Meloni ignorata da Starmer, Macron e Merz

Meloni all’angolo tra i due fuochi UE e USA: ignorata a Londra nei giorni della festa di Atreju

Ma quale agognata postazione di ponte tra Ue e Usa, la premier è rimasta con il cerino in mano e anche la sua maggioranza di governo è spaccata

Politica - di David Romoli

9 Dicembre 2025 alle 07:00

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Photo credits: Alessandro Amruso/Imagoeconomica
Photo credits: Alessandro Amruso/Imagoeconomica

Il guaio è grosso, articolato su diversi livelli, e minaccia di guastare la festa di Giorgia: non solo quella metaforica ma anche quella concreta, fatta di stand, palcoscenico e ospiti da rivista patinata: insomma Atreju. Proprio nella settimana della celebrazione ufficiale dei fasti suoi e del suo governo, sul collo della premier piomba la più pesante di tutte le tegole, una divaricazione che corre verso l’irrecuperabilità della distanza tra Usa ed Europa, un disastro a tutto campo ma concentrato con particolare urgenze sul fronte più spinoso, quello della guerra in Ucraina.

Oggi Zelensky arriva a Roma per incontrare la Meloni. I due si sono già parlati al telefono domenica pomeriggio. L’italiana ha confermato il pieno e sempiterno sostegno del suo Paese alla causa di Kiev, ha promesso prontissimo invio dei materiali necessari a riparare le infrastrutture soprattutto energetiche dell’Ucraina danneggiate dai missili e dalle bombe di Putin. Alla fine i due leader si sono dati appuntamento per oggi a palazzo Chigi, plastica messa in scena atta a confermare che tra Roma e Kiev nulla è cambiato e l’Italia è ancora un bastione del sostegno anche militare all’Ucraina. Però nella tappa centrale della nuova escursione di Zelensky in Europa, ieri a Londra, il governo italiano non c’era. Con l’ucraino c’erano Starmer, l’ospite, Macron e Merz: i leader dei Paesi guida dell’Europa. In serata, a Bruxelles, Zelensky ha incontrato il segretario della Nato Rutte e i vertici dell’Unione, il presidente del Consiglio europeo Costa e quella della Commissione von der Leyen.

La tappa “a sé” di Roma conferma la postazione autonoma di Roma, a mezza strada tra l’Europa e gli Usa. Giorgia ha bisogno di andare d’accordo con entrambe le sponde dell’Atlantico. Si è proposta come ponte e cerniera, sperava di riuscire a esserlo davvero. Per un po’ si è illusa di esserci quasi riuscita. Poi varie uscite sue oltre al dinamitardo documento sulla Sicurezza strategica nazionale del presidente, compilato in realtà dal suo vice Vance e dal segretario di Stato Rubio, hanno infranto il sogno. Trump è stato violentissimo, salvando dal suo anatema e dalla sua profezia di declino del Vecchio Continente solo i partiti “patriottici” e alcuni Paesi dell’Europa centrale, orientale e meridionale, senza citare quella occidentale. Giorgia Meloni guida il più forte tra quei partiti e il più importante tra quei Paesi. Ma le non disinteressate coccole dell’Americano non si conciliano più con gli interessi e le posizioni del resto d’Europa, che Trump ha invece trattato a sganassoni.

Ieri, dopo tre giorni di raggelato silenzio, l’Unione si è decisa a rispondere, per bocca di Costa, e lo ha fatto sullo stesso tono molto ruvido adoperato dalla Casa Bianca. “Se siamo alleati dobbiamo agire come alleati e gli alleati non interferiscono nelle scelte politiche interne dei loro alleati”. Il portoghese ha proseguito sullo stesso tono, implicitamente replicando all’accusa di Trump secondo cui in Europa non c’è più libertà di espressione: “Non ci può essere libertà di espressione senza libertà di informazione e questa non ci sarà se gli Usa manterranno il monopolio del software”. L’allusione alla multa di 140 milioni che l’Unione ha inflitto a Musk e che gli americani hanno preso come un affronto, al punto che lo stesso Musk la ha messa giù leggera: “E’ il quarto Reich”. Ma soprattutto il presidente del Consiglio ha risposto picche alla pressione americana per una celere ricomposizione dei rapporti con la Russia. Costa non concorda: “La Russia è una minaccia per le nostre fondamenta e la nostra sicurezza”.

A botta calda Giorgia Meloni aveva provato a sminuire la portata dell’affondo americano, derubricandolo a semplice illustrazione di una linea già perseguita dagli americani sin dalla presidenza Biden: un disimpegno che impone all’Europa di farsi carico da sola della propria difesa armata. Su tutto il resto dell’attacco del presidente americano, comprensibilmente, Meloni e dopo di lei Crosetto avevano cercato di glissare. Il fronteggiamento che si sta profilando potrebbe non permetterlo più. L’Italia inoltre non perde occasione per esaltare il piano di pace americano che però è in questo momento la vera prima linea dello scontro con l’Europa e con Zelensky, preso di mira ieri dallo stesso Trump proprio per non averlo ancora accolto, cedendo di fatto il Donbass a Putin.

La postazione di ponte vagheggiata da Meloni si sta così capovolgendo in quella di chi si trova tra due fuochi e in più la divaricazione geopolitica fomenta quella interna alla sua maggioranza. La posizione di Tajani: europeista, schierata con la prosecuzione dell’invio di armi a Kiev e favorevole all’esercito europeo è diametralmente opposta a quella di Salvini e parzialmente diversa anche da quella più mediana di FdI. L’interesse del partito della premier, in una fase così difficile e delicata, sarebbe esprimersi il meno possibile. Ma con Atreju di mezzo non sarà facile. Per la premier, nel comizio finale, non sarà possibile glissare su quello che è oggi il principale capitolo nell’agenda politica sua e di tutta l’Europa.

9 Dicembre 2025

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