L'arte soffocata
Storia della censura della Dc ai film: da Brando a Pasolini tra tagli, sequestri e repressione
Nella Penisola si è scatenata la polemica contro la fatwa scagliata da Putin su due opere Lgbt italiane. Ma nel cinquantennio dell’egemonia democristiana sono state mutilate decine di capolavori
Cinema - di Chiara Nicoletti
È difficile non ricordare la fine del film premio Oscar Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore e il suo protagonista, da solo nella sala cinematografica, a guardare il contenuto della bobina di pellicola che il suo amico Alfredo (Philippe Noiret), il proiezionista del paese dov’è nato, gli ha lasciato prima di morire: un montaggio di tutte quelle scene che erano state censurate dalle proiezioni del cinema di quartiere, per volere del parroco.
Baci su baci che emozionano, commuovono e ricordano la magia delle immagini in movimento. Il bianco e nero di quelle scene e l’ambientazione di quel film fanno pensare a qualcosa di lontano, un mondo antico le cui regole ferree, come quella della censura, erano retaggio di un’epoca o soltanto di un paesino chiuso e retrogrado. È invece notizia di pochi giorni fa, proprio a chiusura del mese del Pride che il garante delle comunicazioni della Russia di Putin ha ufficialmente attaccato e multato due prodotti italiani come la serie Made in Italy con Margherita Buy e il film campione di incassi di Paolo Genovese, Perfetti sconosciuti, perché violavano la “legge sulla propaganda Lgbt” che vieta di promuovere in pubblico “rapporti sessuali non tradizionali”.
Nel primo caso, la serie ambientata nella Milano della moda negli anni 70, mette in scena una relazione gay tra due personaggi, il grafico di una rivista (Maurizio Lastrico) e un modello (Saul Nanni). Nel secondo, come tutti ricordiamo, verso la fine della cena scopri-segreti, il personaggio di Giuseppe Battiston confessava finalmente la propria omosessualità agli amici di una vita. I distributori russi di entrambe le opere sono stati accusati di violazione delle norme sulla “tutela dei minori dalle informazioni dannose”. Duole constatare che tutto ciò sembrerà assurdo e inconcepibile soltanto a chi, in Italia, ignora o ha semplicemente dimenticato che la censura nei confronti dell’audiovisivo è cessata di esistere nel nostro paese nel vicinissimo 2021 per mano di un decreto firmato da Dario Franceschini e che i vari governi italiani, in primis quelli del cinquantennio 1944-1994 dominato dalla Democrazia Cristiana, hanno fatto spesso uso della cesoia per deturpare, modificare o impedire a grandi opere di raggiungere la sala oppure di accedervi integrali come erano state concepite.
Per tornare indietro con la memoria e ricordare che c’è stato un tempo molto vicino in cui in Italia accadevano cose persino peggiori della ghigliottina anti-lgtbq+ russa, racconteremo i casi più eloquenti ed eclatanti di censura cinematografica di casa nostra tra tagli e veri e propri sequestri di pellicole. Gli anni 70, come si può facilmente immaginare, sono stati i più caldi da questo punto di vista e un bel po’ di esempi emblematici vengono proprio da questa decade, a partire da uno dei più famosi e di certo chiacchierati, fino ad oggi: Ultimo Tango a Parigi, film del 1972 che ha consacrato Bernardo Bertolucci dopo Il Conformista e ha reso celebre l’attrice francese Maria Schneider in coppia con Marlon Brando. La mostra digitale permanente del Ministero Della Cultura, CineCensura.com, a cui attingiamo, che ripercorre la storia della censura cinematografica in Italia con un censimento, definisce questo titolo come “Film simbolo del conflitto tra censura e libertà di espressione artistica”. Di questo film si è scritto, detto tutto e ancor più di tutto.
Nonostante il successo incredibile nella sua prima di New York, elogiato dal New Yorker come “il più potente film erotico mai fatto che può rivelarsi il film più liberatorio mai realizzato”, a Ultimo tango a Parigi fu proibito, dalla Commissione censura, il nulla osta per la proiezione in pubblico poichè Bertolucci non aveva acconsentito a dei tagli. Una volta convintosi a tagliare, il regista riuscì a vedere il suo film uscire nelle sale per pochissimo tempo, per poi venir sequestrato per “esasperato pansessualismo fine a se stesso” e offesa al comune senso del pudore. Nel 1976 la Cassazione dispose addirittura la messa al rogo del film e dunque la distruzione del negativo. Dobbiamo rendere grazie alla copia conservata in Cineteca se oggi possiamo ancora vedere quest’opera. Si dovrà aspettare solo il 1987 e il cambiamento nelle norme a regola del “comune senso del pudore”, per il dissequestro definitivo. Solo nel maggio del 2018, grazie al restauro in 4K a cura della Cineteca Nazionale del Centro Sperimentale di Cinematografia, con la supervisione di Vittorio Storaro per l’immagine e di Federico Savina per il suono, il film ha ritrovato la sala cinematografica.
Ma i guai con questo film non sono finiti per Bertolucci, poiché qualche anno fa Maria Schneider svelò che la famosa scena del burro non era prevista in sceneggiatura, che fu un’idea di Brando con la complicità di Bertolucci e che pur essendo simulata, la fece sentire in estremo disagio psico-fisico. Dal 2013 in poi, questa controversia è tornata ogni tanto a galla, tra smentite, scuse del Maestro e varie versioni della storia. In due momenti poi la diatriba si è fatta particolarmente accesa, nel periodo post #Metoo e in seguito alla scomparsa del regista.
Tornando ai primi anni 70, mentre Bertolucci non se la passava bene, i film stranieri non subivano di certo un trattamento più blando. Clamoroso fu I Diavoli di Ken Russell, del 1971, film che entrò per la prima volta nell’intoccabile area della religione, osando mettere preti e suore in posizioni scomode, non guidati dalla vocazione ma da interessi e passioni personali, a partire da una Vanessa Redgrave madre superiora deforme e accecata dall’ossessione per un parroco.
I Diavoli sconvolse letteralmente la Mostra di Venezia di quell’anno, causando quasi il licenziamento del direttore artistico di allora, Gian Luigi Rondi. Uscito nelle sale cinematografiche il 9 settembre 1971, il film venne subito sequestrato poiché alcune sequenze erano “estremamente oscene, anzi di pura pornografia, non giustificate né dallo scorrere del racconto, né dall’assunto ideologico”. Dissequestrato, fu riproposto con il divieto ai minori di 18 anni. Ad oggi ancora censurato in vari paesi, secondo il critico Adam Scovell, è ancora impossibile vederne la versione originale voluta dal regista.
Pochi anni dopo, nel 1975, si verificò il caso, forse ricordato da tutti, di Salò o le 110 giornate di Sodoma, film postumo di Pierpaolo Pasolini, presentato al pubblico, ad un festival, poche settimane dopo il suo omicidio e che viene da molti considerato come una sorta di testamento del regista e scrittore italiano. Arrivato nelle sale italiane nel 1976, fu subito bandito dalla circolazione per quasi tre anni, per poi essere rimesso nel circuito distributivo nel 1978. Più di ogni altro film o opera del regista, vedi Accattone (1961) o Teorema (1968), Salò generò un’ondata di critiche che coinvolsero in pieno il suo produttore, Alberto Grimaldi, sotto processo per oscenità e corruzione di minori.
Ambientato alla fine della Seconda guerra mondiale e basandosi sul libro del Marchese de Sade, Le 120 giornate di Sodoma, contiene scene di sesso esplicito, coprofagia, stupro e sodomia, come vuole il titolo e rimane, fatta eccezione per alcuni titoli italiani di minore intensità, quasi un unicum nel panorama del cinema di casa nostra e difficilmente replicabile. Nel 2015, alla 72ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia il lungometraggio fu presentato restaurato dalla Cineteca di Bologna e dal Centro sperimentale di cinematografia (come era stato per Ultimo Tango), in collaborazione con Alberto Grimaldi e ricevette il premio per il miglior film restaurato.
Arrivano gli anni 80 ma la commissione censura non si rilassa ed ecco che sotto la sua scure cade, nel 1980, l’opera prima di Renzo Arbore, Il pap’occhio, distribuito per sole tre settimane nei cinema italiani a settembre per poi essere attaccato dalla stampa cattolica e sequestrato “per vilipendio alla religione cattolica e alla persona di S.S. il Papa”. Decaduto il sequestro per un’amnistia e archiviata la denuncia nel 1982, il film è stato nuovamente distribuito nel 1998 seppur privo di un monologo, quello di Roberto Benigni sul Cristianesimo. Grande smacco alla censura e soddisfazione per Arbore, gli interpreti, tra cui anche Manfred Freyberger, Isabella Rossellini, Diego Abatantuono, Luciano De Crescenzo (anche autore della sceneggiatura), Mariangela Melato, ed i produttori: dato che gli incassi furono altissimi, nonostante la brevissima permanenza del film in sala, Il pap’occhio ottenne il Biglietto d’Oro, premio degli esercenti cinematografici.
Nel 1981, ci fu un altro episodio meno ricordato di censura tranchant, quello ai danni de Il Leone del deserto di Mustafa Akkad che non vide mai le sale e subì un procedimento penale poiché considerato “lesivo all’onore dell’esercito italiano” secondo il presidente del consiglio di allora, Giulio Andreotti. Fuori dal periodo di governo della Dc ma comunque caso da annotare, è quello di Totò che visse due volte, pellicola del 1998 scritta e diretta dal duo Ciprì e Maresco.
Come recita Cinecensura.com, la Commissione di revisione cinematografica espresse parere contrario al rilascio del nulla osta per il film in quanto “anti-religioso e offensivo del buon costume”. Il film fu giudicato “degradante per la dignità del popolo siciliano, del mondo italiano e dell’umanità”. In appello la pellicola verrà autorizzata con divieto di visione per i minori di anni 18.
I tagli
Ci sono i film sequestrati, come abbiamo appena letto, e poi ci sono quei titoli che in sala ci sono andati e hanno fatto tutto il percorso, ma tagliati, edulcorati, modificati nella loro interezza così come concepiti dai loro autori, proprio a causa della Commissione censura. È il compromesso che dovette accettare Goffredo Lombardo della Titanus, produttore di Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, che, a quanto pare, all’insaputa delle stesso regista, accettò di effettuare dei tagli per permettere l’uscita in sala del film.
La versione reintegrata è stata restaurata e presentata al Festival di Cannes nel 2015 e poi in Italia, nel luglio dello stesso anno, alla rassegna Il Cinema Ritrovato di Bologna. Nel 2013 intanto, i più cinefili e fan del cinema horror, si saranno ricordati di Ruggero Deodato e del caso del suo Cannibal Holocaust, grazie all’omaggio che Eli Roth gli fece in The Green inferno. Quando si parla di cannibalismo al cinema, infatti, non ci si può esimere dal fare riferimento al regista, maestro del genere a livello mondiale. Uscito con importanti tagli e un divieto ai minori di 18 anni, Cannibal Holocaust ha fatto guadagnare grande fama a Deodato che ha collezionato polemiche, cattivissime recensioni, denunce e persino un arresto.
La scena di una donna nuda impalata dai cannibali fu percepita come talmente vera che il regista fu incriminato per omicidio tanto che per scagionarsi, dovette dimostrare al giudice che i suoi attori erano vivi e che aveva utilizzato dei sofisticati effetti speciali per ricreare un effetto il più reale e documentaristico possibile. Tutti questi problemi non permisero al film di godersi il successo che meritava e al regista di far arrivare il vero messaggio: un atto d’accusa contro i mass media.