Il caso di Aurora
Cos’è la sindrome di Nager, l’intervento chirurgico straordinario alla ragazza nata con la bocca “serrata”
Per 16 anni, dalla nascita, non ha potuto aprire la bocca a causa della sindrome genetica di Nager di cui ha sempre sofferto, tra le più rare al mondo. Aurora (nome di fantasia) grazie ad uno straordinario intervento di chirurgia maxillo facciale eseguito all’ospedale San Marco di Catania potrà però finalmente iniziare una nuova vita fatta di cibi soldi, parole e sorrisi: l’equipe formata da alcuni tra i chirurghi maxillo facciali più esperti in Italia ha permesso all’adolescente di “superare” la grave malformazione che l’ha accompagnata dalla nascita e che l’aveva già costretta a sottoporsi a 14 operazioni.
La sindrome genetica di Nager, conosciuta anche come disostosi acrofacciale di Nager (NAFD), è una rara sindrome congenita che viene diagnosticata in epoca prenatale o neonatale, caratterizzata da disostosi mandibolo-facciale, ovvero da una malattia ossea congenita che può portare a malformazioni cranio-facciali, ipoplasia malare (che interessa l’osso del cranio), difetti nello sviluppo degli arti. Si può anche rischiare la sordità se le anomalie coinvolgono anche l’apparato uditivo e la cavità orale, oltre a del linguaggio e ostruzione delle vie respiratorie superiori, mentre solitamente non ci sono ripercussioni sullo sviluppo della vista e dell’intelligenza.
Nel caso di Aurora la situazione era particolarmente grave: nel feto si era sviluppato un ammasso osseo che aveva fuso la mandibola al cranio non consentendo l’articolazione necessaria ad aprire la bocca. Per la prima volta in Sicilia (sono state sei le operazioni di questo tipo in Italia), l’intervento ha consentito ad Aurora di tornare a parlare, mangiare, sorridere.
Un processo lungo e complicato: l’intervento, come racconta l’Ansa, ha richiesto mesi di studio preventivo affinché tutto andasse per il meglio. L’operazione è durata circa dieci ore per ricostruire, impiantando una protesi, l’articolazione temporo-mandibolare della giovane paziente, ed ha impegnato all’ospedale San Marco di Catania, oltre ai chirurghi maxillo-facciali, anche venti tra colleghi chirurghi anestesisti della Rianimazione sale chirurgiche e della Chirurgia toracica.
Una perfetta sinergia tra Nord e Sud del Paese, in particolare tra Alberto Bianchi, professore dell’Unità Operativa Complessa di Chirurgia Maxillo-facciale dell’Azienda Ospedaliero Universitaria “Policlinico “G. Rodolico – San Marco”, Massimo Robiony, direttore della Clinica maxillo facciale dell’ospedale universitario di Udine, e il suo professore associato Salvatore Sembronio.
“Siamo orgogliosi di questo intervento – spiega il professore Bianchi – Massimo Robiony è un luminare del settore, è colui che ha presentato per la prima volta le protesi facciali in pediatria appena quattro anni fa. Quando gli ho chiesto la collaborazione, per amicizia non ha avuto esitazioni, chiamando con sé anche il suo braccio destro. Insieme al nostro preparatissimo staff del San Marco, abbiamo lavorato per mesi allo studio della situazione della nostra straordinaria signorina, con l’ausilio delle nuove tecnologie tridimensionali a disposizione, fino al lieto epilogo del delicatissimo intervento“.