La decisione di 'Sandokan'
Come funziona il programma di protezione per i familiari dei pentiti
Anche Francesco Schiavone, ex boss dei Casalesi, ha deciso di collaborare con la giustizia: cosa succede ai parenti di chi decide di 'parlare' con le istituzioni
Giustizia - di Andrea Aversa
Francesco Sandokan Schiavone ha deciso di collaborare con la giustizia. La notizia è stata confermata anche dalla Procura Nazionale del Distretto Antimafia. Questo, rispetto alle indagini e alla lotta contro il clan dei Casalesi, potrebbe far si che si aprano dei nuovi e inaspettati scenari. Ma come funziona il programma di protezione per i familiari dei pentiti? Schiavone ha ben sette figli, cinque maschi (Nicola, Walter, Carmine, Emanuele ed Ivanhoe) e due femmine (Angelica e Chiara). La madre e moglie dell’ex boss, Giuseppina Nappa, pare non vivesse più da tempo a Casal di Principe. Di conseguenza, la preoccupazione per il futuro dei propri congiunti, quando un capo clan detenuto sceglie di collaborare con lo Stato, è una delle leve principali.
Perché i boss decidono di collaborare con la giustizia: la decisione di ‘Sandokan Schiavone
I figli maschi di Schiavone sono tutti già noti alle forze dell’ordine. Emanuele e Carmine sono detenuti, con il primo che uscirà presto di prigione. Nicola e Walter, invece, hanno deciso anche loro e prima del padre di pentirsi. Ora, se i parenti di Sandokan avessero ricevuto minacce rispetto alla situazione giudiziaria del padre, il programma di protezione nei loro confronti potrebbe scattare in automatico. In caso contrario o se i familiari del collaboratore in questione avessero deciso di rinnegare il congiunto, lo ‘scudo’ dello Stato potrebbe non essere alzato. In ogni caso sono due i primi grandi cambiamenti per coniugi e figli di pentiti.
Cosa vuol dire diventare un ‘pentito’: all’appello mancano Bidognetti e Zagaria
Il cambio di identità e di residenza. A occuparsi di tutto è il Nucleo Operativo do Protezione (Nop) coordinato dal Ministero degli Interni. Il trasferimento e il cambio di identità avvengono poco tempo dopo l’approvazione e la disposizione del piano di protezione e in modalità improvvisa. Anche il pentito, se non detenuto, può accedere al piano. Ai ‘protetti’ lo Stato gira un sussidio ciascuno (di qualche migliaia di euro) se disoccupati o costretti a rinunciare al lavoro per il cambio di residenza. Le istituzioni si occupano anche di pagare l’affitto ma non le utenze che sono a carico dei ‘protetti’. La durata del piano dipende da quella del processo nel quale è coinvolto il collaboratore di giustizia e dal livello di attenzione al quale è sottoposta la sua famiglia. Il piano può essere revocato se i ‘protetti‘ ne violano le regole, tra cui il rivelare il nuovo indirizzo e la nuova identità e il fare spostamenti non autorizzati.