Olimpiadi e polemiche
Ferrara se la prende con la frociaggine alle Olimpiadi, ma il problema è la guerra
Continuano le polemiche sullo spettacolo d’inaugurazione delle Olimpiadi e su quando abbia offeso migliaia di cristiani. Forse, però, ad offenderli dovrebbero essere le bombe su Gaza o su Kherson
Editoriali - di Luca Casarini
Quanto invidio la maestria dello scrivere di Giuliano Ferrara. Al di là se io sia d’accordo o meno con ciò che scrive, ma il come lo scrive è di un altro livello. Da medaglia d’oro, visto che parliamo di Olimpiadi. “Ho pronta la pena esecutiva per chi ha visto senza sbattere un sopracciglio, la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi. Deve vedere l’edizione integrale della trilogia di Enrico VI – continua @ferrarailgrasso – nella versione di 13 ore presentata ad Avignone anni fa dal suo creatore, il regista Thomas Jolly, direttore artistico dell’ouverture sulla Senna”.
Ferrara continua e usa il machete come maneggiasse un fioretto: “Apertura con i ponti d’oro un po’ odontoiatrici, con il pagliaccesco rosa dei balli lungo le voies sur berges, con il Cavaliere dell’apocalisse in eccessiva salute notturna, di metallo, che sfida la lignea e marmorea Notre Dame ferita, galoppando sull’acqua, della mongolfiera d’oro, dei tacchi di Lady Gaga dispiegati come la sua bella durissima voce, delle discoteche su chiatta, delle sfilate di moda su chiatta, di quella generale troppa frociaggine che non ha niente a che vedere con l’omofilia, che sia benedetta…”. Un Gianni Brera, in un mondo di scribacchini. Poco altro, di questa polemica olimpica, colpisce per raffinatezza. A me, che invidio tale maestria perché non la possiedo, non viene che da scrivere cose semplici: a nessuno, religioso o meno, è venuto in mente di dire che se una cosa può davvero offendere Dio di questo can can, questa è la macelleria umana in corso nel mondo, da Gaza all’Ucraina, dal Mediterraneo al deserto dei deportati, compiuta da tutti, nessuno escluso, come se fosse questa la vera olimpiade?
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Papa Francesco, inascoltato, aveva chiesto almeno la “tregua olimpica”, così, per una volta, le tradizioni sarebbero state più utili alla vita che alla morte, ma invece, in un unicum spietato, lo spettacolo dei fuochi d’artificio sulla Senna è divenuta macabra messa in scena delle bombe al fosforo sul Libano, dei missili sul Golan, delle bombe sui civili di Kherson. Ma certo, la mia è solo un’idea semplice, che non ha la pretesa di competere con le grandi riflessioni messe in moto da Jolly e la sua ultima o penultima cena. In fondo, chi sono io per sapere che cosa offende Dio? Se la carneficina di innocenti, i cui proventi in vendita di armi hanno finanziato i giochi olimpici, oppure il caravanserraglio, colto e provocatorio, di Thomas Jolly? Per trasformare Parigi nel palcoscenico delle Olimpiadi, sono stati sgomberati con la forza poveri e senzatetto nei giorni precedenti la kermesse. Nessuno si è offeso più di tanto, e credo che in questo la tradizione sia stata in fondo rispettata alla lettera.
I Salvini e i Vannacci, di ogni dove, hanno gridato allo scandalo blasfemo delle coreografie e sceneggiature, che hanno offeso secondo loro “miliardi di cristiani”. Deve cominciare da lì, da che cosa significhi oggi dirsi “cristiani”, seguaci di Gesù Cristo, il problema. Se la predica te la fa chi non batte ciglio sulla responsabilità che porta per migliaia di esseri umani fatti affogare in mare, o rinchiusi in lager esteri o nostrani, qualcosa non mi torna. Viene in mio soccorso un interessante articolo di Giuseppe Lorizio su Avvenire. “Spesso riteniamo, adottando un’ermeneutica sommaria, che il cristianesimo europeo abbia sconfitto il paganesimo greco-romano, poi ci ritroviamo con Dioniso in filosofia e volgarizzato, a fare i conti con una vitalità della prospettiva pagana. E allora? Forse non dobbiamo dimenticare che la pluralità, propria della cultura greca, è stata inclusa nella stessa visione cristiana di Dio, che ha vissuto un esodo dal monoteismo duro e puro, proprio dell’ebraismo e successivamente dell’Islam, a quello trinitario, che include il plurale nell’Uno e nell’Unico”, scrive Lorizio.
Concentrandosi, dunque, sulle “convergenze parallele” che accomunano gli integralisti dei due fronti, entrambi espressione di un “paganesimo”: quello pre-cristiano, che fa finta che tra l’Olimpia classica e il presente europeo non sia accaduto qualcosa o “qualcuno” che ha fatto “irruzione” e che ha sconvolto la Storia, e quello post-cristiano, secondo il quale tutto ciò che è accaduto a partire da quel qualcosa o qualcuno, è superato, e con esso la centralità della persona umana. Ecco, dunque, nelle “convergenze parallele, che gli dei pagani da una parte, e il Dio cristiano addomesticato ai potenti dall’altra, sono solo il prodotto di ciò che serve al momento. Una grande e generale “messa in scena”, dove in nome dell’inclusione si omologa tutto e in nome di Dio si uccidono tutti”. Lorizio si chiede se invece che soccombere di fronte a questa alleanza del nuovo politically correct, non sia necessario collocarsi tra i “non ancora cristiani”, e cioè intraprendere quella strada che ci fa imboccare la domanda scomoda: che cosa significa esserlo oggi, in questo mondo?
Si può esserlo, aggiungo io, senza opporsi alla nuova religione pagana della guerra, dell’esclusione, del profitto privato, accumulato attraverso lo sfruttamento bestiale dell’uomo sull’uomo e di Madre Terra? È esercizio dialogico questo, concordo con Lorizio, e non ideologico. È una domanda profonda, che si incarna nel mondo ma che non può trovare una risposta “di questo mondo”. “Siamo nel mondo ma non siamo del mondo” (Gv 17,14). Non avrei mai pensato di dare questo significato a qualcosa che ho ripetuto mille volte: “Un altro mondo è possibile”. Scribacchini militanti post cristiani, pienamente fedeli a questo mondo, sono invece quelli de La Verità. Titolano a tutta pagina: “Papa muto sulle Macroniadi Trans”. E in occhiello: “Trasformare la Santa sede nella sede di una ong ha conseguenze”. Anche attraversare il mondo seguendo gli insegnamenti di Gesù di Nazareth, ha sempre avuto conseguenze per chi lo ha fatto. Il podio è una croce.