La kermesse del cinema

Black Flies, a Cannes Sean Penn contro il sistema sanitario Usa: “Vita come merce da assicurare”

Cinema - di Chiara Nicoletti - 20 Maggio 2023

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Black Flies, a Cannes Sean Penn contro il sistema sanitario Usa: “Vita come merce da assicurare”

Cannes – Le mosche nere che danno il titolo internazionale, Black Flies, al film in concorso nella quarta giornata di Cannes 76 sono quelle che si insinuano e attaccano sui cadaveri abbandonati degli invisibili dell’America che “non” conta, raccontata dal regista francese Jean-Stéphane Sauvaire, ispirato dal romanzo di Shannon Burke, 911. Con Sean Penn nel ruolo di un paramedico, Gene Rutkovsky detto “Rut”, veterano di molti orrori tra cui l’11 settembre e Tye Sheridan in quello di Ollie, giovane collega in addestramento ed aspirante medico, il film punta il dito sulla sanità americana e la espone in tutte le sue contraddizioni, da quelle conosciute e mai risolte a quelle letteralmente infernali e inumane che tutt’ora provano a nasconderci. Le hanno scoperte durante la preparazione del film i due attori che, insieme al regista, hanno passato molto tempo sulle ambulanze di New York a fare esperienza di quanto effettivamente narrato in Black Flies. Devastano l’anima e soprattutto la coscienza di chi guarda le ferite immerse nel sangue, gli episodi di violenza domestica, le gravidanze ai limiti dell’umano tra tossicodipendenza e possibili contagi da Hiv e corpi senza vita abbandonati e lasciati all’oblio. Anche questa è la Brooklyn e l’America scoperchiata da Black Flies, j’accuse contro il sistema sanitario americano che ha lasciato lo stesso Sean Penn senza parole e amareggiato.

In conferenza stampa, l’attore e regista parla dei paramedici qui rappresentati come costretti a essere pedine di un un sistema che li vede sia angeli di vita che di morte: “Con i tanti lavori disponibili che ci sono nel campo del primo soccorso, le persone decidono di intraprenderli con il desiderio di servire la gente ed il paese”, riflette l’attore. E aggiunge: “Si trovano però circondati da giochi politici del breve periodo che supportano una sorta di racket. Spero che questo film serva a ravvivare il dibattito sul tema perché i paramedici vengono trattati come fossero una forza primitiva, dei salvatori a cui viene affidato il compito di creare, da soli e in autonomia, un miglior sistema sanitario. Il risultato? Un mero conteggio di corpi e sempre più soldi in mano alle assicurazioni”. Quando hai la libertà, l’onere o il dovere di fare una scelta su chi salvare, curare o soccorrere prima, come nel caso dei protagonisti di Black Flies, non è difficile capire che più di una strada e un modus operandi si apre davanti a chi, invece, dovrebbe solo aiutare, tutti, senza se e senza ma. Quasi a contrapporsi dunque al desiderio più puro e salvifico del novellino Ollie ( Tye Sheridan) c’è lo stanco e rimuginante Rut, il personaggio di Sean Penn che si sobbarca, forse in un ultimo tentativo di sperare nel futuro, anche il ruolo di mentore. Con un piglio documentaristico e uno stile che omaggia, imita o scimmiotta il Paul Schrader della prima ora, Jean-Stéphane Sauvaire realizza, come sottolineato da The Hollywood Reporter, un immersivo e iperrealistico lavoro sugli specialisti di primo soccorso e funziona anche come una vera e propria accusa agli Stati Uniti in cui regna la disparità ed il sistema di sicurezza sociale sta fallendo.

Da tempo ormai, Sean Penn utilizza la sua voce e la sua arte, tra regia e scelte attoriali, per sposare cause sociali, umanitarie e politiche. Non stupisce dunque che, durante la conferenza stampa di Black Flies, abbia anche sfruttato l’occasione di visibilità qui al Festival di Cannes per schierarsi apertamente a favore dello sciopero indetto il 2 maggio (e ancora in corso) dagli sceneggiatori americani, membri della Writers Guild Association, che chiedono una migliore retribuzione e condizioni di lavoro più eque e congrue, soprattutto a colossi come Netflix, Disney, e Amazon. “L’industria ha tenuto in sospeso gli sceneggiatori ed i registi per parecchio tempo. Io li supporto in questa battaglia, ovviamente” ha dichiarato Penn per poi rincarare la dose: “Sono state proposte nuove soluzioni a questa situazione da parte dei produttori, addirittura si pensa di includere l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Reputo questa cosa una oscenità umana! La Producer Guild of America (l’associazione dei produttori) dovrebbe cambiare nome e diventare la Bankers Guild, l’associazione dei banchieri, visto come si comportano”.

Dalla stessa parte di Sean Penn e con gli sceneggiatori c’è anche tutto il team del film protagonista del quarto giorno di Cannes, il quinto e ultimo capitolo dell’iconica saga di Indiana Jones: Indiana Jones e il Quadrante del Destino, presentato fuori concorso e che rappresenta il definitivo addio al personaggio di Indy da parte di Harrison Ford. “Nessun film è possibile senza una grande sceneggiatura e nessun buon copione è possibile senza sceneggiatori. Loro sono i primi ad iniziare un film e spesso anche i primi ad essere dimenticati. Li supporto nella loro battaglia per ottenere ciò che è giusto per tutti noi nell’industria”: queste le parole di James Mangold, regista e sceneggiatore, succedutosi a Steven Spielberg alla regia dell’ultima avventura dell’archeologo più famoso e amato del mondo.

In questa giornata piovosa di Cannes, dell’ultimo Indiana Jones che vedremo al cinema dal 28 giugno distribuito da The Walt Disney Company Italia, rimangono il volto commosso di Harrison Ford, Palma d’Oro alla carriera a sorpresa e artista consapevole della fortuna che gli è capitata nella vita. Mentre letteralmente benedice e ringrazia i suoi appassionati compagni di avventura, a chi gli chiede perché ha dichiarato che questa era la sua ultima volta nei panni di Indy Jones, risponde ironicamente: “Non è evidente? Devo sedermi e riposare un po’ ma la ragione per cui ho fatto questo film è che amo questo personaggio, amo lavorare e amo quello che Indy ha portato nella mia vita”.

20 Maggio 2023

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