Il caso a Prato
Sbattuto in carcere il comandante dei carabinieri Sergio Turini, il reato? Cene con imprenditori…
Corruzione e peculato tra le accuse nei confronti del tenente colonnello Turini. Scopo delle cene sarebbe stato “ottenere utilità attuali e future”
Giustizia - di Paolo Comi
Avere rapporti con gli imprenditori non è mai una bella cosa per i pm. Dopo aver contestato al governatore della Liguria Giovanni Toti di aver incontrato il manager portuale Aldo Spinelli sul proprio yacht, i pm hanno sfoderato un grande classico: il “reato” di cena con l’imprenditore.
I lettori più attenti non potranno non aver appreso in questi giorni della disavventura giudiziaria che ha coinvolto il comandante della compagnia carabinieri di Prato, il tenente colonnello Sergio Turini.
Ufficiale molto stimato ed ex numero due del Cobar della Toscana, l’allora sindacato unico dell’Arma, Turini si trova da giovedì scorso nel terribile carcere pratese della Dogaia sommerso da una valanga di accuse, fra cui corruzione, peculato, omessa denuncia, accesso abusivo a banche dati, omissione di atti d’ufficio.
L’inchiesta è condotta dal neo procuratore di Prato Luca Tescaroli, titolare del fascicolo sulle stragi di mafia del 1993 dove sono indagati Silvio Berlusconi (morto l’anno scorso), Marcello Dell’Utri e il generale Mario Mori, e dai pm Lorenzo Boscagli e Massimo Petrocchi.
Scorrendo l’ordinanza di custodia cautelare, emerge la passione di Turini per le tavolate con alcuni facoltosi imprenditori pratesi.
Scopo di queste cene, oltre alla degustazione di importanti vini, sarebbe stato quello di “ottenere utilità attuali e future anche in vista del pensionamento e/o la sistemazione dei familiari”.
“È una cena di gruppo siamo in 20, si chiama ‘special club 20’, persone tra gli imprenditori più importanti di Prato”, dice Turini non sapendo di essere intercettato.
E ancora: “Qua ci sono i soldi, devi essere stronzo, ormai ci stai perché non puoi trarne beneficio? Nel senso che un domani con tutte queste persone così importanti, magari non so, per un figliolo pensi un pochino anche a quello”.
“Forse è sbagliato però le opportunità che si sono qui non ci son da altre parti”, si confidava con la moglie (non indagata). “Qui altra categoria, quello ha 300 dipendenti, quello 200. Questi muovono denari con non hai idea. E ti conoscono e potrebbe esserti utile. Speriamo che qualcosa frutterà”, aggiungeva ancora Turini.
Con l’auspicio allora di entrare nelle simpatie dei ricchi imprenditori pratesi e dunque di poter ottenere in futuro qualche beneficio con cui arrotondare la pensione o una sistemazione per il figli, Turini si sarebbe attivato con la Questura per avere informazioni sullo stato della procedura di rilascio di un permesso di soggiorno, di un passaporto, o di una pratica al catasto. Oppure, per trovare un tecnico per delle riparazioni di cui aveva bisogno uno di questi imprenditori nella sua ditta.
“Sfruttava gli imprenditori del posto”, scrive il gip, secondo cui da parte di Turini “c’era una spasmodica ricerca di accreditarsi nel mondo dell’imprenditoria italiana e cinese sfruttando la propria funzione pubblica”.
In questa attività di captatio benevolentiae molto particolare, avrebbe anche fatto sostare una pattuglia dei carabinieri davanti al Duomo di Prato durante il matrimonio della figlia di un imprenditore.
Ma a parte qualche telefonata in questura, la pistola fumante del patto corruttivo sarebbe stata la richiesta di una raccomandazione, altro grande classico, peraltro miseramente naufragata.
Per evitare di essere trasferito da Prato, Turini aveva chiesto all’imprenditore Riccardo Matteini Bresci, grande dirigente di Confindustria Toscana e suo coindagato, di chiedere al sottosegretario agli Esteri Giorgio Silli un intervento sul Comando generale.
“Stante la complessità, sotto molteplici punti di vista, della provincia e della città di Prato, dove sono io cresciuto, nonché la delicatezza del momento di transizione ove si attende anche l’indicazione del nuovo prefetto, avrei la necessità istituzionale di poter contare ancora, almeno per un anno, sulla presenza e sulla collaborazione del colonnello Turini a Prato”.
La lettera, inviata lo scorso 26 marzo da Silli al comandante generale dell’Arma Teo Luzi, non aveva però minimamente sortito l’effetto sperato, con conseguente avvio della pratica di trasferimento per Turini nella meno effervescente dal punto di vista imprenditoriale città di Potenza.
Nell’ordinanza, per non farsi mancare nulla, grande spazio è dedicato alle asserite influenze paramassoniche che avrebbe subito Turini da parte di Matteini Bresci al quale, durante la perquisizione, gli inquirenti hanno trovato il kit del massone, grembiule e cappuccio, e dei volumi dal titolo quanto mai eloquente: “Rituali e estrazioni per il fratello maestro” e “Breve vademecum sulla massoneria”.
A differenza di Matteini Bresci, a Turini sono stati preclusi gli arresti domiciliari in quanto avendo l’alloggio di servizio in caserma, dove dovranno essere eseguiti degli accertamenti, c’è il timore per i magistrati che il personale dipendente possa subirne l’influenza, attesa la sua “spregiudicatezza”. La prossima volta era meglio mangiare alla mensa della caserma.