Dal 2 marzo al 16 giugno

Quel Caravaggio salvato a Napoli: “La presa di Cristo” in mostra al Palazzo Ricca della Fondazione Banco di Napoli

Capolavoro perduto, ritrovato, esposto, salvato. A Napoli, la città che accolse Michelangelo Merisi in fuga, dopo i numeri record di Ariccia. "Scena di grande armonia, le figure sono immobili ma sembra che un turbine le faccia girare. Quale magia è nascossta in tutto questo?"

Cultura - di Antonio Lamorte - 1 Marzo 2024

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FOTO DI ANTONIO LAMORTE
FOTO DI ANTONIO LAMORTE

Giuda che bacia Cristo e che lo indica all’armigero in un abbraccio rosso, San Giovanni apostolo che grida di paura e che premonisce la Passione, la morte, la resurrezione. C’è un altro Caravaggio in città: a Napoli. La città della fuga dalla condanna a morte, dei ritorni, delle risse a Monteoliveto, della Flagellazione appena tornata, della scuola caravaggesca che a Michelangelo Merisi si è ispirata e che ne ha riverberato lo stile e il mito. La prima versione de “La presa di Cristo” sarà ospitata dal 2 marzo al 16 giugno 2024 nelle sale della storica sede della Fondazione Banco di Napoli di Palazzo Ricca in via Tribunali. Ci arriva dopo i numeri da record dell’esposizioni negli spazi di Palazzo Chigi ad Ariccia e anticipa la prossima esposizione ai Musei Vaticani.

La mostra è stata curata da Francesco Petrucci e dal presidente della Fondazione Meeting del Mare C.R.E.A. Si parla di prima versione perché de “La presa di Cristo” ne esiste un’altra, ospitata a Dublino, alla National Gallery of Ireland. Più piccola, tagliata in un parte, priva della cornice nera arabescata del prototipo: differente in diversi aspetti. Le altre 17 versioni sono delle copie, la migliore delle quali è considerata quella di Odessa. La mostra sarà ospitata tra uno spazio in cui saranno visibili i documenti che hanno ricostruito l’attività di Caravaggio a Napoli e le sale affrescate da Giacinto Diana che ospiterà la tela.

Prima di oggi l’opera era stata esposta soltanto nel 1951 nella storica “Mostra del Caravaggio e dei Caravaggeschi” a cura di Roberto Longhi al Palazzo Reale di Milano. È stata restaurata da Carla Mariani, con un’ulteriore revisione per le ultime esposizioni. “Una formidabile occasione – il commento del presidente del Museo dell’Archivio ilCartastorie, Marcello D’Aponte – di apertura della Fondazione Banco di Napoli e del Museo dell’Archivio Storico alla città, e a un pubblico sempre più vasto, che ne testimoniano ancora una volta la straordinaria funzione di nuovo centro propulsore e luogo di riferimento della storia della cultura napoletana”.

La storia de “La presa di Cristo”

I documenti datano l’opera al 1602. Un viaggio travagliato dal XVII secolo a oggi. Il prototipo venne inventariato intorno al 1624 al marchese Asdrubale Mattei, quando questi morì si persero le tracce della tela. Ricomparve nel 1688 a Napoli in un inventario della collezione Vandeneynden, famiglia di mercanti fiamminghi. Quindi passò nella collezione Colonna di Stigliano. Quando l’ultima erede, la principessa Cecilia Ruddo dei duchi di Bagnara, negli anni trenta del XIX secolo vendette il Palazzo Zevallos in via Toledo, si privò presumibilmente anche delle opere all’interno conservate.

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“La presa” ricomparve nella collezione Ruffo dei principi di Scilla e dai discendenti della casata venne acquistata dall’attuale proprietario, il mercante d’arte Mario Bigetti, nel 2003. Fine della storia? Ma quando mai. L’opera è stata sì notificata nel dicembre 2004 dal ministero dei Beni Culturali come d’interesse particolarmente importante per la Nazione ma anche interessata da un lunghissimo iter giudiziario. 18 anni e tre gradi di giudizio, che hanno sempre dato ragione al proprietario, è durato il contenzioso sulla proprietà del quadro che aveva anche portato a sequestro.

Che cos’è “La presa di Cristo”

“A sinistra si concentra l’azione con Giovanni, Cristo e Giuda – ha spiegato la restauratrice Mariani – avvolti nel panno rosso del martirio, su di loro vivono i colori simbolici e profondi; sulla parte destra si osservano gli armigeri e l’autoritratto del pittore, i colori scompaiono e solo le terre costruiscono le figure; di mezzo divide, ma anche unisce, il soldato vestito di ferro profondissimo ma luminoso, che ghermisce Nostro Signore alla gola. Una grande armonia guida questa scena e un grande dinamismo, le figure sono immobili ma sembra che un turbine le faccia girare. Perché, quale magia è nascosta in tutto questo?”.

Il manto rosso è una citazione della classicità romana, le mani “incrocicchiate” del Cristo sono il punto di fuga: il punto da dove l’opera esplode, fa partire le diagonali guida che seguono gli arti, i nasi, le spalle dei protagonisti. Il braccio di San Giovanni tagliato che riporta alla realtà e alla fuga. Gli occhi di Gesù Cristo sono appena accennati, dolore che non può fare più niente. Sulla parte destra, in alto, compare il volto dello stesso artista. “Ci vuole dire che la vita esiste se è osservata, lo sguardo dell’Uomo è il catalizzatore della realtà. In questo dipinto la sua figura più alta delle altre sembra in punta di piedi, sostiene una lanterna fioca alta sulla scena, non illumina realmente ma è il segno della conoscenza e della sua presenza consapevole; lui osserva con la bocca semiaperta, in attesa che il destino si compia per poterlo raccontare”.

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La mostra de “La presa del Cristo”

“Vorrei invitarvi – ha detto Citro in conferenza stampa – proprio attraverso il potere della comunicazione a fare in modo che il pubblico che verrà non interpreti l’evento di questa visita come la venerazione di un’icona. Questo quadro ci consente di fare di più, di entrare in un mondo, il mondo di Caravaggio, di poterlo decifrare per capire quali sono le ragioni per cui il suo genio arriva a noi con tanta prepotenza. L’attenzione alla storia, alla composizione, al vissuto di questo dipinto potranno rappresentare per ogni singolo spettatore l’ingresso in un mondo del peccato e della grazia, della colpa e del perdono, del tradimento e dell’amore. Il mondo che Caravaggio ha avvertito con un grande fremito nel suo cuore di uomo e di artista”.

“Caravaggio è un pittore concettuale – ha aggiunto Petrucci nella preview – , la sua ispirazione non è finalizzata a descrivere una sacra rappresentazione ma a estrarre da quell’episodio, in questo caso la presa di Cristo, il momento iniziale dell’intera Passione e che prefigura già la morte e la resurrezione. Ci sono già tutti i contenuti della Passione in quest’opera. Dall’episodio estrapola i contenuti spirituali dall’episodio, non è interessato alla descrizione puntuale dell’ambientazione come invece molti altri pittori”.

La mostra sarà visitabile dal 2 marzo al 16 giugno, dal martedì alla domenica dalle 10:00 alle 18:00

Palazzo Ricca in via Tribunali 263

Biglietti: 10 euro intero, 5 ridotto dai 12 ai 17 anni, gratis per bambini fino a 11 anni e persone con disabilità e accompagnatore

Caravaggio a Napoli

Michelangelo Merisi da Caravaggio detto Caravaggio arrivò a Napoli la prima volta a fine 1606, dopo la condanna alla decapitazione per l’omicidio di Ranuccio Tommasoni a Campo Marzio. Si stabilì ai Quartieri Spagnoli, fu raccomandato alla famiglia Carafa Colonna e realizzò diversi capolavori. A giugno 1607 lasciò Napoli per Malta, Siracusa, Messina, Palermo. A partire dall’autunno 1609 fu di nuovo a Napoli, questa volta presso la marchesa Costanza Colonna nel Palazzo Cellammare.

Gli vennero commissionate diverse opere, venne sfigurato in una rissa a Monteoliveto, all’uscita dalla locanda del Cerriglio, prese a circolare la notizia della sua morte. Quando venne a sapere che papa Paolo V stava per revocare la sua condanna a morte si mise in viaggio con una feluca-traghetto verso Palo Ladispoli dove avrebbe dovuto attendere il condono papale. Fermato, perse il suo bagaglio con le tre opere che, concordate con il cardinale Scipione Borghese, avrebbero pagato la sua libertà. Malato di febbre alta, probabilmente affetto da un’infezione intestinale trascurata, restò a Porto Ercole e venne curato nel sanatorio di Santa Maria Ausiliatrice, dove morì il 18 luglio 1610.

A Napoli si formò una prolifica scuola caravaggesca, di eredi e alunni diretti e indiretti. In città sono conservate stabilmente tre opere: “Le Sette Opere di Misericordia”, al Pio Monte della Misericordia, anche questo su via Tribunali; “Il Martirio di Sant’Orsola” conservato a Palazzo Zevallos; “La Flagellazione” al Museo di Capodimonte, appena tornata a Napoli dal Louvre di Parigi ma al Museo di Donnaregina fino al 31 maggio.

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1 Marzo 2024

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