Il difensore e il criminale

Calcio e guerra, l’amicizia tra Mihajilovic e “la Tigre di Arkan” Zeljko Raznatovic

Sport - di Antonio Lamorte

15 Maggio 2023 alle 19:56

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Calcio e guerra, l’amicizia tra Mihajilovic e “la Tigre di Arkan” Zeljko Raznatovic

Quando Sinisa Mihajlovic calciava e segnava il quarto rigore nella finale di Coppa dei Campioni del 1991 tra la Stella Rossa di Belgrado e Olympique Marsiglia allo Stadio San Nicola di Bari c’era anche la “Tigre di Arkan”, com’era soprannominato Zeljko Raznatovic, capo ultras della squadra serba e comandante paramilitare considerato responsabile di crimini contro l’umanità nelle guerre dei Balcani. Della sua amicizia con Arkan, Mihajlovic, serbo ma italiano da adozione dopo una carriera lunghissima in campo e da allenatore in Serie A, ha sempre dovuto rendere conto, raccontare, specificare, ci è sempre dovuto tornare a ogni intervista, ogni speciale.

È anche da questa storia che si evince l’influenza dello sport nelle faccende politiche e sociali e in particolare del calcio nelle guerre dei Balcani. Quando il criminale serbo venne assassinato nella hall di un hotel a Belgrado, Mihajlovic gli dedicò un affettuoso necrologio. E per quel necrologio venne sempre giudicato. Mihajlovic in oltre trent’anni in Italia aveva imparato a farsi apprezzare per il suo carattere diretto, senza fronzoli. Non si era mai tirato indietro neanche nel raccontare  questo aspetto: l’aspetto più controverso della sua carriera e della sua personalità.

Mihajlovic aveva conosciuto Raznatovic quando giocava nella Vidiova, in un duro scontro a bordo campo. Il calciatore non sapeva chi fosse, quando lo scoprì “il nome mi fa correre un brivido lungo la schiena”, ha raccontato nella sua autobiografia La partita della vita. Al ritorno niente campo per Sinisa, per sicurezza, che andò in tribuna e poi a mangiare un gelato fuori allo stadio: era la gelateria di Arkan. Il capo ultras era nato nel 1953 in Slovenia: due matrimoni, sette figli, ricercato in diversi in Paesi europei e in galera tra Svezia, Belgio, Olanda e anche in Italia. Era stato tra gli uomini più ricercati dall’Interpol negli anni Ottanta per i suoi crimini coperti dall’attività di agente segreto per conto del governo jugoslavo (per l’UBDA, la polizia segreta jugoslava).

Il soprannome di Tigre è ancora un enigma: forse per un falso passaporto turco o forse per una tigre che compariva in uno dei suoi fumetti preferiti. Era stato arrestato per la prima volta a 18 anni per una rapina in un bar di Zagabria. Di ritorno in Serbia aveva unito la tifoseria della Stella Rossa con i suoi Delije, “gli eroi”, e la società gli aveva donato una pasticceria diventata il suo “covo” – quella dell’aneddoto di Mihajlovic. “Arkan fu gentile, affabile, alla mano. Simpatico. Quando era tranquillo, sapeva essere piacevole. Un uomo totalmente diverso dal sanguinario leader di milizie durante il conflitto che avrebbe devastato il Paese”. I vertici jugoslavi lo avevano convocato e assoldato per organizzare circa tremila uomini delle milizie volontarie che aveva reclutato tra i tifosi del Marakana, lo stadio della Stella, e tra i reclusi nelle carceri di Belgrado. Raznatovic aveva quindi gestito il Centro per la Formazione Militare del Ministero per gli Affari Interni serbo e formato la “Guardia Volontaria Serba” che avrebbe preso il nome di “Tigri di Arkan”, che a partire dall’autunno 1991 ha operato come unità paramilitare lungo la frontiera serbo-croata. Raznatovic avrebbe preso realmente a portarsi dietro un cucciolo di tigre rubato allo zoo di Zagabria.

L’unità paramilitare di Arkan operava allora nel quadro della 6 brigata del corpo d’armata (JNA). Al 4 aprile 1992 risale la strage di 17 persone a Bijelijna da parte dell’unità: con una bomba nel Caffè Istanbul e un’altra bomba presso il macellaio del paese. Le Tigri sarebbero state accusate di altri 400 omicidi nei giorni successivi. La presidentessa della zona controllata dalla Serbia, Biljana Plavsicsi, si recò a Bijeljina per baciare Arkan davanti alle telecamere. Altra carneficina a Brcko: 600 vittime negli insediamenti bosniaco-musulmani con tanto di campo di concentramento. 40 vittime davanti alla moschea di Glogovac. Oltre 20mila persone massacrate a Prijedor e dintorni, 700 a Sanski Most, a Cerska 700 persone.

Le Tigri furono accusate anche di aver aiutato Ratko Mladic a portare a termine il genocidio di Srebrenica, oltre ottomila vittime. L’unità rimase attiva fino all’ultimo giorno di guerra in Bosnia distinguendosi per efferatezza e per la pulizia etnica tra Banja Luka, Sanski Most e Prijedor. Raznatovic tramite saccheggi, contrabbandi di armi, benzina, sigarette e macchine rubate accumulò una fortuna. Era diventato anche presidente di un club di calcio di una serie minore, l’FK Obilic di Belgrado, che vinse anche il campionato e partecipò alla Champions League. La presidenza passò alla moglie, la cantante folk Svetlana “Ceka” Velikrovic, che aveva sposato nel 1995.

Raznatovic nel 1992 era stato anche eletto in Parlamento. Fu l’ex segretario di Stato americano Lawrence Eagleburger a indicarlo come responsabile di operazioni di ‘pulizia etnica’ per le quali era stato accusato anche dai giudici del Tribunale penale per la ex Jugoslavia dell’Aja. Alla vigilia della guerra del Kosovo Arkan disse minaccioso: “Se le truppe Nato entreranno in Jugoslavia i miei uomini combatteranno contro di loro”. Secondo la Nato, nella prima fase della guerra, le sue bande avevano ucciso centinaia di albanesi nella zona di Pec. Negli ultimi mesi di vita si era un po’ allontanato dal leader serbo Slobodan Milosevic. Venne ucciso il 15 gennaio 2000 nella hall dell’Intercontinental Hotel di Belgrado dove era seduto e chiacchierava con due suoi amici. A sparare un poliziotto 23enne in congedo, Dobrosav Gavric, che uccise anche altri due collaboratori di Arkan presenti. La notizia diede il là a diverse spedizioni punitive. Circa ventimila persone parteciparono ai suoi funerali.

Mihajlovic alla notizia della morte fece pubblicare un necrologio in cui definiva Raznatovic “un eroe per il popolo serbo”. A Il Corriere della Sera confermò in un’intervista che avrebbe riscritto quelle parole anche dopo tanto tempo. Il calciatore venne accusato di aver chiesto ai tifosi della Lazio di esporre all’Olimpico uno striscione dedicato ad Arkan. E in effetti uno striscione venne esposto nella partita contro il Bari, nella 19esima del campionato di Serie A, “Onore alla Tigre di Arkan”, del quale il calciatore si disse però estraneo. “Voi parlate di atrocità, ma non c’eravate. Io sono nato a Vukovar, i croati erano maggioranza, noi serbi minoranza lì. Nel 1991 c’era la caccia al serbo: gente che per anni aveva vissuto insieme da un giorno all’altro si sparava addosso. È come se oggi i bolognesi decidessero di far piazza pulita dei pugliesi che vivono nella loro città. È giusto? Arkan venne a difendere i serbi in Croazia. I suoi crimini di guerra non sono giustificabili, sono orribili, ma cosa c’è di non orribile in una guerra civile?”.

Mihajlovic ha sempre preso le distanze dai crimini commessi da Arkan ma non ha mai rinnegato quel rapporto, confermando quello che aveva sempre sostenuto: che l’amicizia risaliva ai tempi della Stella Rossa e che l’ultras-paramilitare si “comportò sempre bene” con lui e con i suoi compagni di squadra. “Quando da Vukovar si spostarono a Belgrado, mia mamma chiamò suo fratello, mio zio Ivo, e gli disse: c’è la guerra mettiti in salvo, vieni a casa di Sinisa. Lui rispose: perché hai portato via tuo marito? Quel porco serbo doveva restare qui così lo scannavamo. Il clima era questo. Poi Arkan catturò lo zio Ivo che aveva addosso il mio numero di telefono. Arkan mi chiamò: ‘C’è uno qui che sostiene di essere tuo zio, lo porto a Belgrado’. Non dissi niente a mia madre, ma gli salvai la vita e lo ospitai per venti giorni”.

In quella stessa intervista al Corriere della Sera Mihajlovic replicava a chi lo aveva definito fascista, in più di un’occasione, durante la sua carriera: “Che vuol dire nazionalista? Di sicuro non sono un fascista come ha detto qualcuno per la faccenda di Arkan. Ho vissuto con Tito, sono più comunista di tanti. Se nazionalista vuol dire patriota, se significa amare la mia terra e la mia nazione, beh sì lo sono”.

di: Antonio Lamorte - 15 Maggio 2023

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