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Cosa è il codice di Camaldoli, la pietra angolare della Costituzione

Il documento stilato 80 anni fa dagli intellettuali cattolici ha rappresentato un importante passaggio tra il nuovo che stava arrivando e il vecchio che stava crollando

Editoriali - di Stefano Ceccanti - 14 Luglio 2023

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Cosa è il codice di Camaldoli, la pietra angolare della Costituzione

La quasi perfetta contemporaneità nel luglio 1943 tra l’inizio del convegno degli intellettuali cattolici a Camaldoli per scrivere il Codice, transitato poi ampiamente nella nostra Costituzione, e il crollo di Mussolini, ha indubbiamente rappresentato un passaggio importantissimo tra un nuovo che si veniva a creare al posto del vecchio che stava crollando.

Vale però la pena di segnalare alcuni elementi di complessità, che si coglie bene soprattutto dalle memorie di un autorevole partecipante, Paolo Emilio Taviani. Anzitutto non vanno sottovalutate le differenze interne. Quelli che si incontravano non erano tutto il mondo cattolico. C’erano delle differenze passate che incidevano sul presente. Non c’era stata concordanza di visioni nel mondo cattolico complessivamente inteso: il mondo degli ex fucini riunito a Camaldoli, a partire da Montini (non presente di persona), era sempre stato ostile ad una collaborazione col regime, a differenza di Gedda e Gemelli.

Ciò spiega anche la principale novità del testo di Camaldoli rispetto alla dottrina sociale consolidata: per gli autori del Codice le suggestioni del corporativismo, del protezionismo autarchico, non si sarebbero potute salvare nel nuovo quadro democratico, in quanto legate indissolubilmente ad una forma autoritaria di Stato. Non si poteva salvare un corporativismo buono diverso da quello fascista. Ferma questa novità, attenta alle dinamiche delle economie dei Paesi democratici, guai poi a pensare che fosse tutto chiaro e definito. C’era ancora un dilemma tra la posizione sostenuta dagli ambienti più conservatori a partire dal cardinale Tardini, che intendevano favorire un pluralismo politico convinti che questo avrebbe pesato a favore della destra, e i sostenitori di un’unità politica necessitata dal probabile scontro internazionale Usa-Urss con i suoi riflessi interni, che de Gasperi e Montini intravvedevano da allora.

Non a caso qualche anno dopo ritroveremo Tardini neutralista e scettico sull’adesione dell’Italia alla Nato e Montini nettamente favorevole. Solo l’unità dei cattolici raccomandata dalla gerarchia a partire dall’iniziativa degasperiana avrebbe in seguito garantito un ancoraggio democratico aperto. Per questo vi è un’omissione nel Codice con la totale mancanza di riferimenti ai partiti. Chiarita questa complessità di fondo quali i pregi e quali i limiti del Codice? I pregi sono quelli transitati negli articoli della Costituzione economica: la dignità del lavoro, i limiti alla proprietà privata, il giusto salario, i sussidi di disoccupazione, i diritti pensionistici, la tutela della salute del lavoratore, l’importanza dei sindacati, l’estensione dell’istruzione alle classi più deboli e più in generale il concetto ampio di bene comune, prima identificato soprattutto col ruolo della Chiesa per la salvezza delle anime a cui lo Stato avrebbe dovuto dare spazio a prescindere dalle sue caratteristiche più o meno liberali o democratiche.

Il modello interventista così delineato era certo discontinuo rispetto a visioni da Stato minimo e corporative, ma non era comunque statalista perché esso si collegava alle economie e alle società aperte dell’area occidentale e valorizzava la Repubblica in chiave di sussidiarietà più che lo Stato. In questo era almeno parzialmente diversa rispetto alla nota impostazione dossettiana: secondo il politico reggiano l’obiettivo doveva essere ben più elevato, quello di rifacimento dall’alto della società civile, come dichiarato poi nel discorso ai Giuristi Cattolici del 1951. Obiettivo difficilmente conciliabile con una democrazia liberale perché, come rilevato da Scoppola, finiva per riproporre un sostanziale monopolio del bene comune da parte dello Stato, “non frutto della dialettica delle realtà presenti nella società”.

Perché segnalare questi pregi? Perché in anni recenti gli articoli della Costituzione economica sono stati superficialmente accusati di statalismo, dimenticando appunto i due aspetti chiave. Il primo è che gli autori erano anche contemporaneamente sostenitori del progetto europeo, che portava con sé la lotta a chiusure corporative: ruolo dello Stato e limiti alla sovranità verso l’alto si tenevano insieme; quando l’articolo 41 della Costituzione parla di “controlli” lo fa anche per prevenire la formazione di monopoli, ossia al tempo stesso per fini sociali e strumenti liberali. Il secondo è la valorizzazione della sussidiarietà: come ricordava Vittorio Bachelet in sintonia con Taviani l’articolo 41 della Costituzione ha preferito la parola “programmi” a quella di “piani” per indicare una programmazione per incentivi, per premi e punizioni, più che attraverso una gestione diretta statale generalizzata.

I limiti del Codice consistono nell’uso tradizionalistico del diritto naturale: ritroviamo tra l’altro il carattere gerarchico del rapporto marito-moglie nel matrimonio, la distinzione tra figli legittimi e illegittimi col rifiuto di equipararne i diritti, le scuole riservate alle sole donne per la loro funzione familiare, il rifiuto della libertà religiosa con la sola ammissione della tolleranza. Questa parte sembra segnata in modo marcato dall’eredità negativa dell’intransigentismo e, quindi, dall’insistenza su una sorta di peculiarità italiana, da una debolezza del Paese che solo una sorta di tutela religiosa avrebbe potuto innervare e salvare.

Posizioni ribadite poi nella Settimana Sociale del 1945, che non trovavano consenziente il Presidente del Consiglio de Gasperi, che le affrontò anche con una certa efficace ironia: “Ci si trova in un’atmosfera ossigenata. Non sempre quando si scende dall’alta montagna è possibile mantenere la stessa atmosfera ossigenata e direi non sempre la tessa prospettiva può essere attuata quando si tratti di dover fissare una pratica di convivenza civile che tiene conto delle opinioni altrui e che deve cercare una terza via di mezzo fra quelle che possono essere le aspirazioni di principio e le possibilità di azione”.

Dall’azione dello statista trentino si dipanò una completa iniziativa a vocazione maggioritaria, che il Codice aveva anticipato nella parte economico-sociale, ricorrendo anche a un cattolico di tradizione socialista come Ezio Vanoni. Ogni tanto viene richiamato a torto, in modo antistorico, come base per iniziative cattoliche nostalgico-identitarie, per auto-ghettizzazioni, quando fu appunto allora, con i limiti delle divisioni dell’epoca, esattamente il rovescio: un contributo laico per tutti.

14 Luglio 2023

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