Il libro
Maranza, perché sono il nemico perfetto e il mostro urbano finale dell’Italia securitaria: “Sono capri espiatori di ansia sociale”
Il nuovo personaggio che destabilizza "una società depressa a livello economico e demograficamente anziana, sobillata da decenni di retorica razzista e xenofoba"
Cronaca - di Antonio Lamorte
E ci voleva la Treccani a bollinare che il personaggio dell’anno, il vero POTY, non era necessariamente il leader volubile e squilibrato di qualche grande potenza in crisi, o una pervasiva entità tecnologica così potente e messianica da “niente sarà più come prima”, quanto più l’ultimo e strategico mostro urbano. Quello che anche quando non corrisponde agli identikit delle baby gang, le testate più autorevoli chiamano in causa per presunte questioni di stile. Quello che sta per entrare in una legge promossa dalla Lega: come se malessere entrasse in una legge contro la violenza di genere. Quello citato dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel suo discorso a tutto campo in chiusura di Atreju.
E grazie alla Treccani, certo, che intanto nella sua puntuale definizione – “Giovane che fa parte di comitive o gruppi di strada chiassosi, caratterizzati da atteggiamenti smargiassi e sguaiati e con la tendenza ad attaccar briga, riconoscibili anche dal modo di vestire appariscente (con capi e accessori griffati, spesso contraffatti) e dal linguaggio volgare” – tralasciava alcuni elementi non tralasciabili: il classismo, la marginalità urbana e sociale, la nazionalità straniera – anche se in effetti si tratta di italiani a tutti gli effetti nella maggior parte dei casi: difatti, non fa differenza, ai tempi della propaganda sulla remigrazione. Gabriel Seroussi ha scelto La periferia vi guarda con odio come titolo del suo libro edito da Agenzia X, una citazione del titolo di un’opera d’arte di Amir Fathi, a sua volta citazione di un graffito comparsa in Missori, Milano, nel 2015.
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Dove dieci anni fa era tutto Expo, oggi è tutta un’inchiesta e soprattutto una specie di Gotham City in mano a questo nuovo mostro urbano che Seroussi ha raccontato soprattutto tramite il rap. “Ho scelto la musica come campo di indagine – dichiara a L’Unità – perché, da una parte, nella mia esperienza personale e giornalistica è l’ambito di cui mi sono occupato di più. Dall’altra parte, perché secondo me nello sviluppo di quello che è il ‘mostro sociale’ del Maranza, di questa fobia che ho provato a raccontare nel libro, il rap ha avuto sicuramente un ruolo centrale. La musica rap, infatti, è un vettore di queste storie: negli ultimi anni racconta e rappresenta contesti marginali che lo stereotipo del Maranza e la narrazione mediatica tendono a criminalizzare. Il rap rappresenta e racconta questi contesti, quindi è centrale per comprenderli, perché è un veicolo fondamentale per capirli. Dall’altra parte, ritengo che parte della paura nei confronti della figura del Maranza nasca proprio dal successo di quest’ultima generazione di rapper, che è la prima generazione di rapper provenienti da comunità razzializzate ad aver ottenuto un grande successo”.

È un libro che ricostruisce un neologismo da Jovanotti a oggi, un fenomeno allo stesso tempo territoriale e globale, che argomenta il concetto di “marginalità avanzata”, lo storytelling crudo e controverso di rap e trap dagli esordi in Italia fino all’esplosione di Ghali – personaggio tratteggiato in termini messianici: “siamo tutti figli di Ghali” – , che rammenta la grande contraddizione dell’hustler, che mette insieme molti dati su demografia, cittadinanza, razzismo, ius sanguinis e ius soli, rap e immigrazione. Ed è un libro corale, a più voci, soprattutto di rapper di seconda generazione che come accennava l’autore offrono una prospettiva lucida e privilegiata anche se parziale. Philip, per esempio: “Io credo che il discorso sui maranza vada staccato da quello che riguarda i rapper. Artisti come Simba e Baby raccontano la loro storia […] Loro non vogliono portare la gente a fare schifo. Solo che non puoi evitare, se racconti la tua esperienza, che la gente si identifichi con altro. È come quando Saviano scrive Gomorra […] anche chi fa musica non può controllare quello che le persone si portano via”.
E ci mancherebbe, anche se Roberto Saviano non è stato arrestato. E non sarebbe la prima volta che la violenza riguardi movimenti marginali e che attraversi la separazione tra storytelling e biografie reali, specie nel rap ci sarebbero molti esempi. Allo stesso tempo è forse sottovalutato l’aspetto religioso. Si aggiungono comunque altre voci qualificate. Paolo Grassi, antropologo urbano e ricercatore universitario, spiega come le sottoculture giovanili facciano delle etichette stigmatizzanti una bandiera identitaria, intraprendano un percorso di spettacolarizzazione ed empowerment, facciano il giro e vengano addomesticate nel mainstream. E quindi: i Maranza come gli Skin, gli emo, i punk, gli hipster, i paninari, i metallari. Siamo pronti per una serie Netflix a tema Maranza insomma. Don Claudio Burgio della comunità Kayros – dalla quale sono passati Baby Gang, Saky e Simba La Rue – osserva come le rappresentazioni possano influire sulle persone anche a un livello di realtà: “Quando sei raccontato per anni come un delinquente, un violento, uno da tenere d’occhio, c’è un momento in cui rischi di diventarlo davvero”.

Questa periferia che guarda con odio si trova nel Nord Italia, sua capitale è Milano – che il centrodestra non si spiega come non governi e infatti la racconta ostaggio di una violenza apocalittica e incontrollata – : perché l’84% degli stranieri sono residenti al Nord e il 23% in Lombardia. Appena un mese fa è stato arrestato Don Alì, autoproclamato “Re dei maranza”, che aveva minacciato una fantomatica invasione del Sud. “L’ho visto come un fenomeno social, interessante perché racconta come la necessità di trovare dei mostri sociali cambi da territorio a territorio, in base alle storie e alle paure che attraversano quegli spazi. Questo è un aspetto centrale, soprattutto se pensiamo a Roma e a quanto è accaduto negli ultimi mesi nelle metropolitane romane, con le attività di Cicalone e di altri creator online che producono contenuti sulle persone che rubano in metropolitana, ergendosi a giustizieri popolari. È interessante notare che nel contesto romano il Maranza praticamente non esiste. L’oggetto, il ‘mostro sociale’ che Cicalone e chi come lui vuole costruire non è il Maranza, ma piuttosto la donna rom o sinta, oppure la comunità latinoamericana. Cambiano i soggetti che vengono presi come capri espiatori di un’ansia sociale”.
Quello dei Maranza è un racconto in corso, di un’Italia che sta inevitabilmente cambiando, dalle strade ai palazzi, destinato a destabilizzare “una società depressa a livello economico e demograficamente anziana, sobillata da decenni di retorica razzista e xenofoba”. Attraverso questo libro l’autore si è posto molte domande “sulla mia identità e sul mio posizionamento rispetto a questa storia: come giornalista, come autore, ma soprattutto come persona e come giovane uomo. Qualcuno che, in qualche modo, ha sempre avuto un piede dentro e un piede fuori rispetto a certe vicende, alla musica rap e a quel mondo. La cosa che mi ha sorpreso di più è ciò che questo lavoro mi ha restituito a livello umano e personale: raccontare storie che non sono la mia mi ha dato strumenti per comprendere meglio anche la mia storia. È qualcosa che mi è stato restituito anche da altri lettori del libro, che hanno apprezzato questa scelta collettiva e l’idea di offrire molte voci”.