L'intervista
“Chi vuole la fortezza Europa aiuta gli scafisti”, intervista a Marco Bertotto
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Marco Bertotto è responsabile Advocacy di Medici Senza Frontiere Italia. Da oltre 20 anni si occupa di azione umanitaria e cooperazione internazionale, collaborando in Italia e all’estero con diverse organizzazioni non governative. Ha lavorato e coordinato missioni sul campo in Albania, Bangladesh, Haiti, Iraq, Israele, Giordania, Libano, Cisgiordania e Uganda. Dal 2001 al 2005 è stato Presidente di Amnesty International Italia. Le sue affermazioni, le sue denunce, derivano da una ultraventennale esperienza sul campo. “Bloccare le frontiere – rimarca Bertotto – è irresponsabile e sbagliato. La politica della fortezza-Europa, delle frontiere inespugnabili è la vera ragione del business di scafisti senza scrupoli”. Quanto all’accordo con la Tunisia, il direttore dei programmi di Msf Italia va giù durissimo: “La retorica securitaria, che muove l’intesa con Tunisi – ha portato a un ripugnante accordo fotocopia di quelli già siglati con Turchia e Libia, che hanno solo moltiplicato violazioni e sofferenze. Si aggiungono altri chilometri ad un muro già in costruzione lungo tutto il Mediterraneo, su cui si infrangono migliaia di vite”.
“Europa assassina. Lasciati morire vicina alla Sicilia, mentre Francia e Italia litigano e sorridono a Saied”. È il titolo di apertura de l’Unità sull’ultima strage di migranti – 41 morti, tra cui 3 bambini – al largo di Lampedusa. Il Mediterraneo è sempre più un enorme cimitero marittimo. Che estate è questa sul fronte migranti?
Un’estate estremamente calda. Nel senso che per una serie di ragioni connesse a contesti di emergenza, conflitti, situazioni croniche che continuano nel tempo, i numeri sono tornati ad essere numeri importanti. Sono numeri che credo ci consegneranno alla fine dell’anno una situazione non diversa da quella che abbiamo vissuto nel 2016, ad esempio, quando arrivarono 181mila persone. L’anno scorso ne sono arrivate 105mila, oggi siamo già attorno ai 90mila. Possiamo attenderci qualcosa di simile ai volumi che negli ultimi anni non avevamo più visto. In una situazione, però, diversa da quella che avevamo nel 2016.
In che senso diversa?
Nel frattempo sono successe varie cose. Intanto è cambiato un atteggiamento generale dei governi. O meglio, si è ulteriormente sviluppata quella logica di deterrenza, di espulsione, di fortezza-Europa che è arrivata anche a costruire la logica del non soccorso, la logica, aberrante, del boicottaggio del sistema di soccorso in mare. Nel 2016, quei numeri così importanti, erano numeri di persone che prevalentemente venivano soccorse in mare e arrivavano in Italia a valle di un sistema di soccorso coordinato.
Mentre oggi?
Oggi quel sistema di soccorso coordinato è stato smontato ed in parte è stato smontato anche il sistema di accoglienza, con il nuovo capitolato del 2018. Nei fatti oggi c’è un sistema di accoglienza che è totalmente incapace di gestire in modo dignitoso l’accoglienza di queste persone. Ci troviamo di fronte a delle situazioni, penso all’ordinanza di qualche giorno fa a Bologna, penso ad una serie di cose che stanno succedendo in Toscana ma un po’ in tutta Italia, una situazione poco rappresentata e poco raccontata, perché è calato anche un tremendo silenzio su quello che sta avvenendo. Oggi abbiamo a che fare con un sistema assolutamente destrutturato e incapace di gestire la complessità di una situazione come quella che si sta verificando.
Medici senza Frontiere continua, a prestare soccorso in mare, con la nave Geo Barents, nonostante la guerra alle Ong dichiarata dal governo che porta con sé anche quella che è stata efficacemente definita la “logistica della crudeltà”, quella dell’assegnazione di porti lontani dalle zone di salvataggio. Che sfida è quella che continuate a lanciare?
È una sfida in solitudine, nel senso che il soccorso in mare, come dicevo prima, è stato smontato. Per essere più precisi, va detto che negli ultimi mesi c’è di nuovo da parte della Guardia costiera una maggiore proattività nelle attività di soccorso, anche oltre quelle che erano le zone ristrette in cui negli ultimi anni si concentrava l’attività di soccorso. Non c’è più, anche se nelle ultime settimane qualcosa per causa di forza maggiore è tornato ad esistere, un’attività di coordinamento di un sistema, perché è negato il sistema di collaborazione tra il pubblico e il privato, le Ong e le autorità pubbliche. Nei fatti le organizzazioni non governative si trovano a continuare a svolgere un’attività di soccorso in mare che è un’attività fondamentale, centrale, soprattutto in una situazione in cui siamo tornati ad avere dei tassi di mortalità altissimi, in un anno in cui ci sono stati tanti incidenti in mare, quello di Cutro è sicuramente per l’Italia quello più drammatico. Un anno in cui credo non ci sia stata settimana senza morti in mare, e nonostante le Ong svolgano una parte minima ormai di queste attività di soccorso, continua una incredibile attività di boicottaggio e di provocazioni nei confronti delle Ong le cui navi di salvataggio vengono costrette a interminabili traversate per portare le persone in porti che spesso sono indicati nel nord del paese, con una serie di scuse e motivazioni che nascondono null’altro che un tentativo chiaro di boicottare le attività di soccorso delle Ong fine a renderle impossibili.
Poi c’è il capitolo dei memorandum.
Un capitolo infausto. È una linea di continuità della vergogna dell’Europa e degli Stati europei. È iniziata molto tempo. Basti pensare all’accordo Ue-Turchia, nel 2016, all’accordo con la Libia del 2017 e poi adesso a quello con la Tunisia. La raccontano, l’ha cercato di fare la recente Conferenza di Roma dal titolo migrazione e sviluppo, come una logica di costruire dei partenariati con un approccio sistemico alle migrazioni per renderle non più necessarie.
Ma nei fatti si tratta di accordi disumani, di esternalizzazione delle frontiere. Finalizzate ad un unico obiettivo…
Quale?
Far fare agli altri quello che noi non vogliamo o non possiamo fare. A tutti i costi. Senza alcuna forma di condizionalità, senza alcuna attenzione alla problematica dei diritti umani. Non è una storia nuova. Quello che è inaccettabile è che non si comprenda l’inutilità oltre che la disumanità di questa strategia. Disumana, perché il risultato si deve misurare nel numero di persone che sono abbandonate nel deserto tra la Tunisia e la Libia o la Tunisia e l’Algeria, o nel numero di persone che vengono riportate a forza nei centri di detenzione in Libia, attraverso l’attività di supporto alla cosiddetta Guardia costiera libica e ora anche a quella tunisina. Attività finalizzate all’intercettazioni in mare poi dipinte come interventi di soccorso mentre in realtà si tratta di respingimenti collettivi fatti operare da paesi terzi per riportare le persone in condizioni drammatiche. Oltre che disumana, questa è una strategia inutile.
Perché inutile?
Perché non ha contribuito e non contribuirà in alcun modo a costruire delle logiche di migrazione basate su una gestione ordinata dei flussi. Sono tutte balle. In realtà dietro c’è un cinico tentativo di completare il muro nel Mediterraneo che separa l’Europa dall’Africa. Questa è la logica razzista e disumana che sta dietro a questa strategia.
C’è anche una semantica della crudeltà. Il riferirsi a queste persone come a carichi residuali e altre nefandezze del genere.
Quello semantico è un elemento che racconta bene quello che c’è dietro a determinate politiche. È una narrazione comunicazionale che supporta politiche discriminatori ed etnocentriche. C’è da dire anche che non c’entra quasi più il colore del governo di turno. Ormai è una chiara strategia, che è diventata la strategia dei paesi del nord del mondo. Noi la denunciamo per l’Europa ma l’abbiamo vista applicata in Australia, la vediamo applicata ancora negli Stati Uniti. Quella della costruzione di muri, è una logica che ormai è diventata pervasiva. Con conseguenza che noi come organizzazioni umanitarie vediamo in tantissimi contesti. Come Msf operiamo in mare, operiamo in Italia ma gli effetti devastanti di questa logica securitaria la vediamo anche in Grecia, sulla rotta balcanica, nei paesi di destinazione in nord Europa. Abbiamo anche dei progetti tra la Libia e altri paesi di provenienza che ci dà un osservatorio unico, utile per capire cosa c’è dietro, quanta sofferenza e quanti drammi si consumano dietro politiche che hanno tratti di razzismo celati dal buon governo.
Occorrerebbe tornare a “Mare Nostrum”, e farlo se possibile in chiave europea. L’Europa unita nel salvataggio dei disperati e non nella costruzione di muri che li respingano.
Msf è presente, e testimone scomodo, sui fronti di quelle che sono le guerre “dimenticate”. Nel mondo oggi ce ne sono 55.
Sono emergenze croniche, colpevolmente ignorate dai mezzi di comunicazione. C’è giustamente attenzione sull’Ucraina, dove si consuma un conflitto con conseguenze devastanti e importanti ricadute geopolitiche, ma poi ci sono conflitti che hanno una storia di tanti anni e che non hanno neanche più un minimo di attenzione a livello di dibattito pubblico o di preoccupazione delle diplomazie. In un mondo segnato da così tanti conflitti prolungati, non possiamo non attenderci un aumento come quello segnalato dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Una crescita enorme degli spostamenti di persone, una moltitudine crescente costretta alla fuga. L’Europa riceve oggi un numero un po’ superiore di migranti forzati rispetto agli ultimi anni, anche se tutte le statistiche dicono che l’80% circa delle persone in fuga si ferma comunque nel proprio paese o in quelli confinanti. Ma quando un conflitto si prolunga nel tempo e diventa una crisi cronica, allora le persone cominciano a fare dei ragionamenti di prospettiva e perdono interesse a restare nella zona. Viene meno la speranza di poter tornare nel proprio paese e inizia una logica di percorso migratorio più ampio. Se l’Europa invece di mettere il 100% delle preoccupazioni alla cosiddetta difesa dei propri confini, iniziasse a lavorare in maniera più seria e fattiva su un intervento strutturato che cerchi di ridurre le ragioni che spingono le persone alla fuga, puntando sulla cooperazione internazionale, l’aiuto umanitario, adotterebbe una strategia meno cinica e molto più efficace e lungimirante per una gestione più ordinata e dignitosa della mobilità umana.