L'intervista

“Solidarizzare, donare: è questa la vera bellezza”, parla Noemi Di Segni

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

9 Agosto 2023 alle 18:00

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“Solidarizzare, donare: è questa la vera bellezza”, parla Noemi Di Segni

La bellezza delle diversità. La bellezza della solidarietà. La bellezza del donare. In tutta Europa la Giornata della Cultura Ebraica del prossimo 10 settembre sarà dedicata alla Memoria. Solo l’Italia ha fatto una scelta diversa, indicando come filo conduttore il tema della “Bellezza”. Firenze la città capofila di un’edizione che si pone l’obiettivo di far conoscere e valorizzare il patrimonio storico, architettonico, artistico e archeologico e di stimolare una riflessione sulle peculiari declinazioni del “bello” da un punto di vista ebraico. L’Unità ne parla con Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei). “Bellezza – spiega la presidente dell’Ucei – non è sinonimo di dedizione superficiale a qualcosa di esteriore o estetica superficiale, del magnifico edificio fine a se stesso o attitudine all’eccesso ma esattamente il contrario: la cura del dettaglio per rappresentare dedizione e rispetto di quell’insieme che forma la dimensione religiosa ebraica, che passa anche attraverso il termine “Hidur Hamizvà”: le relazioni interpersonali, la relazione con il creato, con il nostro creatore, con le sacre scritture. La cura nel quotidiano cosi come nelle giornate più alte, nell’antichità così come nell’oggi, la Gerusalemme capitale e le singole comunità ebraiche che nei secoli hanno radicato pensiero filosofico, canti, arti letterarie e musicali”.

Quest’anno l’Ucei ha deciso di orientare la Giornata europea della cultura ebraica sul tema della bellezza. La bellezza delle diversità, la bellezza della solidarietà, la bellezza del donare… la bellezza può sconfiggere un mondo così “brutto”?
Il tema bellezza è intanto per far capire che la bellezza può entrare anche in una dimensione, in una sfera, quella religiosa, che si pensa debba essere, per sua natura, molto sobria, molto attenta, molto rispettosa. La bellezza non vuol dire essere effimeri e superficiali. Perché non è fine a sé stessa. È un qualcosa che riguarda l’attenzione con la quale ci si dedica a qualcosa che ha molto importanza.
E far bello un qualcosa che è importante vuol dire che si capisce quanto questa cosa richieda dedizione e attenzione. Sembra un po’ un gioco di parole, ma il concetto è che in tutte le dimensioni dell’ebraismo e anche nella dimensione relazionale, l’essere belli, il far bello le cose che ci sono di contorno, che possono essere gli edifici in cui viviamo, le tavole che apparecchiamo, i modi in cui vestiamo, e l’attenzione che diamo ai luoghi, ai testi, questa bellezza equivale a spessore del contenuto delle cose che dobbiamo curare specialmente nelle relazioni umane. E questo comprende anche l’attenzione all’altro. È riconoscere il bello anche nell’altro da sé. Perché l’altro lo fa con la stessa intenzione.
Una attenzione speciale che argina la trascuratezza facendoci apprezzare i momenti che scandiscono la vita, da un lato, e al contempo argina l’idolatria e quel fascino di bello e di iconico che appartiene all’altrui fede o culto che disperde nelle generazioni il popolo. La diversità è ricchezza. È bellezza.

Vorrei provare con Lei a declinare alcune di queste “bellezze” che saranno al centro della giornata di Firenze. La bellezza delle diversità.
Il concetto della bellezza delle diversità è quello di riconoscere che ciascuno nasce in questo mondo, cresce, si sviluppa con un patrimonio che gli viene tramandato da diverse generazioni. Questo patrimonio fa parte di un perimetro che non è soltanto della singola persona ma è di una cultura, di un popolo. Ciascuno ha il bello perché è tramandato, perché fa parte di un qualcosa che trasmette valori importanti. E ciascuno ha un proprio patrimonio che non può escludere la bellezza dell’altro. È proprio il fatto che ciascuno ha una sua tradizione, uno spessore precipuo che riguarda queste tradizioni, tramandate di generazione in generazione, ed è bello proprio per questa capacità di preservare, e ciascuno ha il valore del fatto che è riuscito a preservare. Se fossimo tutti uguali, tutti appiattiti, tutti parte di un unico fare, non ci sarebbe questo spessore.

La bellezza della solidarietà.
Questo l’abbiamo vissuta in particolare nel tormentato periodo del Covid. Ci siamo resi conto quanto non è scontato, quando ci sono momenti in cui questo sentimento umano di riuscire a fare, a donare, è il bello degli esseri umani. Non siamo solo delle entità che vivono, che respirano, che hanno soltanto il bisogno di mangiare e di bere.
Abbiamo bisogno di affetto, abbiamo bisogno di cure, abbiamo bisogno di sentire che c’è qualcosa di speciale in ciascuno essere umano. Lo abbiamo visto questo movimento di curare il prossimo, di donarsi per gli altri, e quanto riceviamo, quando diamo agli altri. E questo è qualcosa d’importante da spiegare anche ai nostri figli, ai nostri bambini, che dare equivale a ricevere così tanto.
La bellezza del donare.
Va insieme alla solidarietà. È una sfida in tutte le nostre comunità, di riuscire a dare e a lavorare sulla dimensione del volontariato. Abbiamo comunità, soggetti, enti che hanno molti adempimenti, molti oneri, molte sfide di organizzazione, di sostenibilità, di professionalità. Il mondo in cui viviamo, anche da un punto di vista amministrativo, burocratico, è complesso, a volte insidioso, e come enti dobbiamo essere ligi alle regole, alle leggi che interagiscono con il nostro fare e agire istituzionale.
Il volontariato è veramente la chiave per uscire da quel perimetro che è solo obblighi, doveri, responsabilità formali che vanno tanto remunerate, perché purtroppo è così. Ma c’è un qualcosa che va oltre. È saper fare volontariato. Questa ritengo sia una sfida importante, impegnativa per le nostre comunità e non solo per esse. Fare volontariato non significa sopperire a carenze dello stato nelle sue varie articolazioni istituzionali. Il volontariato non è “supplente” ma “arricchente”. Non serve a colmare carenze e limiti di risorse che gli enti hanno, ma è proprio una dimensione di bellezza. La bellezza di sapersi relazionare tra generazioni, tra fasce sociali diverse. E quando io do qualcosa a chi a di meno, mi sento più bella. Perché sento di aver raggiunto un luogo dello spirito che solo io e la persona che riceve capiamo il valore di quello che ci siamo scambiati.

Cosa dovrebbe essere una “bella politica”?
Quella capace di riconoscere quali siano le esigenze della collettività, del paese nel suo insieme e delle varie comunità locali. Riconoscere le esigenze e saper organizzare le risorse, comprese quelle del volontariato, per dare risposta a queste esigenze. Essere in grado di riconoscere esigenze come rispondere alla solitudine, contrastare le varie forme di violenza, il farsi cura dell’educazione e del contesto dell’ambiente. Queste esigenze richiedono risorse, professionalità, attenzione. Saperle riconoscere e metterle insieme, questa sì che sarebbe una “bella politica”. Tutto questo non è avulso da un contesto internazionale o dalla dimensione spirituale. Non si vive da soli, non si vive per sé stessi. Si vive in un contesto di relazioni. Far valere anche la bellezza, nel caso nostro delle comunità ebraiche, dell’Italia. C’è una bellezza speciale che va fatta conoscere e apprezzare meglio e di più all’estero.

Perché l’altro da sé viene spesso percepito non come ricchezza, come bellezza, bensì come minaccia?
Assistiamo a fenomeni talmente gravosi, opprimenti, dove l’orizzonte sembra non superabile, quell’orizzonte di minacce che sembra stare sempre lì, immutabile. Bisogna avere il coraggio di superare questo orizzonte con determinate risorse, determinate bellezze, determinate forze. Ci sono oggi sfide che prima non c’erano. Il delirio dei social, l’odio on line che veicola l’antisemitismo.
Sembra che questi fenomeni siano più grandi di noi e ci si chiude in sé stessi per cercare di sopravvivere in qualche modo, dicendo allora io penso solo alle mie quattro cose e forse così mi salvo. In realtà è proprio la dimensione del relazionarsi con gli altri che aiuta ad andare oltre questo orizzonte.

Lei ha parlato di queste nuove forme social d’intolleranza, di odio verso chiunque viene visto come un “diverso”. In questo c’è anche il risorgere in forme nuove dei vecchi stereotipi antisemiti?
Sì, l’antisemitismo si manifesta oggi in varie forme e bisogna saperlo riconoscere e classificare come tale. Non si può mascherare dietro varie formule, bisogna conoscere a quali cose appartengono e quali fenomeni esplicitano anche se si presentano in forme nuove e diverse. Oggi ci preoccupa la demonizzazione degli ebrei, indicati come responsabili di ogni male, e questo vale anche per Israele. Sono fenomeni che vediamo e che viviamo tutti i giorni. La nostra speranza è che questi nostri momenti d’incontro, di dialogo, di conoscenza possano servire anche a porre un argine all’odio e ai pregiudizi. Facendo capire che ebraismo non è solo persecuzione, Shoah, malanni e tragedie del passato verso i quali è doverosa la conoscenza, ma che c’è anche tanta bellezza da condividere e da vivere con un certo tipo di leggerezza, che è poi essenza e non superficialità. Ci vuole anche leggerezza nelle relazioni.

Relazioni che son un insieme di diritti e di doveri.
Esatto. Di chi sceglie di vivere in questo paese. Non è che si vive da soli. Si vive in un contesto, lo si accetta e lo si deve rispettare. Con i propri concetti di bellezza declinati in tutte queste dimensioni che abbiamo menzionato, contribuendo così a questo bene esterno alla parte dottrinale e della tradizione antica ma che in realtà prosegue perché alla fine si riesce a inserirlo in un contesto “laico” e apparentemente estraneo. La bellezza come sfida e responsabilità. La bellezza che è realmente tale solo è basata sulla sostanza. È questo il messaggio di speranza che vorremmo lanciare a Firenze.

9 Agosto 2023

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