Due anniversari e due pensieri
Strage di Marcinelle e bomba atomica a Nagasaki: ricordate qualcosa?
Editoriali - di Piero Sansonetti
Ieri e oggi cadono gli anniversari di due episodi importanti nella storia del novecento. E anche nella storia della modernità. Il nove agosto del 1945 l’aeronautica degli Stati Uniti lanciò una bomba atomica sulla città di Nagasaki, in Giappone, uccidendo circa 40 mila persone sul colpo. Altre 30 mila morirono nei giorni e nei mesi seguenti per le conseguenze dell’esplosione. Molte altre migliaia di persone, anche bambini non ancora nati, risentirono delle conseguenze della ricaduta nucleare. Da quel giorno l’essere umano non ha mai più fatto uso di bombe atomiche.
L’otto agosto di undici anni dopo, cioè del 1956, alla periferia di Marcinelle, piccola cittadina proprio al centro del Belgio, scoppiò un terrificante incendio in una miniera di carbone dove lavoravano, a centinaia di metri sotto terra, 275 minatori. I soccorsi furono impossibili. Morirono 262 persone. Ci furono solo 13 superstiti. La maggioranza delle vittime, 136, erano migranti italiani. Credo che sia stata la più grande tragedia della nostra emigrazione. È stata spesso celebrata, dai giornali e dalle autorità, non credo che sia stata mai ben capita.
Il bombardamento di Nagasaki avvenne giusto tre giorni dopo la bomba di Hiroshima. Che aveva già ucciso almeno 100mila persone. Fu una scelta particolarmente criminale, da parte della Presidenza degli Stati Uniti dove da pochi mesi si era insediato il vice presidente Harry Truman che aveva preso il posto di Franklin Delano Roosevelt, morto improvvisamente in aprile, pochi mesi dopo la rielezione.
Gli Stati Uniti avevano già mostrato la potenza della nuova arma micidiale, messa a punto da una straordinaria compagnia di scienziati, guidati da Oppenheimer, e tra i quali un ruolo decisivo ebbe il nostro Enrico Fermi, fuggito dall’Italia per ripararsi dalla persecuzione antisemita. Non avevano bisogno, da nessun punto di vista, di una ripetizione dell’eccidio per spingere il Giappone alla resa. È difficile accettare come legittimo l’uso dell’atomica a Hiroshima, ma con qualche indulgenza si possono prendere in considerazione le giustificazioni americane (“volevamo a tutti i costi porre fine alla guerra”). Nagasaki (che oltretutto fu colpita per sbaglio, perché il pilota era stato incaricato di gettare la bomba su Kokura, ma lui trovò troppe nuvole e cambiò obiettivo) non ha alcuna giustificazione. È uno dei più grandi crimini di guerra mai commessi da uno stato democratico.
Perché ricordare queste due date? Perché ci parlano di due cose importanti. La prima è che l’immigrazione non è un atto di protervia degli immigrati che vogliono invadere le nostre città. L’immigrazione economica vale come tutte le altre. I ragazzi morti a Marcinelle erano ragazzi italiani emigrati per ragioni economiche, e non intendevano invadere il Belgio.
La seconda cosa che ci dicono è che la guerra è la più infame delle attività umane. E che può spingere persino gli establishment democratici, persino una brava persona come Truman, a commettere crimini non meno gravi di quelli che commettono i tiranni. Sarebbe giusto pensarci proprio oggi, con un occhio alla guerra alla Russia. E capire che non va mai invocata l’etica per giustificare una guerra. Non dire mai: ma questa è una guerra giusta. La guerra degli americani, nel 45, era una guerra giusta. Forse la più giusta di tutte le guerre. Eppure Nagasaki resta il maggior crimine di guerra commesso dall’umanità.