Il personaggio

Roberto D’Antonio, il parrucchiere dei politici e delle star

Roberto D'Antonio. Tutti i giorni, la vigilia Natale, la settimana di Ferragosto, alle otto di mattina l’imperatore di Roma lo trovi sull’uscio del suo salone inondato di luce, pronto per il primo taglio di capelli. Mezzo Parlamento, buona parte della tv e tutto il cinema italiano passano di qui.

Interviste - di Angela Nocioni

3 Marzo 2024 alle 18:00

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Roberto D’Antonio, il parrucchiere dei politici e delle star

Degli uomini della sua vita nomina uno solo, suo padre. E ogni volta c’è un tono improvviso nella voce, un tonfo del respiro, che tradisce l’emozione. “Guardavo mio padre, barbiere. Detestavo il suo lavoro e odiavo la sua idea segreta che io dovessi essere più macho”. “Mai avrei pensato di poter metter piede nel mondo delle dive bellissime e lontane che vedevo nelle riviste di mia madre o in paese nelle case degli altri, erano i primi anni Sessanta a Nepi”.

Le mani bianchissime sempre in movimento. Dolce, a tratti collerico, sfuggente, poi via via ironico. Pungente. Caustico. “A me gli psicanalisti m’hanno abbandonato” dice. “Ce ne ho avuto uno, molto bravo, solo che in seduta lo guardavo e gli dicevo: ma perché lei si continua a rovinare i capelli così? Settant’anni, bello, molti capelli, le orecchie grosse. E se ce l’hai i capelli tieniteli, no? Falli vedere. E, niente, lui un giorno ha detto: vabbè basta”.

Eccolo qua Roberto D’Antonio. Tutti i giorni, la vigilia Natale, la settimana di Ferragosto, alle otto di mattina l’imperatore di Roma lo trovi sull’uscio del suo salone inondato di luce, pronto per il primo taglio di capelli.

Mezzo Parlamento, buona parte della tv e tutto il cinema italiano passano di qui. “Il lavoro è etica, poi a me piace lavorare. Il lavoro è il motore della mia vita, è la cosa più importante. Io lavoro da quando avevo 12 anni”.

Di una schiettezza liberatoria: “I miei cugini venivano a Nepi da Roma, era Natale era Pasqua e io dovevo lavorare, a me dispiaceva. Sentivo un dolore mio che mi sono portato avanti. Certo che le sofferenze infantili sono altre, ovvio! Ma io non so cosa sia una comitiva, una vacanza con gli amici, a sessant’anni mi trovo amico di tutti ma solo. Non pensare che io sia malinconico, ma è una solitudine, come un sacerdozio. Io sono credente”.

“Mi ricordo la prima volta che venne Rossana Rossanda, aveva sessant’anni. Avevo visto entrare questa signora col parka, bianca, austera, molto elegante. Sabrina Ferilli l’aveva vista dallo specchio e mi disse ‘Robè, c’è la Rossanda’. Io te lo dico: non sapevo chi era. Per fortuna Sabrina. Lei mi chiese: ‘io voglio cambiare’. Io le dissi: no, lei è elegantissima, non deve cambiare. Siamo andati avanti fino ai 95 anni. Quando tornava da Parigi veniva a trovarmi. Una volta mi mandò la Corazzata Potionkin con un biglietto: ‘le voglio bene e le sono grata di volermene’. Lei capiva la mia visione semplice del mondo e capiva i momenti in cui la sinistra non la capivo”.

Delle produzioni americane dice: “Io non ce l’ho il sogno americano, mai avuto. La mia America è l’Italia. Io prigioniero di quel sistema di lavorare, mai. Tutto fatto con lo stampino, dalla mattina alla sera come una marionetta. Nemmeno morto. Io voglio fare bene, voglio fare sempre benissimo. Che ne so, a Venezia, al primo festival dopo il covid, dovevo fare Cate Blanchette, presidente di Giuria. Avevo studiato le sue varie uscite, avevo abbozzato delle idee ma avevo bisogno di incontrarla prima, dovevo parlarle. Perché io mi ero ispirato alla Vitti, alla Podestà, a Virna Risi, a donne più calde. Stefano, uno dei ragazzi che lavorano con me che parla correttamente inglese, era terrorizzato dal tradurle quel che le avevo detto: che io la volevo più attrice e meno bambola. Lei invece, intelligente com’è, ha capito al volo: ‘Se non ho la riga nel mezzo e non ho capelli bagnati per me va bene, io ho capito che lei lo può fare’ ha risposto. Ed è uscita stupenda”.

E questo è il talento del maestro, ma il segreto qual è? “Non deturpare quel che una donna si aspetta, avere rispetto del suo desiderio. Una vuol essere bionda platino e io magari non sono d’accordo, ma non mi metto ad esercitare su di lei quel potere assurdo che io non voglio avere. Non mi appartiene quel tipo di gusto suo, ma mi farebbe stesso lo stesso orrore una radicalchic che per non essere femmina si mortifica senza accorgersene. Il desiderio delle donne io lo rispetto, gli vado incontro, trovo l’equilibrio. Io non voglio sopraffare”.

“Oggi è arrivata una signora che non avevo mai visto prima. Mi dice ‘sto facendo 75 anni, mi sento al giro di boa, devo cambiare’. Capelli legati, molto elegante. O indovini o la distruggi. Ho tagliato. Lei è cambiata improvvisamente, da bella e elegante ma triste, è diventata bella ed elegante ma allegra. Per me è ogni volta una grande gioia”.

Dell’amore dice: “Vivo solo, molto allontanato dall’amore perché ho vissuto una vita di desiderio quasi ossessivo fin da bambino, mi pareva che fosse una cosa eccessiva, maniacale, da piccolo ho sempre pensato fosse faticosissimo e la mia omosessualità non me lo rendeva più semplice. Ricordo, da ragazzino, questa cosa del bacio a mezzanotte e io soffrivo, non potevo baciare un uomo. È finita che mi son messo con una ragazza e lei con me stava bene perché a me piacciono profondamente le donne, io con lei nel sesso mi dovevo inventare delle peripezie e quel che è peggio è che le piacevano. La mia omosessualità era antica, la fluidità di ora non la contemplavo. Io mi sentivo più femminile che non maschile, quindi mi davo una autodeterminazione così forte che non mi aiutava, un po’ per la famiglia un po’ per la chiesa”.

Fluidità, cioè? “Non dare importanza alla identificazione in un personaggio, detesto che un omosessuale o un eterosessuale debba essere determinato e definito da una definizione esterna. Io mi son fatto di droghe per liberarmi, per la paura della mia omosessualità e ho capito che era un errore perché è un aiuto brutto, ti rovina tutto, una robaccia. È una cosa brutta appartenuta a un periodo vissuto in un angolo stupendo di Roma, via delle Mantellate, dov’era lo studio di Mario Schifano, c’era lui, c’erano le sue muse, una mia amica cara. In quel via vai lui m’ha regalato anche un quadro bellissimo, un ritratto di donna, chissà che fine ha fatto, l’ho regalato e non so nemmeno a chi”.

Dei registi italiani non parla: “Sono amici miei.” Di Pedro Almodovar dice: “Mi piace tantissimo la sua libertà. La transessualità dei primi film, la sua visione libera dell’omosessualità. È geniale nonostante abbia la Spagna cattolica che gli pesa”.

Della tv: “Sono pazzo di gioia di vedere la televisione, non vi sopporto a voi che dite che il televisore non ce l’avete. Ma ci sono troppe piattaforme, mi perdo, mi agitano, preferivo quando c’era il primo, il secondo e il terzo canale, meno fatica”. Di Venezia:Ci andrei a vivere domani”.

In una teca, nel suo salone a via dei Prefetti, come una reliquia, c’è un bianco e nero perfetto di Monica Vitti. “Una amica romana mi invitò a Capodanno nella sua villa a via Cortina d’Ampezzo, piena Roma nord, le ville dei signori, era decenni fa. Io e la mia superbia, ragazzetto, di paese e povero. Ero insicuro in quella situazione e mi volevo far vedere e mandai una cassa di champagne carissimo, pagato con soldi che non avevo ancora, e mi divertii tantissimo, ballai tanto con questa signora stupenda che era Monica Vitti, e uscì sul Tempo o sul Messaggero non ricordo, un articolo di cronaca mondana che raccontava di un Michael Jackson giovane che aveva ballato tutta la sera con Monica Vitti. Andai a Nepi dai miei e feci leggere a mio padre l’articolo e avevo la pretesa di farglielo appendere a negozio. E che senso aveva? Che ne sapeva la gente che quello ero io? Ma io lo sapevo e ero contentissimo. Pensavo: quello sono io, m’hanno scritto sul giornale”.

Figli? “Mai avuti, no. Sono felice se gli omosessuali possono essere genitori in pace, senza che qualcuno s’impicci. Ma io come facevo con le mie manie, il mio perfezionismo, a crescere un figlio? L’avrei massacrato, o ne sarei uscito massacrato io. Le donne mi hanno sempre aiutato. Quando da piccolino andavo a raccogliere le nocciole con quei sacchi enormi, le donne che lavoravano alla raccolta mi prendevano il sacco e me lo riempivano loro, me lo davano già fatto, meravigliose le donne. Io alla favola della costola in più ci credo”.

3 Marzo 2024

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