La nuova frattura sull'Ucraina

Armi a Kiev, il decreto in bilico: Meloni si piega a Salvini, governo spaccato sugli aiuti all’Ucraina

Ufficialmente il dl è stato rimandato alla fine dell’anno perché l’agenda sarebbe troppo piena. Ma in realtà si spera che al ritorno dal Bahrein Giorgia possa convincere Salvini

Politica - di David Romoli

4 Dicembre 2025 alle 08:00

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Foto Roberto Monaldo / LaPresse
Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Il decreto per le nuove armi a Kiev sarà licenziato entro la fine dell’anno. Lo assicura il ministro degli Esteri Tajani che però sul no della Lega aggiunge un prudente “Vedremo”. Il dl che consente di inviare armi all’Ucraina avrebbe dovuto essere prorogato dal cdm oggi. Ufficialmente è slittato perché l’agenda era già troppo piena, dunque, essendoci tempo fino alla fine di dicembre era inutile costiparla ulteriormente.

La realtà è diversa: approvare il decreto subito avrebbe reso più snello e rapido il lavoro del Parlamento. Il vero problema per unanime sospetto è il no della Lega. Dovrà occuparsene la premier, al ritorno in Italia e certamente convincerà ancora una volta il suo riottoso vicepremier. Ma le costerà un po’ di fatica in più del solito e non perché la posizione di Salvini sia cambiata rispetto al passato ma perché è cambiato il contesto e il nuovo quadro rende le sue obiezioni molto più forti. Uno degli elementi che contribuiscono a modificare la situazione, rendendo ancor più tiepido un consenso popolare per gli aiuti economici e militari a Kiev che in Europa è sempre stato non molto entusiastico e in Italia quasi gelido, è il fattore corruzione. Svenarsi per rimpinguare le mazzette dei potenti ucraini corrotti è ovviamente spiacevole per tutti e il fattaccio rischia di far pendere ulteriormente la bilancia a favore di chi vuole chiudere i rubinetti che portano soldi e armi in Ucraina.

Il caso Mogherini, pur non avendo nulla a che spartire con l’Ucraina, va inquadrato in questo contesto. Nella notte la ex Alta commissaria agli Esteri è stata rilasciata dopo 10 ore di interrogatorio nel quale ha negato ogni addebito. Con lei sono tornati liberi anche l’ambasciatore Stefano Sannino e il manager Cesare Zegretti. Liberi ma indagati, sospettati ancora di frode ai danni dell’Unione negli anni 2020-21. Le accuse, peraltro tutte da provare, sono di portata limitata: sembrano più vicine al favoritismo che a un caso di vera e propria corruzione. Ma nel clima iperteso determinato dagli scandali al vertice del governo ucraino questo importa fino a un certo punto: il quadro che vedrebbe manovre comunque torbide a Bruxelles a fronte di scandali clamorosi a Kiev sembra fatto apposta per allontanare ulteriormente il consenso dell’opinione pubblica europea e italiana a farsi carico delle enormi spese necessarie per aiutare l’Ucraina.

Tanto la coincidenza sembra fatta apposta che al ministero della Difesa italiana qualche funzionario sospetta che lo sia: cioè che l’indagine, o almeno l’eccezionale rilievo mediatico che alla vicenda è stato dato dalla gestione della polizia belga, sia un gioco di sponda con Mosca. È improbabile e un bel po’ fantapolitico ma anche nel caso della pura coincidenza resta l’uso che la Russia, e anche l’Ungheria, hanno immediatamente fatto della vicenda come strumento contundente per delegittimare e indebolire la Ue e le sue istituzioni. Forse ancor più della corruzione il guaio grosso sono proprio i soldi. Senza più il cospicuo esborso americano è inevitabile cercare di mettere mano agli asset russi congelati in Europa: non solo ai profitti, che vengono già puntualmente prelevati ma all’intero malloppo. Solo che si tratta di un nodo scorsoio quasi impossibile da sciogliere. La formula sarebbe quella di un “prestito forzoso” russo all’Ucraina che Kiev dovrebbe poi restituire a pace fatta. Ma in quella restituzione non ci crede nessuno: qualcuno deve garantire il “prestito” e nessuno vuole farlo.

La Bce se ne è lavata le mani e ha avuto gioco facile perché non potrebbe farlo neppure volendo per legge. Il Belgio, dove è depositata nei forzieri della società Euroclear il grosso degli asset, 195 mld della Banca centrale russa, non vuole saperne perché teme di ritrovarsi poi con il cerino in mano. O meglio col candelotto di dinamite di un maxidebito da risarcire. I singoli Stati non hanno alcuna intenzione di impegnarsi e proprio per questo c’è stato il tentativo andato a vuoto di farsi coprire dalla Bce.

Il problema, enorme, resta irrisolto. “Il lavoro per i beni congelati si complica”, ammette Tajani e lancia una proposta la cui praticabilità è tuttavia tutta da verificarsi: “Un’ipotesi potrebbe essere l’utilizzo del Mes come garanzia”. La soluzione del rebus al momento non c’è e il tempo stringe. La proposta della Commissione dovrebbe arrivare domani. Probabilmente slitterà ma non oltre la riunione del Conisglio europeo del 18 dicembre. Un ulteriore nodo lontanissimo dall’essere sciolto è quello dell’adesione italiana al progetto della Nato detto Purl, l’acquisto di armi americane da destinare all’Ucraina. Lì la Lega punta i piedi davvero e Tajani rimanda a data da destinarsi: “Vedremo cosa conviene all’Italia. Ora il discorso è prematuro”.

Tutto questo si intreccia con una situazione di stallo diplomatico che sembra non trovare via d’uscita mentre i costi continuano a lievitare. Ieri in una giornata definita storica da von der Leyen la Ue ha deciso di rinunciare completamente al gas russo a partire dall’autunno 2027, ma non sarà un passo a buon mercato. Nel complesso è certo che per ora il sostegno europeo e italiano all’Ucraina sarà pienamente confermato. Ma con la consapevolezza che le cose non potranno proseguire così ancora a lungo.

4 Dicembre 2025

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