Lo scrittore e vaticanista

“Papa Leone in Libano può dare una scossa ad un Paese provato dalla crisi e da Hezbollah”, parla Riccardo Cristiano

“Leone troverà domenica un Paese provato dalla crisi economica e dal giogo di Hezbollah. La speranza è che il pontefice possa scuotere un popolo impoverito e rassegnato ridando forza alla voglia di cambiamento”

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

28 Novembre 2025 alle 10:00

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Photo credits: Canio Romaniello/Imagoeconomica
Photo credits: Canio Romaniello/Imagoeconomica

Il Libano e il Medio Oriente, Riccardo Cristiano li ha raccontati, frequentati, per decenni, prima da inviato e corrispondente Rai e poi da scrittore e apprezzato vaticanista. Tra i suoi libri, editi da Castelvecchi, ricordiamo Siria. L’ultimo genocidio. Così hanno vinto i nemici del dialogo; Dall’Oglio. Il sequestro non deve finire; Siria. La fine dei diritti umani; Figlio dello stesso mare. Francesco e la nuova alleanza per il Mediterraneo; Bergoglio o barbarie. Francesco davanti a disordine mondiale; Medio Oriente senza cristiani. Dalla fine dell’impero Ottomano ai nuovi fondamentalismi; al più recente Beirut. Il mosaico arabo.

Papa Leone arriva domenica in una Beirut scossa dai timori di un secondo tempo della guerra tra Israele e la milizia khomeinista di Hezbollah. Che paese trova?
La temuta reazione di Hezbollah all’eliminazione del suo “capo di stato maggiore” non c’è stata perché nelle condizioni attuali sarebbe un suicidio. Bisogna dire come stanno le cose: Hezbollah ha perso la guerra. Ma il passato pesa molto sul presente e il papa troverà un Paese molto provato, dove molti non hanno fiducia, ma si adeguano. Il primo punto è che Hezbollah è innanzi tutto un problema per il Libano. Rifacciamo brevemente la storia: nata dall’occupazione israeliana del sud del Libano negli anni Ottanta, Hezbollah, milizia khomeinista le cui decisioni politiche vengono prese dalla guida della rivoluzione iraniana, dopo il ritiro israeliano del 2000 dal sud del Libano è rimasta in armi, unica milizia armata nel Paese, le altre si sciolsero nel 1990, alla fine dei 15 anni di guerra civile. Con quelle armi nel 2005 ha ucciso il premier più amato, sunnita, Rafiq Hariri, e dopo di lui i più noti intellettuali cristiani. Nel 2008 ha occupato i quartieri sunniti, devastato la televisione del partito di Hariri. Nel 2019 il governo orientato da Hezbollah ha poi deciso di sfidare il Fondo Monetario Internazionale e puntualmente, a inizio 2020, la divisa libanese è crollata: da un tasso di cambio di 1500 lire libanesi per un dollaro, in brevissimo tempo si è precipitati fino a 110, 120 mila lire libanesi, per stabilizzarsi ora intorno alle 90mila. Il Presidente del Parlamento non portò in votazione la proposta del governo sul controllo dei capitali su pressione della Banca Centrale governata da 30 anni dalla stessa persona e così le banche e le grandi famiglie esportarono all’estero enormi capitali: 14 miliardi di dollari, in un Paese con un PIL di 50 (ora è crollato). Qui dentro emerge l’enorme responsabilità della Banca Centrale, dalla fine della guerra civile governata sempre da Riad Salame, finito in prigione e poi agli arresti domiciliari dopo un mandato d’arresto francese: riciclaggio di denaro sporco l’accusa più grave.

Con quali ricadute sulla vita dei libanesi?
Da allora il 44% della popolazione vive sotto la linea della povertà. Perché a Salame si imputa soprattutto la decisione, senza averne il potere, di bloccare tutti i conti correnti in valuta straniera, che hanno tutti i libanesi con almeno un parente all’estero, cioè quasi tutti. Centinaia di migliaia di persone si sono ritrovate quasi nullatenenti e quei soldi sono a tutt’oggi congelati, probabilmente usati per contenere il deficit. Ma non basta: il 4 agosto sono saltate per aria 2750 tonnellate di nitrato d’ammonio nascoste da Hezbollah nel porto commerciale di Beirut. Mezza città fu dichiarata inagibile. Siamo a cinque anni di distanza dal 2020. È evidente che lo Stato costruito dentro lo Stato da Hezbollah è un problema, anche perché è diventato un modello. E questo è il secondo punto: la casta. Hezbollah è un sistema assistenziale per tutte le famiglie dei combattenti, è un sistema clientelare per via della rete costruita nell’apparato statale, è un sistema di indottrinamento con la televisione confessionale, è un sistema finanziario. Questa idea di partito che occupa una comunità con un sistema totale è il modello. I partiti ormai sono tutti confessionali e operano nello stesso modo. Ma così lo Stato sparisce. La resilienza libanese così è individuale, non collettiva. C’è infatti sfiducia, rassegnazione, adeguamento. Per ripartire invece il Libano ha bisogno di tutt’altro….

Di cosa?
Di impegno per il bene comune. Lo spiega benissimo una grande psicologa, Mona Fayad: in un articolo scritto recentemente ha fatto presente ai libanesi una notizia incredibile riportata solo da un giornale libanese in lingua francese: la rimozione di una statua enorme, del peso di 11 tonnellate, divenuta simbolo mondiale di Beirut sui media di tutto il mondo, opera di Hadi Sy, che nel tempo della drammatica distruzione del porto, sulla quale mai si è potuto indagare, raffigura un uomo che allarga delle sbarre e compare, visibile, nello spazio che si è aperto. Quella statua è stata rimossa senza neanche informarne l’autore, portata nottetempo in un deposito per auto usate: era il simbolo dell’affermarsi della volontà popolare e per questo, ha scritto, è stata rimossa. Quell’uomo che compie quello sforzo enorme mi ha fatto ricordare la sua tesi su Sisifo. Da tanti ritenuto condannato a uno sforzo improbo e inutile, Mona Fayad ci ricorda che Sisifo venne trasformato da Albert Camus: “Sisifo continuò a spingere la roccia pur sapendo l’inutilità dello sforzo, perché la sua stessa consapevolezza costituiva l’atto di resistenza”. Così lei vede i libanesi sospingere ogni giorno la pietra, ma senza la consapevolezza che la rende atto trasformativo. Guardando ai giovani e ad alcune loro nuove iniziative nutre però la speranza che qualcosa stia cambiando. Il suo auspicio così è che il Papa esorti a scrollarsi di dosso la rassegnazione, dando sostanza ai vagiti del nuovo. La grande rivoluzione che auspica è questa.

È un auspicio realizzabile?
È ben noto che Leone XIV ha parlato più volte della Rerum Novarum, l’enciclica del precedente Leone, “cose nuove” di quei tempi che oggi vanno aggiornate e calate nella nuova realtà. Sono “le cose nuove” quelle che servono ad aggiornare la convivialità libanese, il bene comune a musulmani e cristiani libanesi, di tutte le 18 comunità che lo costituiscono. Così si riprenderebbe a camminare sulla strada indicata da Giovanni Paolo II nel 1997, quando venne a Beirut per dire che “il Libano è un messaggio”; lo Stato del vivere insieme c’è, esiste, ma ha bisogno della bussola del bene comune, a partire dai cuori delle persone.

È scontato che il Papa parlerà di pace. Ma cosa può fare il Libano?
Troppo facile dire che potrebbe disarmare Hezbollah per salvare se stesso. Non è facile. Va ricordato che senza i voti dei due partiti sciiti, alleati, il presidente Joseph Aoun non raggiungeva il quorum per essere eletto dal parlamento. Li incontrò privatamente e poi lo votarono. Ora gli attriti tra esercito e Stati Uniti sono noti, si pretende di più. Ma per avviare un’azione politica non basta l’esercito, serve una visione. Così la scena che cambia il racconto la possiamo vedere nell’arrivo del papa, ricevuto dai cinque patriarchi di Antiochia, che lo ricevono però a Beirut. Cosa vuol dire Antiochia? I patriarchi di Antiochia non risiedono più ad Antiochia da molto tempo, oggi è una cittadina dimenticata da tutti e distrutta dal terremoto, in Turchia. Quindi il Papa fa di Beirut la nuova Antiochia, la sede ecclesiale competente per Libano, Siria e Libano. Questo mi sembra l’orizzonte: liberarsi dalle milizie e creare una nuova amicizia tra Paesi che hanno problemi comuni, simili e potrebbero avere prospettive comuni migliori. Se il cristianesimo imboccasse questa visione ampia, non la chiusura identitaria, arroccata, si potrebbe cominciare un cammino di rinnovamento. Penso ai partiti confessionali: sono parte del problema attuale. Conservare le garanzie per le comunità è importante, ma non con partiti chiusi, settari. Si possono offrire garanzie alle comunità anche tornando ai partiti interconfessionali come è stato in passato. In questo modo si potrebbe pensare anche ad avvicinare Stati che si devono definire, riconoscere pienamente come indipendenti, avvicinati da partiti davvero politici basati su progetti e visioni. Come l’Europa dopo la Guerra Mondiale anche il Grande Levante arabo potrebbe scoprire che l’amicizia con il vicino è migliore dell’astio. Certo, la diffidenza libanese verso la Siria è profonda, ma dove guarderà il siriano al-Sharaa per i suoi commerci se non al porto di Beirut? Spingerlo a farlo da amico e non da colonizzatore come fece Assad potrebbe essere un bel compito per l’Europa.

Intanto però si va estinguendo anche la missione dell’Unifil, il mondo sembra volersi allontanare e chiudere gli occhi.
L’Unifil è stato un attore decisivo per contenere le destabilizzazioni. Ma oggi per il Libano è venuto il tempo della maggiore età: se si vuole salvare l’estremo sud del Libano dal diventare una fascia di sicurezza senza più villaggi, tutti distrutti, senza più abitanti, allontanati dalle loro terre bruciate, non c’è altra prospettiva che prenderne il controllo militare e rivendicare la piena sovranità su tutto il territorio libanese. Dunque, Hezbollah oggi è un problema anche per la salvezza del sud del Libano, dove vivono i suoi. Il Presidente Aoun esita, teme che un disarmo senza il consenso di Hezbollah, che quando fu firmato il cessate il fuoco fu fatto, possa innescare una guerra civile. Leggo che sarebbero attivati nuovi tentativi per convincere Teheran a percorrere una strada non più miliziana per i suoi alleati in Libano, Siria e Iraq. Comunque, Hezbollah avrebbe bisogno anche di incentivi a diventare finalmente un partito libanese. Faccio un esempio. Un Parlamento al 50% cristiano e al 50% musulmano è un segnale stupendo, non contano i numeri se si è partner. Ma la costituzione prevede una seconda Camera, da eleggere non per quote confessionali ma come si vota da noi. Hezbollah potrebbe pensare di trarne vantaggio con il voto confessionale al proprio partito, ma dobbiamo pensare con criteri diversi: si darebbero garanzie alle comunità e diritti agli individui. Riconciliare comunità e individuo sarebbe una novità che parla a queste nostre società frantumate, dove l’individuo è sempre più un “io sovrano” e quindi orfano.

28 Novembre 2025

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