Il vicepresidente gruppo Pd

“Il Pd può cambiare idea, sul Jobs Act come sulle scelte sbagliate sui migranti”, intervista a Paolo Ciani

«Deve essere paradigma di pace, di diritti umani e di solidarietà universale. Demos sostiene la candidatura di Tarquinio, che è attaccato, come lo sono io e tutti coloro, a cominciare da Papa Francesco, che non accettano di trattare la tragedia della guerra con le categorie bianco/ nero, amico/nemico»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

22 Maggio 2024 alle 09:00

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“Il Pd può cambiare idea, sul Jobs Act come sulle scelte sbagliate sui migranti”, intervista a Paolo Ciani

La pace e quei pacifisti “scomodi”. La posta in gioco alle elezioni europee. L’Unità ne discute con Paolo Ciani, che della difesa dei più indifesi e di una pace nella giustizia ha fatto il tratto caratterizzante, “bergogliano”, del suo percorso di vita e politico. Ciani è stato uno degli animatori della Comunità di Sant’Egidio. È tra i fondatori di Demos, Democrazia Solidale, di cui è segretario nazionale, e Vicepresidente del gruppo Pd-Idp alla Camera dei deputati.

Dall’Ucraina al Medio Oriente, passando per altri 57 conflitti armati in corso. Il mondo è sempre più dentro una terza guerra mondiale a pezzi, per usare le parole di Papa Francesco. Siamo ormai a ridosso delle elezioni europee, ma il dibattito in Italia si concentra su alleanze, candidature, colpi bassi, scandali, diatribe televisive. Siamo fuori dal mondo?
In realtà siamo perfettamente nel mondo cioè, con la testa ripiegata su noi stessi. Il tema della disattenzione alle guerre nel mondo, come in generale alla violenza e alla disperazione altrui, è frutto di anni di involuzione politica. Basti pensare alla tragedia della Siria. Nel primo periodo di guerra abbiamo vissuto tutti con angoscia e partecipazione la distruzione di città come Aleppo, così come i drammi di tutte le guerre: morte, mutilazioni, violenze sulle minoranze, sulle donne, utilizzo di armi chimiche e non convenzionali, distruzioni, separazioni forzate, profughi. Ci siamo scandalizzati, ma poi piano piano assuefatti al dolore degli altri. La guerra in Siria non è più finita…ma chi ha manifestato per la sua fine? E chi parla oggi di cosa accade in Sudan o in Kivu nell’est del Congo? Ecco, quando il Papa ha iniziato a parlare di guerra mondiale a pezzi l’invasione della Russia in Ucraina del 2022 ancora non c’era stata e “i grandi politici e strateghi” non lo prendevano sul serio.

L’anomalia italiana. L’unico Paese, almeno tra quelli fondatori dell’Ue, in cui il voto delle Europee viene riportato, misurato, sulle beghe interne: chi prende un voto in più tra Pd e 5Stelle o tra Lega e Forza Italia. E l’Europa?
È un momento cruciale per il nostro continente: partiti e leader che per anni sono stati contro l’Europa, la volevano distruggere, la dileggiavano, oggi si candidano a governarla. Dicendo: cambieremo l’Europa. Ma come? Allo stesso modo con cui governano i loro paesi? Compressione dei diritti, guerra ai poveri invece che alla povertà, propaganda sovranista, tagli ai servizi pubblici… Non è l’Europa che vogliamo noi. Di certo non quella che decide di far debito per costruire le armi e non per creare servizi ai propri cittadini. Nel Novecento i paesi europei, ammalati di nazionalismo, sono andati alla guerra degli uni contro gli altri. Dal ripudio della guerra e di una visione solo nazionale della politica, è nato il sogno dell’unità europea e una visione d’Europa. Schuman, uno dei padri fondatori dell’Europa, scriveva: “L’Europa unita prefigura la solidarietà universale del futuro”. L’Europa è stata l’origine di due guerre mondiali e della Shoah. Oggi deve essere paradigma di pace, di diritti umani e di solidarietà universale.

Demos sostiene la candidatura da indipendente nelle liste Pd dell’ex direttore di Avvenire, Marco Tarquinio. Per le sue posizioni pacifiste ha ricevuto critiche anche all’interno dei dem. Essere pacifista è un “reato” politico?
Demos ha deciso di sostenere Marco Tarquinio per la pace, ma anche per la tutela dei diritti umani, i migranti, la cura della “casa comune”, la tutela delle minoranze, la centralità della persona e per la serietà e libertà con cui ha vissuto la sua professione di giornalista. Quanto alla guerra, Marco è stato – ed è – attaccato, come lo sono io e tutti coloro, a cominciare da Papa Francesco, che non accettano di trattare la tragedia della guerra con le categorie bianco/nero, amico/nemico, giusto/sbagliato e chiedono trattative, tregua, cessate il fuoco, pace. La mancanza di rispetto aggressiva e violenta e il fatto di non parlare mai della guerra vera, reale, quella sul terreno, che non è un videogioco o un film, caratterizza l’atteggiamento di tanti che ci criticano. Ma è evidente che continuare solo a ripetere “armi armi” senza guardare in faccia la realtà pare irresponsabile soprattutto dinanzi agli ucraini. Le tante guerre che l’occidente ha fatto negli ultimi decenni ne sono una prova (a cominciare da Iraq e Afghanistan): non c’è stata nessuna vittoria su nessuno o per nessuno. Non c’è ancora un “reato” politico di pacifismo, ma sicuramente la logica della guerra e delle armi è forte, aggressiva e pervicace e evita di ragionare sulla realtà: basti pensare a chi in questi anni ha preconizzato la vittoria militare dell’Ucraina. Ma penso anche al tentativo di cambiare e svuotare la legge 185/90 sul divieto di vendita delle armi ai Paesi belligeranti e la trasparenza sui finanziatori. Però non mi piace vittimismo e lamento (soprattutto dinanzi a chi soffre per la guerra!), quindi il problema non è chi critica, ma come riuscire a fermare presto la guerra. Di certo i pacifisti, i pacifici o gli operatori di pace, non sono dei deboli (e nemmeno degli opportunisti o conformisti) ma cercano di aiutare gli ucraini e tutte quelle persone o popoli che subiscono la tragedia della guerra.

La mattanza di Gaza ha raggiunto dimensioni apocalittiche. Il mondo sta a guardare, nonostante il procuratore capo della Corte penale internazionale, Karim Ahmad Khan, abbia chiesto alla Camera preliminare del tribunale di emettere mandati di arresto contro il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ministro della Difesa Yoav Gallant per «crimini di guerra e crimini contro l’umanità» nella Striscia di Gaza dall’8 ottobre 2023. Khan ha chiesto di emettere mandati di arresto anche nei confronti dei leader di Hamas Yahya Sinwar, Mohammed Deif, Ismail Haniyeh e Diab Ibrahim Al Masri per «crimini di guerra e contro l’umanità» commessi in Israele e nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre 2023. Ma chi osa criticare Israele, senza per questo tacere sui crimini di Hamas, in Italia come nei campus universitari di mezzo mondo, viene tacciato di antisemitismo.
L’antisemitismo è una piaga drammatica che non è stata del tutto estirpata nemmeno dopo la tragedia della Shoah ed è anzi purtroppo cresciuta in questi mesi di guerra a Gaza. Ma identificare come antisemita chi critica la politica del governo Netanyahu è una sciocchezza: innanzitutto perché moltissimi israeliani lo hanno criticato e lo criticano, ma anche perché oggi alleati storici come gli Usa gli dicono di fermarsi. Hamas con il pogrom del 7 ottobre ha dimostrato la volontà di annientamento nei confronti degli ebrei e di questo dobbiamo essere sempre tutti coscienti. Tuttavia, lasciare Israele nelle mani dei suprematisti e millenaristi israeliani è un grave errore. Le immagini di Gaza con migliaia di morti civili, tantissimi bambini, distruzione generalizzata, popolazioni profughe senza acqua, né cibo, sono spaventose. Ed è evidente a tutti l’ingiustizia che il popolo palestinese sta subendo a Gaza e nei territori occupati ed è giusto scandalizzarsene.

Altro tema caldo è quello dei diritti dei lavoratori. Fuori e dentro il Pd fa discutere la scelta di Elly Schlein di firmare il referendum della Cgil contro il Jobs Act.
Elly Schlein ha voluto, a mio avviso giustamente, affrontare alcune questioni importanti e metterle al centro della sua proposta politica come segni distintivi. Tra questo spicca sicuramente il lavoro e i diritti dei lavoratori. La battaglia lanciata e raccolta da tutta la coalizione sul salario minimo ne è il primo esempio: come si può pensare che una paga oraria tra i 2 e i 6 euro non sia sfruttamento? Per non parlare degli schiavi nei campi che ne guadagnano ancora meno… A chi deride questo ragionamento ricordo un punto della Costituzione troppo a lungo disatteso: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. La scelta di firmare i referendum della Cgil credo vada nella medesima direzione: porre in maniera nuova la questione del lavoro e dei diritti dei lavoratori. La fuga dal lavoro a cui assistiamo dopo il Covid è un segnale di allarme: il lavoro precario e sfruttato non è più proponibile. C’è poi il tema drammatico della sicurezza sul lavoro, troppo spesso considerata un costo, disattesa e messa in discussione tutti i giorni da lavoro nero, precarietà e subappalti. La firma dei referendum dimostra anche un’altra cosa: il Pd può cambiare idea sulle posizioni passate, alla luce del mondo che cambia e delle conseguenze di quelle scelte. Vale per il lavoro, per il finanziamento alla guardia costiera libica o per scelte sbagliate sui migranti. Può valere anche su altro…

Pace, lavoro, inclusione. Una sinistra che non parte da qui può ancora definirsi tale?
Non mi interessa particolarmente la definizione, ma la sostanza. Nella mia vita ho visto tante persone negli angoli più nascosti e dimenticati del nostro Paese e del nostro mondo: gli ospedali, le carceri, le periferie abbandonate, gli istituti per anziani, i campi profughi. Luoghi dove persone in carne ed ossa come noi e che hanno gli stessi bisogni, sogni e desideri nostri, faticano a vivere quotidianamente. Vorrei che la mia, la nostra parte politica, ripartisse dal mettere al centro i grandi ideali che soli possono muovere energie ed intelligenze: la giustizia sociale, l’uguaglianza, la fraternità. Oggi il divario e le disuguaglianze sono aumentati, addirittura all’interno delle stesse città, se nasci o vivi in un determinato quartiere hai meno possibilità e speranza di vita. Sono sicuro che serva una politica centrata sulla lotta alla diseguaglianza e non su quella dell’identità. L’identità, se usata come un’arma, divide mentre tendere all’uguaglianza significa unire. La nostra società ha bisogno di unità: c’è troppa violenza e troppo odio in giro. Il liberismo aveva promesso di unire ma ha diviso perché è basato sulla competitività e sulla ricerca individuale. Ci occorre riequilibrare l’Europa con un di più di equità pubblica perché resti ciò che è: il continente della democrazia dove la vita è più rispettata e la comunità meglio difesa.

22 Maggio 2024

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