Colera, quali sono i sintomi della malattia ricomparsa a Cagliari: la cura, la trasmissione e il vaccino

Salute - di Redazione Web

10 Luglio 2023 alle 16:40

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Colera, quali sono i sintomi della malattia ricomparsa a Cagliari: la cura, la trasmissione e il vaccino

La notizia del caso di colera identificato a Cagliari ha immediatamente destato preoccupazione: impossibile non tornare indietro con la mente alle pandemie che in passato si sono abbattute sull’Italia periodicamente. Ed erano 50 anni che non si sentiva una simile diagnosi in Sardegna. Per il momento si tratta di un caso isolato e subito sono stati avviati i tracciamenti e i protocolli di isolamento. Di cosa si tratta? Quali sono i sintomi? Come si può curare?

Sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità si legge la seguente definizione: “Il colera è un’ infezione diarroica acuta causata dal batterio Vibrio cholerae. La sua tramissione avviene per contatto orale, diretto o indiretto, con feci o alimenti contaminati e nei casi più gravi può portare a pericolosi fenomeni di disidratazione”. “Alcuni ceppi di colera, come il Vibrione 01 e lo 0139, possono causare epidemie e sono particolarmente pericolosi. Altri possono manifestarsi solo con casi isolati. Per capire se quello di Cagliari è un caso isolato o dobbiamo aspettarcene altri, dobbiamo aspettare i risultati delle analisi del sierotipo. Solo così possiamo capire meglio di cosa stiamo parlando”. Lo spiega all’ANSA Claudio Mastroianni, professore di malattie infettive all’Università la Sapienza di Roma e presidente della Società italiana di malattie infettive e tropicali.

I sintomi sono quelli tipici di una gastroenterite infettiva molto intensa. Secondo quanto descritto dall’Iss, il periodo d’incubazione della malattia varia solitamente tra le 24 e le 72 ore (2-3 giorni), ma in casi eccezionali può oscillare tra le 2 ore e i 5 giorni, in funzione del numero di batteri ingeriti. Nel 75% dei casi le persone infettate non manifestano alcun sintomo. Al contrario, tra coloro che li manifestano, solo una piccola parte sviluppa una forma grave della malattia.

Tra i sintomi più evidenti c’è la diarrea, acquosa e marrone all’inizio chiara e liquida successivamente (tipico è l’aspetto ad “acqua di riso”). In alcuni soggetti la continua perdita di liquidi può portare alla disidratazione e allo shock, che nei casi più gravi può essere rapidamente fatale. La febbre non è un sintomo prevalente della malattia, mentre possono manifestarsi vomito e crampi alle gambe. “Provoca diarrea profusa e acquosa, che comporta grave disidratazione, quindi in primis vanno somministrati liquidi, per via orale e eventualmente endovenosa. In solo l’1% dei casi – prosegue il presidente della Simit – può avere un decorso grave e fatale. Questo dipende dalla carica batterica ingerita e sall’età del paziente: sono più a rischio persone molto anziane e neonati”.

L’Iss spiega che il colera può essere contratto in seguito all’ingestione di acqua o alimenti contaminati materiale fecale di individui infetti (malati o portatori sani o convalescenti). Può essere trasmesso anche attraverso il cibo: i più rischiosi sono quelli crudi o poco cotti e, in particolare, i frutti di mare. Anche altri alimenti possono comunque fungere da veicolo. Le scarse condizioni igienico-sanitarie di alcuni Paesi e la cattiva gestione degli impianti fognari e dell’acqua potabile sono le principali cause di epidemie di colera. Il batterio può vivere anche in ambienti naturali, come i fiumi salmastri e le zone costiere: per questo il rischio di contrarre l’infezione per l’ingestione di molluschi è elevato. Senza la contaminazione di cibo o acqua, il contagio diretto da persona a persona è molto raro in condizioni igienico-sanitarie normali.

“Quando si verifica un caso – precisa l’infettivologo – viene effettuato il tracciamento partendo dalla ‘persona indice’ per capire cosa ha mangiato, dove è stato, se ha contagiato o se è stato contagiato da familiari. Casi sporadici sono avvenuti in Italia negli ultimi decenni, ma l’ultima vera epidemia si è verificata negli anni Settanta nel napoletano“. All’epoca, una grossa ed efficace campagna di vaccinazione di massa consentì di spegnere il focolaio. Esiste un vaccino contro il colera “non molto efficace e consigliato a chi si reca in zone dove la malattia è endemica, ovvero in Paesi molto poveri. Ma ci sono modi per proteggersi, perché il microbo del colera è molto labile, risponde bene a disinfettanti e detergenti“. Igiene delle mani, evitare il consumo di frutti di mare crudi bere, acqua in bottiglia e un’accurata pulizia delle cucine sono fondamentali per evitare la diffusione. “Poi – conclude – se emergesse la contaminazione di acque andrebbe fatto un lavoro di controllo del corretto funzionamento della depurazione dei sistemi fognari”.

Tra gli infettivologi c’è an che chi resta moderatamente cauto e invita a fare attenzione. “Non c’è bisogno di fare allarmismo ma è evidente che scoprire dopo 50 anni dall’ultimo caso di colera in Sardegna che c’è ne è un altro, vuol dire che qualche cosa non va. Il colera è una infezione che colpisce l’uomo nel momento in cui le cose non funzionano dal punto di vista fognario”. Così a LaPresse Matteo Bassetti, direttore Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova. “È endemico in alcuni paesi, in Asia e in India, lo è stato in Ucraina recentemente per via della guerra. Stiamo parlando di paesi a moderato o basso sviluppo economico e sociale mentre l’Italia è un paese evoluto dove il colera non dovrebbe esserci più“, ha aggiunto sottolineando come serve “fare delle riflessioni dal punto di vista dell’igiene pubblico. In Italia il colera è una malattia che si può gestire, è una gastrointerite con una quantità di scariche giornaliere per cui a un certo punto una persona rischia di morire disidratata ma si cura, si gestisce. Il problema non è il caso di questo signore, il problema è che se in Italia torna il colera dopo 50 anni dobbiamo tutti insieme riflettere sul fatto che qualcosa non ha funzionato”.

10 Luglio 2023

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