L'intervista a Giorgio Verdelli
Perché dobbiamo chiedere scusa a Rino Gaetano: l’artista geniale, attuale, umile nel film “Sempre più blu”
A 50 anni dall'uscita di 'Ma il cielo è sempre più blu'. "Ha scritto delle canzoni d’autore meravigliose che se le avesse scritte De André, De Gregori, Fossati sarebbero tra i capisaldi della musica". Parla il regista
Cultura - di Antonio Lamorte
Abituati a vederlo con un cilindro in testa, in frack e sneakers a Sanremo, mentre accarezzava un cane in uno studio televisivo, sempre con quell’andamento dinoccolato e quella faccia un po’ così da ragazzino del Sud, ci eravamo persi qualcosa di Rino Gaetano. “Potevo fare cose molto più semplici, ma per me era una necessità fare un film su di lui perché è un artista cui la musica italiana deve chiedere scusa”, dice a L’Unità Giorgio Verdelli, regista che aveva già raccontato tra cinema e televisione Vasco Rossi, Pino Daniele, Lucio Battisti, Ezio Bosso, Paolo Conte, Enzo Jannacci e Mia Martini, e che questa volta è tornato al cinema con Sempre Più Blu, film che racconta l’artista geniale, atipico, istrionico, delicato, estroverso, incompreso.
A cinquant’anni dall’uscita dell’intramontabile Ma il cielo è sempre più blu, scritto da Verdelli e Luca Rea, prodotto da Sudovest Produzioni e Indigo Film in collaborazione con Rai Documentari, con il sostegno della Fondazione Calabria Film Commission e Ministero della Cultura, distribuito da Medusa Film, il film nelle sale per ora il 24, 25 e 26 novembre propone, più che una ricostruzione biografica, un’esplorazione alla scoperta del talento. “Ho recuperato le trasmissioni radiofoniche in cui parlava di sé e di musica. Nessuno si mette ad ascoltare 20 ore di programmi, l’ho fatto sia per curiosità che per necessità. C’è la voce di Rino che dice cos’è il suo pubblico e cos’è la vita per lui”.
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Se è vero che “vive nell’aria in Italia, la sua musica gira, fa parte di questo Paese proprio a livello paesaggistico”, come dice Lucio Corsi, è anche vero che Gaetano ha raccolto un seguito enorme anche tra giovanissimi decenni dopo la sua morte. È un caso studio. Ha contribuito senz’altro la miniserie televisiva diretta da Marco Turco e prodotta da Claudia Mori andata in onda su Rai1 per la prima volta nel novembre del 2007. Protagonista Claudio Santamaria. È il mistero di un talento unico, stroncato da una morte tragica a soli 30 anni in un incidente stradale che ripercorreva in maniera grottesca la storia de La Ballata di Renzo, una canzone degli esordi dello stesso Gaetano. Circostanza che non ha risparmiato teorie del complotto tra logge e servizi segreti. “Questa parte è da vedere, non si può spiegare, le parole non possono rendere”. Nella colonna sonora anche l’inedito Un film a colori – Jet Set, uscito lo scorso 29 ottobre per Sony Music Italy.
Perché ha deciso di raccontare Rino Gaetano?
Perché Rino Gaetano è un artista anche molto sottovalutato. Non sono mai stati fatti documentari cinematografici su di lui, molto in televisione ma anche molto approssimativo. Anche bene la fiction, Santamaria bravissimo, ma non raccontava il vero Rino Gaetano. Si è usato sempre quel repertorio televisivo in cui sembrava un clown, come dice giustamente Riccardo Cocciante nel docufilm.
In che senso?
È stato sfruttato da una televisione non brillante, tra sketch e interviste, cui lui si prestava anche perché era un bravo ragazzo. Però è rimasta soltanto questa immagine superficiale di Rino, macchiettistica. Ed è fastidioso se si conoscono le canzoni meravigliose che ha scritto.
Come ha voluto superare questa approssimazione?
Ho usato molto Rino Gaetano che parla della musica, della sua musica, delle sue idee e del modo di approcciarle e svilupparle. Ho ascoltato ore e ore di trasmissioni radiofoniche. Ho ritrovato un’intervista in cui Lucio Dalla racconta di aver raccolto sulla sua Porsche Rino Gaetano ancora sconosciuto che faceva autostop con una chitarra sulle spalle. Sentivo necessario raccontare meglio il suo talento.
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Come ha conosciuto Rino Gaetano?
Lavoravo a Radio Antenna Capri e Ma il cielo è sempre più blu mi ha subito colpito, un pezzo geniale che infatti è rimasto. Era il 1975. Non ero proprio un fan ma mi divertiva, mi piaceva molto la sua voce. L’ho conosciuto nel 1978, lo stesso anno in cui aveva portato Gianna a Sanremo (terzo alla fine del Festival, ndr), vicino Palinuro, in un villaggio turistico. Era da solo. Non l’avevo nemmeno visto quando mi dissero: ‘C’è quello che è andato a Sanremo’, ‘ma chi?’ Era lui. Anche per una questione di riservatezza non lo approcciai, venne lui da me perché facevo il disc jockey lì. ‘Ma ce l’hai dei pezzi di Bob Marley?’. Era un grande appassionato di reggae. Per almeno tre quattro sere veniva, si metteva in penombra nel gabbiotto della discoteca e spulciava i dischi. Proprio come un semplice appassionato di musica. E nacque un’amicizia. Anni dopo, in radio, mi regalò una lacca firmata, l’acetato di prova di Gianna in versione inglese, che si chiamava Gina, e che all’epoca non era stata pubblicata. ‘Così la fai sentire a Bob Marley’, mi disse con una battuta tipica delle sue. Era una persona molto autentica e umile, anche troppo. Artisti molto meno quotati di lui se la tiravano molto di più.
Com’è riuscito a convincere la famiglia a realizzare questo docufilm?
Non era mai successo, è un dettaglio che certifica il lavoro che abbiamo fatto. Hanno capito che lo conoscevo veramente, hanno scoperto che c’erano tante cose che io sapevo ma che loro non sapevano di Rino. E conoscevano quello che ho fatto.
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Perché la musica italiana deve chiedere scusa a Rino Gaetano?
Perché ha scritto delle canzoni d’autore meravigliose che se le avesse scritte De André, De Gregori, Fossati sarebbero tra i capisaldi della musica. E invece nessuno ha pensato di dedicargli un Premio Tenco, per esempio. Non viene considerato dalla musica d’autore, incredibilmente, perché ne fa parte a pieno titolo.
Quello che non gli ha dato la discografia, glielo ha restituito la gente spontaneamente. Anche se a distanza di anni, purtroppo, e ancora oggi giovani e giovanissimi lo ascoltano come un contemporaneo. Come mai secondo lei è percepito come così attuale?
Perché la sua narrazione è senza retorica. È assolutamente privo di sovrastrutture e forse questa immediatezza, quel suo linguaggio di critica sociale, è attualissimo ancora oggi. Pensa a un pezzo come Nuntereggae più. Per Lucio Dalla era quasi contropubblicità. Per Brunori la questione non è chi era Rino Gaetano, ma chi è. È su questi punti che abbiamo impostato il nostro film. Era troppo facile cominciare dalla morte, metterla più sul pietistico e macchiettistico, e invece vedo che tutti stanno parlando del talento e dell’attualità di Rino.
Chi sono gli eredi di Rino Gaetano?
Rino Gaetano ha aperto tante porte. Sicuramente Lucio Corsi, Brunori SAS ammette che i suoi primi album erano molto gaetaniani. Per assurdo anche Fabri Fibra, nell’estetica di Nuntereggae più. J-Ax lo ha spesso citato, lo hanno anche campionato con gli Articolo 31.
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