I dubbi sulla morte
Stefano Dal Corso, i dubbi sulla morte in carcere: per il teste “è stato ammazzato”, niente autopsia per Nordio e pm
Il 42enne era stato trovato senza vita nella sua cella ad Oristano, gli restavano 7 mesi da scontare. La famiglia non ha mai creduto che si fosse impiccato. E una lettera anonima racconta tutt’altra versione. Bernardini: “Inqualificabile il no all’esame autoptico”. Il ministro si schiera con l’autorità giudiziaria
Editoriali - di Angela Stella
Come è morto Stefano Dal Corso, il quarantaduenne romano trovato impiccato nel penitenziario Massama di Oristano il 12 ottobre 2022? La domanda si fa sempre più urgente considerato i nuovi elementi emersi, a partire da un possibile super testimone, un “ufficiale esterno della polizia penitenziaria”, che sostiene di avere video e prove in grado di dimostrare che Stefano Dal Corso è stato ucciso.
Ma riavvolgiamo un attimo il nastro. L’uomo era in carcere per reati legati alla droga e gli restavano solo sette mesi da espiare. Il 4 ottobre 2022 Dal Corso viene provvisoriamente trasferito da Rebibbia a Oristano in vista dell’udienza fissata per il 6 ottobre.
È collocato in una cella all’interno dell’infermeria del carcere; il 12 ottobre viene rinvenuto privo di vita, all’interno della propria cella, dal personale sanitario; il 13 l’ex compagna si reca presso l’istituto e apprende dall’infermiera del reparto che Dal Corso risulta “morto suicida” e che “lo stesso non aveva sofferto in quanto nel lasciarsi andare si era spezzato l’osso del collo che ne aveva provocato, quindi, la morte immediata”.
Inoltre, nel sentire parlare gli operanti presenti sul posto, apprende che “la vittima veniva rinvenuta appesa alla finestra con una gamba sul letto e una fuori, avendo preso male le misure perché le finestre di Rebibbia sono più alte”. Invece la sorella Marisa ha sempre dubitato della morte per suicidio per le diverse incongruenze emerse in questi mesi come vi abbiamo raccontato su questo giornale.
Eppure il Ministro Nordio, rispondendo ad una interrogazione del deputato di Italia Viva, Roberto Giachetti, ha detto che “nessun elemento” ha “consentito anche di ipotizzare un fatto di omicidio, anziché un evento suicidario; ciò giustifica la scelta di non eseguire approfondimenti istruttori che si palesavano, secondo apprezzamento ex ante in concreto, del tutto infruttuosi, quindi superflui”.
In pratica, ha appoggiato la decisione della Procura di non effettuare l’autopsia anche perché non è obbligatoria farla: “va osservato che l’attuale disciplina assegna il potere discrezionale all’Autorità Giudiziaria in ragione delle specifiche circostanze del caso concreto”.
Eppure oggi c’è un uomo che ha prima contattato per email l’avvocato che assiste la famiglia, Armida Decina, poi ha chiesto di parlare direttamente con Marisa. Secondo lui, Stefano avrebbe visto qualcosa che non doveva: “Ha aperto la porta dell’infermeria e ha assistito a un rapporto sessuale tra due operatori del carcere. È stato cacciato via e ha fatto ritorno nella sua cella”.
Poi “schiaffi, calci, pugni”, fino all’insabbiamento per tentare di coprire l’omicidio. “Hanno modificato le relazione, hanno cambiato medico legale, hanno vestito tuo fratello con indumenti messi a disposizione della Caritas e hanno fatto sparire quelli sporchi di sangue con le prove e le impronte”, avrebbe detto l’uomo, forse un appartenente ad un nucleo speciale operativo, che ha sostenuto anche di essere in possesso dei vestiti realmente indossati dalla vittima e anche di un video che immortala il massacro.
Se sia un millantatore toccherà ai magistrati di Oristano stabilirlo, gli stessi che per sette volte hanno negato l’autopsia ma che ora sono costretti a riaprire il fascicolo. Il problema è che l’uomo ha contattato la famiglia di Stefano in maniera anonima, sostiene di aver paura e molto probabilmente non si renderà disponibile a parlare con l’autorità giudiziaria anche se per l’avvocato Decina sarebbe “un dovere civico”.
Proprio la legale aggiunge all’Unità: “sentire dire dal Ministro Nordio che la vicenda di Stefano appare chiara mi sembra una follia perché ci sono numerosi elementi contrastanti intorno alla ricostruzione di quanto accaduto. Ritengo anche assolutamente non condivisibile sostenere da parte del Guardasigilli che non ci sia bisogno dell’obbligatorietà dell’autopsia in caso di morti violente in carcere: in quel momento quelle persone sono sotto la custodia dello Stato che ha il dovere di dare delle risposte alle famiglie”.
Per la legale è “sconcertante” dati tutti gli elementi emersi “che non si faccia ancora l’autopsia sul corpo di Stefano. Io non so se questo nuovo testimone millanti tutto, una parte o nulla ma comunque credo, considerato che i dati acquisiti ad ora non portano in maniera univoca all’ipotesi del suicidio, che la Procura abbia il dovere di indagare, proprio a tutela dell’amministrazione penitenziaria, per fugare ogni dubbio e il punto da cui partire è uno: l’esame del corpo della vittima. E invece continua a esserci silenzio”.
Sul fatto è intervenuta anche la Presidente di Nessuno Tocchi Caino Rita Bernardini per la quale “è inqualificabile l’ostinazione con cui l’Autorità Giudiziaria continua a respingere la richiesta di autopsia sul corpo del povero Stefano Dal Corso”.
Al Congresso di Nessuno tocchi Caino, conclusosi ieri nel carcere di Opera, “il dott. Vincent Delbos, ex magistrato e ora membro del CPT per conto della Francia, è rimasto sbalordito del caso Dal Corso sottolineando come nel suo Paese l’autopsia sia disposta sistematicamente in caso di morte in carcere. La risposta di Nordio all’interrogazione di Giachetti sposa al cento per cento la tesi del suicidio fatta propria sia dall’autorità giudiziaria che dall’amministrazione penitenziaria. Il guardasigilli ribadisce inoltre – il che è vero – che nel nostro ordinamento non ci sia l’obbligo di autopsia in caso di morte di un detenuto in carcere e che l’esame autoptico viene disposto solo in caso di sospetto di reato. Il ministro però evita di rispondere ad una domanda posta da Giachetti: in quanti casi di suicidio in carcere nel 2023 l’autorità giudiziaria non abbia disposto l’autopsia. Scoprire che Oristano – e magari la Sardegna – sia fra le eccezioni, sarebbe stato infatti un dato estremamente interessante”.
Altro elemento importante per Bernardini della risposta di Nordio “è quello relativo ad un’altra morte che si sarebbe verificata in Sardegna. Si parla infatti del decesso di due detenuti, non solo di Stefano Dal Corso. È probabile che il riferimento sia alla morte nel carcere di Sassari di Erik Masala, un altro ‘suicidio’ che, a quanto riferisce il Ministro, non avrebbe avuto il riscontro di un’autopsia, ritenuta anche in quel caso ‘superflua’. Nessuno Tocchi Caino – conclude Bernardini – sostiene in pieno e condurrà ogni iniziativa possibile per la verità sulla vicenda Dal Corso affiancando la sorella di Stefano, Marisa, e l’avvocato Armida Decina”.