Ponte sullo Stretto che è intervenuto poco più di un mese fa, mi sembra, per usare un eufemismo, una forzatura”.
Ma tra le pieghe della riforma appena approvata, con tale urgenza da scomodare il Senato dopo le feste e con una Manovra ancora da mandare in porto, ci sono norme che faranno storcere il naso al cittadino-contribuente.
Lo sottolinea Guido Carlino, presidente della Corte dei Conti, intervistato dal Corriere della Sera. Guardando a cosa cambia sotto il profilo della responsabilità di un amministratore, Carlino spiega che con la nuova normativa “si prevede che il soggetto riconosciuto responsabile del danno erariale per condotte gravemente colpose sia tenuto a risarcire il danno non più per l’intero ma per un importo non superiore al 30 per cento e, comunque, non superiore al doppio della retribuzione lorda”. Il resto? “Rimane a carico dell’amministrazione, e quindi della collettività, indebolendo gli effetti deterrenti della responsabilità amministrativa e incentivando una maggiore leggerezza nell’adozione di atti e provvedimenti amministrativi”.