La storia della campionessa
Matilde Lauria, Judoka sordocieca: “Combatto in un mondo tutto mio ma sono più forte e vinco io”
Sport - di Rossella Grasso
“Per me la disabilità va vissuta, non combattuta”. Ne è certa Matilde Lauria, 57 anni, napoletana, judoka sordocieca. E’ membro della Nazionale Italiana di Judo. Quando inizia la gara tira fuori la furia che è in lei e porta a casa la vittoria: “Sono cieca e sorda, devo combattere in un mondo che è tutto mio. Ma ce l’ho fatta: sono stata la prima atleta sordocieca a gareggiare alle Paralimpiadi di Tokio. Lì non ho vinto una medaglia ma qualcosa di più grande: nessuno mi voleva far partecipare perché ero troppo grande e sordocieca. Ma io ce l’ho fatta: ho aperto un portone per tutti i sordociechi. Ora possono dire ‘anche noi possiamo fare sport’. Mi sono sentita un supereroe”. E Matilde è davvero una forza della natura, una donna inarrestabile. Basta trascorrere con lei cinque minuti per capire che la sua caparbietà, la sua grandissima vitalità, le fa superare ogni ostacolo. Se ci sono difficoltà, per Matilde esistono solo per essere superate. E tante ne ha dovute superare lei nella sua vita fino ad arrivare al tetto del Mondo. Ed è esattamente lì che vuole ritornare: ora sta partecipando alle qualificazioni per le Paralimpiadi di Parigi 2024.
Chi è Matilde Lauria
Matilde è un’atleta sordocieca. Vive a Napoli, nel quartiere Montesanto, negli anni ha già portato a casa numerose medaglie in varie discipline. Ha iniziato sin da piccolissima a fare sport, prima come staffettista nei giochi della gioventù, poi mountain bike dove ha vinto i mondiali, il bronzo nello showdown, il pingpong per non vedenti. Ha vinto due medaglie d’oro nella scherma, poi il torball, una specie di calcio a tre. “Sono anche istruttore di equitazione di primo livello e campionessa di dressage – racconta Matilde – Sono sempre e soltanto io come sordocieca. Con il mio coach Alfonso Beatrice, stiamo facendo dei progetti con i cavalli per armonia e benessere”.
“Voglio dire al mondo che esistono anche i sordociechi”
Mamma di 3 figli, il più piccolo ha 10 anni, gli altri 27 e 24 anni, Matilde Lauria ha sempre perseguito e realizzato i suoi sogni. La sua vita è piena di emozioni forti e grandi dolori che Matilde ha affrontato con grande forza d’animo. E’ nata in una famiglia di 9 figli, da secondogenita. “Ero l’unica della famiglia che aveva questo problema – racconta Matilde – sono sempre stata molto pepata, tenevo le corna. Mamma mi avrebbe voluta tenere un po’ più protetta, papà invece mi ha sempre spronata a fare tutto. Mio padre mi ha sempre vista come una persona normale, è stato lui a proiettarmi nel mondo dello sport, non mi ha mai fermata e ha cercato di rendermi sempre autonoma. E’ stata più la burocrazia a non facilitarmi nella vita”.
“Nasco ipovedente, poi la vista è andata via. E dopo anche l’udito”
“Nasco ipovedente, negli anni sono diventata cieca. Poi successivamente anche sorda. E’ complicato perché perdi tutti i punti di riferimento – continua Matilde – Però non mi sono arresa. Ho voluto trasmettere al mondo che esiste anche il sordocieco. Nel mondo viene visto come un animaluccio. Si allontanano…quando poi io sono una mamma, una moglie e sto nel mondo”. Matilde è finita al buio e nel silenzio ma si è subito rimboccata le maniche per non rimanere esclusa in nessun modo. Poi l’incontro con un grande amore, il Judo, nella palestra Partenope, proprio accanto alle imponenti mura del Maschio Angioino. “Matilde l’ho conosciuta qua in palestra – ha raccontato il suo maestro Maestro Gennaro Muscariello – lei come mamma veniva a portare suo figlio piccolissimo a fare Judo si sedeva sulla scrivania ed era sempre molto attenta a quello che facevamo. A un certo punto la invitai a salire sul tatami e da lì poi siamo arrivati alle Olimpiadi”.
“Sul tatami sento le vibrazioni e capisco le mosse dell’avversario”
Grazie a un impianto per l’udito, Matilde riesce a sentire con l’orecchio sinistro. Ma quando combatte sul tatami non può indossare nessun tipo di oggetto metallico, nemmeno l’apparecchio. E così Matilde resta sola, senza vedere né sentire. “Ho lavorato moltissimo sulle vibrazioni a terra – spiega la judoka – non con la percezione delle mani ma con i piedi. Mi concentro su quello che percepisco e quello che fa l’avversario. C’è una sferzata di energia, di mettersi in gioco…io in quel momento mi sento come tutti quanti gli altri. Poi a me piace la competizione, essere viva. Mi piace comunicare agli altri che è una condizione, non una disabilità. Ma purtroppo il mondo ancora non è pronto per questo”.
Prima judoka sordocieca alle olimpiadi di Tokyo 2020
Gli avversari di Matilde sono solo ciechi. Alle Paralimpiadi di Tokyo lei era l’unica anche sorda. “L’arbitro vede che sono sordocieca e quindi mi deve prendere lui – racconta Matilde – Comunica con me con il linguaggio dei sordociechi sulla mano. Grazie alla Lega del Filo d’oro ho imparato il Tadoma, che si ascolta alla gola, il Malossi, che va pizzicato sulle mani, il linguaggio dei segni e la lis tattile, quella che si fa con le mani e l’uptick che si fa sulla schiena”.
Matilde ricorda le Paralimpiadi di Tokyo con grande orgoglio ed emozione: “Mentre facevamo la sfilata mi sono emozionata tantissimo – dice – Ho pianto perché ce l’avevo fatta. Volevo salire su un monte e gridare a tutti che ce l’avevo fatta, ero alle paralimpiadi!”. Matilde ci è riuscita anche grazie al suo maestro, Gennaro Muscariello, che le ha spalancato le porte della sua palestra. “Il vero problema sono le strutture che non esistono – racconta il maestro Muscariello – I burocrati che trovano sempre il modo di bloccare chi ha buona volontà. Noi fin ora ci siamo riusciti a batterli e questo ci ha portato a Tokyo. “Il maestro Muscariello ha sempre aperto le porte a tutti, non ha mai detto di no a nessuno – continua l’allieva – cosa che in altre palestre, a noi ciechi e soprattutto sordociechi hanno sempre detto di no. Hanno tutti paura di questa disabilità che per loro non lo so cos’è”.
Matilde ci è riuscita e cerca di aiutare anche altri ciechi o sordociechi a realizzare il sogno e l’indipendenza attraverso lo sport. “Prima del Covid ha reclutato all’Isituto Colosimo alcuni ragazzi per praticare il Judo. “Oggi ne abbiamo tre: Fabian che ha vinto la medaglia d’oro agli europei giovanili, Carmine che a 16 anni è il nostro gigantone, l’inclusione è la cosa più importante per me”.
Matilde e la vita di tutti i giorni
Fuori dalla palestra Matilde è moglie e mamma. Ma non sempre è facile per lei far capire a tutti la sua disabilità. “Anche a scuola di mio figlio mi sono dovuta far conoscere – racconta – La prima volta che mi hanno vista sembravo un extraterreste. Ho spiegato cosa vuol dire essere sordociechi”. Matilde cammina per Napoli da sola, con il suo bastone che è bianco e rosso, per segnalare a tutti che lei non vede e non sente (il bastone solo bianco con la punta rossa è solo per chi non vede). “Posso attraversare in qualsiasi punto e gli automobilisti si devono fermare perché non li vedo e non li sento – continua – Mi faccio spazio nel mondo. Soprattutto nel mio quartiere mi conoscono tutti, mi aiutano, mi sento coccolata. Ma c’è anche chi non capisce la mia disabilità, che mi butta per l’aria o mi offende. Una volta due rumeni mi dissero che al loro paese quelli come me li uccidono alla nascita. E’ sono una delle cose ‘carine’ che mi sono sentita dire nella mia vita”.
“Sono diventata vedente grazie a mia mamma che è cieca”
“Io faccio da sola”, dice Matilde a chi cerca di sostituirsi a lei anche bonariamente per aiutarla. “Non sostituitevi a me, spiegatemi le cose e faccio io”, dice. “La cosa più importante che mi ha insegnato mia madre non c’entra né con lo sport né con la cecità: mamma mi ha insegnato ad apprezzare di essere al 100% mee stessa”, ha detto Paola Napolitano, la figlia di Matilde. Anche lei è una grande sportiva, insegna Judo ed è una campionessa. “Vivendo con una persona non vedente ho iniziato ad apprezzare gli aspetti della vita che prima vedevo con gli occhi e adesso vedo con gli altri sensi – dice Paola – Li senti con il tatto, è una cosa più spirituale che visiva. Ho imparato ad assaggiare con il gusto vero, non solo con gli occhi e con l’odore. Ho imparato ad ascoltare con le orecchie e non con la vista come siamo abituati a fare senza accorgercene. Ho imparato a rendermi conto di tutto quello che c’è intorno a me. Prima ero cieca, sono diventata vedente grazie a mia mamma che è cieca”.