Il simbolo storico
Addio al Café du Parc, chiude l’angolo di paradiso romano di Porta San Paolo
Arrivano dei mostriciattoli e sparisce la grazia del chioschetto e il suo caffè Tintori “miscela Bernini” preparata da una torrefazione di viale Giotto dove ogni 25 aprile passava lo sciame del Gran Premio ciclistico della Liberazione
Editoriali - di Fulvio Abbate
A Roma, Porta San Paolo, l’insegna verde primaverile del “Café du Parc”, era sempre lì, pronta, sbilenca, in corsivo, d’improvviso incontro allo sguardo d’ogni passante, dal tetto di un chioschetto simile a una casamatta.
Tra la Piramide Cestia, il Cimitero Acattolico con le sue ceneri di Gramsci, il rione di San Saba subito dietro, via Ostiense, viale Aventino; un ideale grandangolo di città che racconta la scintilla iniziale della Resistenza: 10 settembre del 1943.
Avendo il merito di restituire, con la grazia grafica dei caratteri, le suggestioni della commedia all’italiana – Il sorpasso, Una vita difficile, Il giovedì e forse anche, visto il destino, I mostri e I nuovi mostri – insieme al desiderio assoluto dei cremolati; ostia consacrata della gelateria capitolina, cui accostarsi come in un pellegrinaggio laico, e tuttavia, forse, in possesso della medesima emozione che accompagna le processioni che, muovendo proprio dal limite di viale Aventino che incontra il Circo Massimo, vanno verso il Santuario del Divino Amore.
Il nome, ma che dico, il brand che l’ha sostituita, se non deposta, si pretende “eclettico”. I locatari nuovi arrivati raccontano “un sogno che rincorrevamo da un po’, e quando abbiamo avuto l’occasione di rilevare questa storica bottega romana, in una posizione unica e iconica, non ce la siamo fatta scappare”.
Prospettando, testuale, “un locale ibrido e dalle tante facce”. Con altrettanto orgoglio commerciale neo-identitario annunciano che “ci chiameremo ‘MOSTRO’ perché saremo una creatura mitica, risultante di una contaminazione innaturale di elementi diversi, tale da suscitare l’orrore – speriamo di no – o lo stupore”, l’annuncio è di Brando Giannoni, non meno soddisfatto ideatore del festival “Spring Attitude”.
Cancellando programmaticamente memoria della ricetta di famiglia tramandata di generazione in generazione dai Valentini, storici proprietari dal 1956, giunti dopo i Seri, e lo stesso Maurizio Battista, comico di talento autoctono, che l’ha altrettanto avuto in gestione; come raccontava, in altrettanto corsivo, la placca accanto alla “finestrella” del locale: da lì i cremolati raggiungevano i clienti ai tavolini esterni.
C’era poi il caffè Tintori “miscela Bernini”, preparata da una torrefazione di viale Giotto, dove, ogni 25 aprile, in attesa di sfiorare le Terme di Caracalla, passa lo sciame del Gran Premio Ciclistico della Liberazione sfiorando l’enclave popolare di San Saba. Storia trascorsa.
Insieme all’ideale cosmogonia della memoria resistenziale, l’eco dei paracadutisti tedeschi affrontati allora su via Ostiense dai primi, improvvisati, partigiani combattenti: comunisti, azionisti, repubblicani e poi delle formazioni di “Bandiera rossa”; Porta San Paolo come protetta tra barricate e carcasse di auto. Presidiata dall’esercito non più fedele al fascismo: Granatieri di Sardegna, Lancieri di Montebello, Genova Cavalleria.
E ancora Sandro Pertini, Giaime Pintor, perfino l’attore Carlo Ninchi, già icona di Cinecittà con “Scipione l’Africano” di Carmine Gallone, la gappista Carla Capponi e Giuseppe Albano, che ricorderemo come “il Gobbo del Quarticciolo”, sebbene fosse dell’Alessandrino.
Sempre Porta San Paolo – il “Café du Parc” adesso lì con i battenti aperti, conoscerà, 6 luglio 1960, le cariche della celere destinate agli insorti contro il governo del democristiano Ferdinando Tambroni, sostenuto in Parlamento dai voti dei neofascisti del Msi; “la nuova Resistenza”.
Raimondo d’Inzeo, ufficiale dei carabinieri, campione olimpico di equitazione proprio quell’anno a Roma, a guidare altrettante cariche in sella al suo cavallo. Questo e molto altro, compresa l’apologia dei menzionati cremolati pronunciata dal regista Nanni Moretti, raccontavano luogo e locale. Ora trasfigurato in “Mostro”.
Un nome che si fa metafora della gentrificazione in corso d’opera da decenni nell’Urbe storica, la medesima che ha investito Testaccio – insieme a Pigneto, Torpignattara e adesso pure Centocelle – altro luogo di memoria pasoliniana, lì muore Accattone pronunciando “Mo’ sto bene” – con i suoi non meno resistenti “bujaccari”, un quadrante di città che la poetessa cattolica tradizionalista, Cristina Campo, descriveva come “Sodoma infernale abitata da macellai con l’Alfa Romeo”.
Il ristorante “La Villetta dal 1940”, già frequentato dal pittore Corrado Cagli e Umberto Terracini, padre costituente, ora familiare a Francesco Totti, un passo oltre. A Milano, in piazza Fontana, dov’era la Banca Nazionale dell’Agricoltura, adesso filiale Monte Paschi di Siena, in ricordo della strage fascista del 12 dicembre 1969, hanno avuto cura memoriale di mantenere intatta l’insegna originaria, segno di rispetto anche “civile”, ciò che Roma, e soprattutto il suo “Café du Parc”, evidentemente non hanno meritato; da qualche giorno soltanto “Mostro”.