Il tema è il reddito

Lo scandalo Ama, non solo ladri dietro i furti di carburante: c’è anche una questione salariale

Cronaca - di Alberto Cisterna

20 Maggio 2023 alle 16:00

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Lo scandalo Ama, non solo ladri dietro i furti di carburante: c’è anche una questione salariale

Pochi giorni or sono le cronache giornalistiche erano polarizzate sullo scandalo Ama. Il denunciato furto di enormi quantità di carburante, sottratti agli automezzi del trasporto pubblico romano da parte di migliaia di dipendenti, aveva acceso i fari sull’ennesimo sperpero di denaro e sull’ennesima malversazione di risorse della comunità. E’ dai tempi della “Casta” che siamo abituati a far di conto con il approfittarsi del denaro pubblico, con gli sperperi, con gli abusi di quanti appartengono alla pubblica amministrazione. La teoria degli sprechi e delle inefficienze si sussegue stancamente da anni con una pubblica opinione sempre meno reattiva, sempre più indifferente, sempre meno fiduciosa. Eppure…

Eppure, questa volta c’è qualcosa che non quadra. Sono note le polemiche sul reddito di cittadinanza, risuonano ancora le vere e proprie campagne mediatiche inscenate per sostenere lo sperpero, per additare i profittatori, per aizzare contro l’imbroglio capillare e generalizzato quasi insito, addirittura implicito in questa misura di sostegno contro la povertà. Ma la questione delle vagonate di carburante di cui si sarebbero appropriati un paio di migliaia di dipendenti dell’azienda romana, si dice addirittura uno su tre, non è assimilabile né agli sprechi della “Casta”, né alle furbizie dei diseredati o dei finti tali.

Questa volta c’è uno stipendio. Non si volgono a proprio vantaggio le funzioni svolte, come per i grand commis dello Stato e delle aziende pubbliche, che profittano delle risorse di cui dispongono per il loro ufficio. Né si dissimulano fondi occulti o lavori in nero per appropriarsi del reddito di cittadinanza. Nel furto sistematico del carburante si avverte uno scarto, si coglie un problema ulteriore. Chiamati a giustificarsi i lavoratori interessati, alcuni tra loro ovvio, hanno detto che avevano un mutuo da pagare, dei figli da mantenere agli studi, di spese da fronteggiare, che lo stipendio non bastava. Si intravede un disagio, una necessità, un’impellenza che avrebbe condotto centinaia di persone a condotte illecite, alla creazione di un sistema di appropriazioni illegali. Nulla di giustificabile, sia chiaro. Il reato è evidente, la responsabilità incontestabile, la punizione necessaria. Ma come non interrogarsi su protocolli retributivi così miseri, su stipendi chiaramente insufficienti, soprattutto nelle metropoli dorate del paese in cui corporazioni di immobiliaristi e di commercianti conseguono profitti enormi? Come non chiedersi se la giusta retribuzione possa mai essere quella che consente la mera sopravvivenza dei nuclei familiari esponendoli a ogni evento avverso o costringendoli a rinunciare a ogni ascensore sociale per i propri figli? Tanti di quei dipendenti saranno disonesti incalliti, ma altrettanti avranno agito sulla spinta dell’emulazione e del bisogno, del così fan tutti.

Torna il tema – cruciale e non prorogabile in tempi di alta inflazione – di adeguare le retribuzioni, di innalzare i redditi, di valorizzare in modo significativo i quozienti familiari, privilegiando i nuclei con più figli e monoreddito, rispetto a quelli di coloro che (per scelta o per il fato) rinunciano a comporre una comunità familiare stabile. Fronteggiare con il codice penale un esercito di marginalità, accettare il degrado di porzioni della nobile classe operaia o del ceto dei lavoratori pubblici in un nugolo di voraci profittatori non è, certo, una prospettiva che la politica può accettare. Non è né di destra, né di sinistra dare vera e ragionevole attuazione all’articolo 36 della Costituzione, ossia al riconoscimento effettivo del diritto del lavoratore al giusto compenso, perché in esso trova fondamento la stessa Repubblica. La quale intanto può dirsi “fondata sul lavoro” (articolo 1) in quanto questo lavoro sia equamente e adeguatamente retribuito e possa assicurare «a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa». Altrimenti la Repubblica affonda nella palude dello sfruttamento e del bisogno e, quindi, nel pericolo del reato.

20 Maggio 2023

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