Il caso
È morto Giulio Petrilli, ora può perdonare i suoi persecutori
Risarcimento? Niente, sempre negato, perché dissero che lui aveva dato risposte confuse ai giudici, e quindi era colpa sua se i giudici si erano sbagliati.
Editoriali - di Piero Sansonetti
È morto nei giorni scorsi Giulio Petrilli. Persona dolcissima , davvero dolcissima, che aveva subito una terribile persecuzione giudiziaria. Gli hanno spezzato la vita. L’andarono a prendere in assetto da guerra in una triste mattina del 1980, a casa dei genitori. Era un ragazzino, viveva ancora col papà e la mamma. Aveva 19 anni. Manette e poi via col furgone blindato, Alfa Romeo di scorta e sirene spiegate.
Dall’Aquila a Torino. Carcere duro. Solo, niente ora d’aria. Lui non capiva perché. Era uno studente di “Democrazia Proletaria”, gruppo politico legalissimo. Il Pm gli disse che loro – la Procura – erano sicuri invece che fosse un capo di Prima Linea e allora doveva dirgli i nomi dei suoi complici, sennò si beccava 20 anni. Povero Giulio. Lui non poteva dire niente, lui non sapeva niente. È rimasto dietro le sbarre 6 anni. Sei. Gioventù svanita. Poi fu assolto in appello e in Cassazione.
Gli hanno riconsegnato l’orologio, gli occhiali, la penna stilo e a casa. La penna non scriveva più. Risarcimento? Niente, sempre negato, perché dissero che lui aveva dato risposte confuse ai giudici, e quindi era colpa sua se i giudici si erano sbagliati. Da allora Giulio si è sempre battuto contro la giustizia ingiusta. Ci siamo conosciuti in piazza, c’era anche Pannella. E il capo di Rifondazione, Maurizio Acerbo.
Ciao Giulio. Sei stato un grande. Perdonali quelli, non sapevano cosa facevano.