Il caso del senatore
Caso Gasparri, la legge dà ragione al senatore ma impone anche trasparenza…
La legge 441 dà ragione al senatore, che non ha dichiarato di essere presidente di una società di cybersecurity. Ma il Codice di condotta del ‘22 impone trasparenza
Editoriali - di Salvatore Curreri
La vicenda riguardante il sen. Gasparri, accusato da una nota trasmissione televisiva di non aver dichiarato una carica ricoperta in una società privata, costituisce un’utile occasione per fare un po’ di chiarezza sugli obblighi di trasparenza cui il parlamentare è soggetto.
Chiarezza peraltro imposta dalla delicatezza e complessità della materia. Come accennato, la vicenda in questione riguarda – a quanto pare – la carica di Presidente di una società di cybersicurezza che il sen. Gasparri sostiene non fosse suo obbligo includere tra le dichiarazioni che, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 441/1982, i parlamentari devono rendere circa le loro attività finanziarie e patrimoniali.
In effetti, in base a tale disposizione, ogni parlamentare deve, tra l’altro, comunicare alla propria camera “l’esercizio di funzioni di amministratore o di sindaco di società”. Nel caso specifico, il fatto che la legge si riferisca non alla mera titolarità di cariche amministrative ma all’esercizio di funzioni induce ad escludere l’obbligo di dichiarazione qualora il parlamentare non svolga funzioni amministrative all’interno della società.
Questo sembra essere il caso in questione se è vero, come sostiene il senatore, che egli ricopra la carica di Presidente di tale società senza compiti gestionali o operativi. Ad ogni modo, in caso di omessa dichiarazione sono previste solo sanzioni disciplinari interne (dalla censura fino all’interdizione dai lavori) e la sanzione morale dell’annuncio in Aula della sua inadempienza. È evidente che quest’ultima sanzione ha funzione prevalentemente preventiva, così da dissuadere il parlamentare dall’omettere comunicazioni che potrebbero esporlo alla pubblica riprovazione.
Ma ogni senatore, oltre a dichiarare le proprie attività finanziarie e patrimoniali, deve comunque dichiarare ogni incarico o ufficio ricoperto, retribuito o gratuito, esistente all’atto dell’accettazione della candidatura o assunta in corso di legislatura. Ciò al fine di permettere al Senato, tramite la Giunta delle elezioni e delle immunità, di valutarne la compatibilità con l’esercizio del mandato parlamentare.
Peraltro la Giunta, indipendentemente da quanto comunicato dai senatori, può in ogni caso svolgere accertamenti sulle cariche e sugli uffici ricoperti di cui comunque abbia avuto notizia, come nel caso in questione, divenuto ormai di dominio pubblico.
Ai fini della verifica di cause d’incompatibilità, non spetta dunque al singolo senatore decidere quali cariche ricoperte dichiarare, non foss’altro perché nessuno è buon giudice di sé stesso.
Piuttosto egli deve dichiarare ogni carica così da permettere alla camera d’appartenenza di valutare se essa sia incompatibile con il libero esercizio del suo mandato parlamentare. Se così non fosse, e se dunque la carica fosse dichiarata incompatibile, il parlamentare è chiamato a scegliere espressamente quale tra le due mantenere; altrimenti, egli potrebbe essere dichiarato decaduto dal mandato dall’Assemblea.
Di tali due comunicazioni e delle loro diverse finalità si trova oggi riscontro nel Codice di condotta dei senatori che il Consiglio di Presidenza del Senato ha approvato il 26 aprile 2022. Tale Codice, infatti, nello stabilire “principi e norme di condotta ai quali i Senatori devono attenersi nell’esercizio del mandato parlamentare”, impone ai senatori sia di dichiarare le attività patrimoniali e finanziarie e i finanziamenti ricevuti, sia tutte le cariche e gli uffici ricoperti a qualsiasi titolo, retribuiti e gratuiti, compilando un apposito foglio-notizie.
Sull’osservanza di tali obblighi – inclusi quelli di trasparenza – vigila il Consiglio di Presidenza del Senato (di cui lo stesso Gasparri faceva parte fino a pochi giorni fa) che, su richiesta del Presidente, svolge gli accertamenti istruttori necessari, in contraddittorio con il senatore interessato.
Al loro esito – fatto salvo l’obbligo di denuncia in presenza d’ipotesi di reato (art. 331 c.p.p.) – il Presidente potrebbe proporre al Consiglio dei Presidenza l’irrogazione di sanzioni disciplinari nei confronti del senatore interessato qualora fossero emersi fatti di particolare gravità in grado di determinare una alterazione del principio della libertà di mandato ovvero di compromettere il prestigio del Senato.
Ai sensi della normativa vigente, dunque, la carica societaria ricoperta dal senatore Gasparri, se non denunciata a fini di trasparenza in quanto non comportante lo svolgimento di funzioni operative, avrebbe comunque dovuto essere comunicata sia ai medesimi fini di trasparenza sulla base di quanto previsto dal Codice di condotta dei senatori, sia ai fini dell’accertamento di eventuali incompatibilità alla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentare, così da permettere a tale organo di valutare se essa abbia potuto incidere così negativamente sul libero esercizio del mandato parlamentare fino al punto da proporre la decadenza del senatore che non vi abbia espressamente rinunciato.
Tutto ciò al netto dei noti dubbi che si nutrono da tempo circa l’effettiva imparzialità del giudizio di un’assemblea – per sua natura politica – circa la regolarità del procedimento elettorale e la sussistenza di cause d’incandidabilità, ineleggibilità e incompatibilità dei propri membri. Dubbi alimentati da non commendevoli precedenti in cui, sulla base della massima giolittiana per cui le leggi s’interpretano per gli amici e si applicano per i nemici, alla fine la ragione della forza ha prevalso sulla forza della ragione.