L'incubo della guerra mondiale
L’Ue nata per la pace ora è pronta alla guerra
L’abbattimento di droni russi nello spazio aereo polacco spinge Varsavia a invocare l’art.4 della Nato. La presidente della Commissione Ue, di fronte all’Europarlamento, parla di armarsi e propone un “muro antidroni”, ma deve vedersela con le resistenze interne
Esteri - di David Romoli
I venti di guerra soffiano più impetuosi, irrompono nel Parlamento europeo e hanno già modificato radicalmente la ragion d’essere stessa dell’Unione europea. La Polonia, dopo l’abbattimento dei droni russi che nella notte avevano violato lo spazio aereo polacco, invoca l’art. 4 del Trattato Nato, quello che impone la consultazione tra tutti gli Stati dell’Alleanza quando sia minacciata l’integrità territoriale di uno di essi. Il premier Tusk calca la mano: “La prospettiva di un conflitto militare è più vicina di quanto sia mai stata dalla Seconda Guerra Mondiale in poi”. Il presidente polacco Narowcki definisce la vicenda “un momento senza precedenti nella storia della Nato” e a rigore ha ragione: non era mai accaduto che droni venissero abbattuti sul territorio di un Paese membro dell’alleanza atlantica.
Zelensky afferma di avere “numerose indicazioni” che proverebbero l’intenzionalità dello sconfinamento dei droni, che non sarebbe quindi frutto di un errore. Il presidente ucraino coglie l’occasione per rilanciare le sue richieste: “È evidente che l’aggressione russa costituisce una minaccia per ogni regione indipendente in questa regione. Solo azioni comuni e coordinate possono garantire sicurezza”. Anche il nostro presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dalla Slovenia, è intervenuto sull’episodio definendolo “gravissimo” e ha aggiunto che “ci si muove su un crinale dal quale si può scivolare in un baratro di violenza incontrollato”, ricordando come, all’inizio del Novecento, fu proprio una serie di inadempienze a portare all’inizio della Prima Guerra mondiale. La Russia prima parla di droni partiti dall’Ucraina, poi corregge limitandosi ad affermare che gli obiettivi non erano polacchi. Il che probabilmente è vero, ma non cambia nulla in materia di violazione dello spazio aereo di un Paese Nato. Il segretario generale dell’Alleanza Rutte replica alla provocazione combattivo: “Difenderemo ogni centimetro del territorio della Nato”. I vertici militari ipotizzano che la mossa russa fosse un test per saggiare la reazione dell’Alleanza che però sarebbe stata immediata ed efficace: “Abbiamo reagito con rapidità e determinazione. I Patriot tedeschi sono stati messi in massima allerta, gli aerei italiani da ricognizione e cisterna si sono immediatamente alzati in volo”. In realtà erano già decollati anche gli aerei olandesi e polacchi.
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È in questo quadro a elevatissimo tasso di tensione che la presidente von der Leyen prende la parola di fronte all’Europarlamento di Strasburgo. Il suo sarebbe stato un discorso “armato” comunque, lo diventa ancora di più dopo la notte di fuoco in Polonia. Ma qui non si tratta più solo di accentuare ulteriormente i toni da allarme rosso. La presidente parla un’altra lingua rispetto a quella che la Ue aveva sin qui sempre usato e lo riconosce apertamente lei stessa. Nata per evitare nuove guerre, la Ue cerca ora di ricompattarsi, almeno nelle parole e nelle intenzioni della presidente della Commissione, facendo leva, al contrario esatto, sulla necessità di prepararsi a una guerra. Le parole di Ursula non permettono dubbi sin dall’incipit: “L’Europa sta combattendo”. Il seguito conferma e rincara. Il Vecchio continente deve combattere “per la propria indipendenza e libertà”, per “il proprio futuro” in un mondo che non somiglia neppure alla lontana a quello di ieri. Un mondo “spietato” in cui “molte grandi potenze sono ambivalenti o apertamente ostili all’Europa, un mondo di ambizioni imperiali e guerre imperiali”. Solo un’Europa unita, armata e combattiva, con “lo stomaco per questa lotta” ce la farà. Un’Europa che investe in armi, considera il versante orientale un confine permanente a rischio, è pronta e in grado di difenderlo con “un muro antidroni”. Attenta anche all’effetto emotivo, la presidente si porta sul palco un bambino ucraino e la nonna che lo ha sottratto in extremis ai russi. Ma i bambini rapiti sono “decine di migliaia”, afferma Ursula, e annuncia la convocazione di un vertice della “Coalizione per il ritorno dei bambini rapiti”.
Di guerra in guerra, la presidente adopera toni molto duri anche contro Israele e il suo governo. Promette di prendere subito le misure che la Commissione può decidere da sola e in autonomia: “Pausa nel sostegno bilaterale a Israele. Stop ai pagamenti senza influenzare il nostro lavoro con la società civile israeliana e con Yad Vashem”. Non è molto e la presidente lo sa. Le sue proposte andranno oltre. Sanzioni contro ministri estremisti e coloni. Soprattutto sospensione dell’Accordo commerciale Ue-Israele. Ma questi sono passaggi delicati sui quali lei stessa ammette che trovare una maggioranza sarà difficile. E in effetti, subito dopo il suo discorso, il tentativo di una mozione comune su Gaza firmata da Socialisti, Liberali e Popolari fallisce proprio per l’indisponibilità di questi ultimi a mettere nero su bianco una richiesta di sanzioni commerciali che Germania e Italia, Paesi di peso nell’eurogruppo del Ppe, non intendono per ora accettare. Parla di molte altre cose von der Leyen, promette qualcosa a tutti, ma sono parole che si perdono nel rumore di sciabole. Nata per garantire la pace, l’Unione europea ha una sola carta su cui puntare per provare a uscire dalla sua crisi: prepararsi alla guerra.