Il voto regionale
Così Calenda e Conte hanno regalato la Basilicata alla destra
Il presidente uscente Vito Bardi (di Forza Italia) in testa. Il braccio di ferro di Conte per imporsi non ha portato bene ai 5stelle che tracollano
Politica - di David Romoli
Quando verso sera le schede scrutinate arrivano al 10% la tendenza è chiara anche se particolari anche significativi possono cambiare: il braccio di ferro ingaggiato da Conte per imporre un candidato di suo gradimento è costato al Campo, qui per la verità non tanto largo, la Regione Basilicata.
A farne le spese più di tutti è proprio il Movimento di Conte, che rispetto alle regionali di 5 anni fa perde una dozzina di punti percentuali ma rispetto alle politiche di due anni fa il tracollo è più grave, intorno ai 17 punti. Ma è una magra consolazione.
Le cifre del presidente uscente Bardi, che non ha mai palpitato per la rielezione nel corso dello spoglio, terminano alla fine col 56,63 per cento. Azione, che in Basilicata si legge Marcello Pittella, è fisso intorno al 10%, salvo poi scendere nel dato definitivo al 7 per cento. Senza il suo spostamento e quello di Renzi a destra l’esito sarebbe capovolto.
Regione piccola, circa 560mila aventi diritto. Astensionismo alto, di un filo sotto il 50%. Dunque a livello nazionale il test ha certamente valore limitato. Ma resta che una vittoria in Basilicata, strappandola alla destra, avrebbe galvanizzato il Campo, restituito lustro alla ipotesi del “cambio di vento”, che andava forte dopo la Sardegna ma si è di molto affievolita dopo il doppio smacco in Abruzzo e ora in Lucania.
Ma soprattutto sarebbe stato un viatico eccellente per l’election day del 9 giugno, quando Elly Schlein e il Pd si giocheranno molto non solo nelle europee ma anche in comuni importanti come Bari o per il Pd importantissimo come Firenze.
Quanto al voto di lista, il Pd può gongolare se fa il paragone con le precedenti regionali, avendo quasi raddoppiato il risultato, dal 7.7% di allora al quasi 14% di oggi. Meno brillante il risultato se paragonato alle ultime politiche, con quasi un punto perso rispetto a quel 15 e passa in percentuale, ma sia per le regionali del 2019 incidono e rendono impossibile il conto le liste civiche, che vanno in larga misura ascritte al Pd stesso e Basilicata Casa Comune, la lista civica del Campo, sta di poco sotto al 10%.
Merita un applauso l’aplomb della Lega che si esalta tramite comunicato ufficiale esprimendo “grande soddisfazione per il largo successo del centrodestra unito”. Il risultato della destra, anche grazie ai ricatti di Conte e alla reazione di Pittella e Calenda è in effetti “largo”.
Quello della Lega è invece stretto anzi striminzito. Il confronto con il 2019 sarebbe un’inutile ferocia maramaldesca: era un’altra era e da allora la Lega nazionale di Salvini precipita di una dozzina di punti.
Però procede nella china anche rispetto al 9% di due anni fa, attestandosi intorno all’8% e anzi salvo scatti nel finale anche un po’ sotto. Non è uno scacco tale da far tremare ulteriormente il trono di Salvini ma non è neppure una indicazione rassicurante per quel che potrà succedere in giugno.
Certo, in Basilicata il sorpasso azzurro sul Carroccio non poteva esserci dal momento che c’era già stato nel ‘22. Ma il partito di Tajani migliora le posizioni che, sommate alla lista La Vera Basilicata arriva al 15%. La Vera Basilicata infatti è praticamente un monocolore azzurro mentre l’altra lista di Bardi, Orgoglio Lucano, ingloba i renziani.
Senza scatti brucianti la marcia di Tajani prosegue, il risultato conferma il trend positivo e parlare di resurrezione di Forza Italia ormai non è più una scommessa ma quasi una certezza. Il partito di Giorgia Meloni si conferma il primo, come già alle politiche, sembra perdere qualche punto percentuale, dal 18 al 15%, ma si capirà davvero il quadro solo a spoglio concluso.
In ogni caso la nuova impennata dopo un anno e mezzo di governo non c’è, la delusione in via della Scrofa è palpabile e se le europee confermeranno il dato per la premier si tratterà di una vittoria amara.
Ma, a parte il sempre più vacillante Salvini, il guaio grosso è del Pd, chiuso in una situazione che si potrebbe riassumere nella formula “né con Conte né senza Conte”. Senza i 5S non può vincere. Con i 5S ma alle condizioni di Conte, a dispetto dei confortanti risultati di lista, perde.
Non che se ne possa fare una colpa a Elly Schlein, sarebbe quanto meno ingeneroso: la leader si trova in un labirinto, trovare la via d’uscita sarebbe difficile per chiunque. Però l’imperativo è quello e solo quello.