Il golpe cileno del 1973

Pinochet spazzò via i miei dubbi: così passai alla lotta armata

Pinochet spazzò via i miei dubbi. Se non era possibile arrivare al socialismo per la via democratica, che la Unità popolare aveva tentato in Cile, voleva dire che avevano ragione i sostenitori della guerriglia

Esteri - di Carlos Gabetta

10 Settembre 2023 alle 13:27 - Ultimo agg. 17 Ottobre 2023 alle 13:27

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Pinochet spazzò via i miei dubbi: così passai alla lotta armata

Quel giorno ha marcato l’intera mia vita politica, sociale e culturale successiva. A ricordarlo oggi, 50 anni dopo, la prima immagine che ricordo di quell’11 settembre del 1973 è l’espressione di mio padre, Alberto, alla notizia del colpo di stato in Cile e della morte di Salvador Allende. Vecchio sindacalista e vecchio dirigente del partito socialista argentino, mio padre quel giorno passava dalla furia incandescente a una espressione di tristezza che non gli avevo mai visto. “Hai saputo cos’è successo in Cile?” mi chiese avvicinandosi per abbracciarmi. A casa il telefono non smetteva di squillare.

I nostri parenti, i vicini, gli amici e i compagni di militanza chiamavano tutti, erano costernati e furiosi. Fu così, con questa rabbia e con questa tristezza, che si cominciarono ad organizzare le manifestazioni di ripudio al colpo di stato in Cile che nei giorni seguenti inondarono il mio paese, l’Argentina. Poi cominciarono ad arrivare quelli che fuggivano da Pinochet: dirigenti o semplici militanti politici e sindacali che ci raccontavano i dettagli dell’orrore realizzato giorno dopo giorno dai militari cileni, una realtà terrificante che i mezzi di comunicazione non raccontavano ancora. Nell’ambiente progressista della mia famiglia e dei miei amici regnava un clima di rabbioso sgomento alimentato dal fatto che nel nostro paese si stava vivendo un momento di speranza.

Il peronista Hector Campora era stato eletto nel marzo del ’73 e in quel settembre ancora il clima era positivo, unitario, nonostante il peronismo avesse già iniziato quell’involuzione finita poi nella crisi economica. Da lì a poco cominciarono gli assassinii di centinaia di militanti di sinistra compiuti dalla milizia clandestina Triple A fondata dall’ex collaboratore del generale Juan Perón, José Lopez Rega, e dalla moglie di Perón, Isabel Martìnez, che prese il posto di Perón alla presidenza.

In quei giorni di settembre io stavo considerando se entrare o no nel Partito rivoluzionario dei lavoratori argentino (Prt), il cui braccio armato era l’Esercito rivoluzionario del popolo (Erp) e la morte di Allende mi sorprese in un momento di seri dubbi sulla sensatezza di scegliere quella via. Pinochet quei dubbi me li spazzò via. Se non era possibile arrivare al socialismo per la via democratica, trasparente, quasi pedagogica, che la Unità popolare aveva tentato in Cile, voleva dire allora che avevano ragione i “fierreros” (da “fierro”, pistola n.d.t), come si chiamavano allora i sostenitori intransigenti del partito armato.

Come giornalista io avevo accesso ai funzionari dello Stato, ai rappresentanti dei partiti politici, alle organizzazioni sindacali, alle imprese, ragione per cui passai a militare nel servizio di intelligenza dell’Esercito rivoluzionario del popolo. Così, fino al marzo del 1976, pochi giorni dopo il colpo di stato in Argentina del generale Videla, quando in uno scontro armato con forze dell’esercito caddero 12 miei compagni e tra loro la mia compagna, Maria Elena Amadio, dovetti passare alla clandestinità e, da lì, all’esilio.

Fu chiaro poi che la via armata non era la strada adeguata, ma questo lo potemmo vedere dimostrato soltanto molti anni dopo. In quel momento, e di fronte a quello che stava succedendo in America latina, il golpe in Cile arrivò ai settori più estremisti della sinistra come conferma che erano loro ad aver ragione. Già c’erano stati i colpi di stato in Brasile, in Bolivia e in Uruguay. La situazione nella maggioranza dei paesi latinoamericani si somigliava. In Cile era accaduto qualcosa ideato, organizzato e diretto dagli Stati Uniti. Non era la prima volta ed era una storia che veniva da lontano. La dottrina formulata dal presidente statunitense James Monroe nel 1823, “l’America per gli americani”, era stata la giustificazione teorica della guerra mossa dagli Stati Uniti al Messico che permise agli Stati Uniti di prendersi la terza parte del territorio messicano.

Dell’invasione del Nicaragua da parte di un filibustiere nord americano riconosciuto come presidente legittimo dagli Stati uniti. E del finto incidente nel porto dell’Avana che provocò una guerra con la Spagna al termine della quale Cuba divenne un protettorato di fatto del suo vicino del Nord. Allo stesso modo il colpo di stato contro la Unità popolare di Salvador Allende fu un golpe voluto dagli Stati Uniti, uno dei tanti voluti dagli Stati uniti che appoggiarono per decenni dittature orrende (Somoza, Trujillo, Batista, Duvallier, Stroessner, Pinochet, Videla) tentarono il sabotaggio di democrazie fino a travolgerle con un golpe (Allende, appunto) organizzarono cospirazioni (Arbenz Guzman in Guatemala) invasero paesi (Nicaragua, Honduras, Santo Domingo, Cuba, Granada) commissionarono assassinii riusciti (Sandino in Nicaragua, Caamaño Deñó a Santo Domingo e Torrijos a Panama) tentarono più volte di uccidere Fidel Castro, approvarono e finanziarono sabotaggi (la malattia del tabacco e la febbre porcina a Cuba) e ignorarono sentenze di tribunali internazionali (la condanna della Corte internazionale dell’Aja per la politica di Washington in Nicaragua). E la lista non è completa.

“È un figlio di puttana ma è il nostro figlio di puttana”. Questa frase di mostruoso cinismo l’ha pronunciata uno dei più carismatici e “progressisti” presidenti nordamericani, Franklin Roosevelt riferendosi a Anastasio Somoza, il primo della dinastia di dittatori nicaraguensi. Ci sono molti insegnamenti da trarre da questa lunga storia. Il tema fondamentale, a mio giudizio, è che le necessarie trasformazioni verso libertà e uguaglianza vanno cercate dentro una cornice repubblicana. Dopo il crollo dell’Unione sovietica è risultato chiaro che il socialismo senza libertà è impossibile, oltre a risultare una contraddizione in termini. Nonostante abbia bisogno di cambiare per adattarsi al socialismo, il sistema repubblicano deve essere difeso dagli estremismi tanto di destra che di sinistra.

Si tratta di un lungo e tortuoso cammino nel caotico mondo attuale, dove crescono e hanno appoggio popolare proposte di estrema destra di fronte alla crisi e al disorientamento delle sinistre con le eccezioni, molto rare, del caso. Così come aveva previsto Carlo Marx il sistema capitalista è entrato davvero in una fase di contraddizione senza soluzione dentro la logica del sistema tra le sue forze produttive, la forma nella quale si produce, e le sue relazioni di produzione, la forma nella quale vengono distribuiti i profitti. L’informatica i progressi tecnologici fanno sì che il capitalismo produca sempre più beni a maggiore velocità, ma ogni volta con meno bisogno di manodopera umana. Ossia aumenta esponenzialmente l’offerta, ma diminuisce la domanda.

Questa è la crisi che vive oggi il sistema capitalista. E i suoi effetti così come successe nella crisi del ’29 (Mussolini, Hitler, Franco) sono l’aumento delle crisi economiche e sociali e la fortuna dei leader di estrema destra: Trump negli Stati Uniti, Le Pen in Francia, Vox in Spagna, Meloni in Italia e così via. Nella situazione in cui siamo l’esempio dell’Unità popolare cilena e di Salvador Allende, di quel tentativo di socialismo democratico, deve essere ricordato, rivendicato e proposto come unica soluzione possibile. Un cammino lungo, nell’attuale contesto mondiale difficile, e dall’esito imprevedibile. Però non c’è da abbassare le braccia. C’è anche anzi da ricordare quel “pessimismo dell’intelligenza e ottimismo della volontà” di Antonio Gramsci. L’esempio di Salvador Allende, questo socialista che diede la vita per le sue idee, è la bandiera da alzare al cielo.

*Ex direttore di Le Monde Diplomatique (edizione latinoamericana)

10 Settembre 2023

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