Il varo della manovra

Rigore e soldi alle imprese, per la Manovra un “premio Tatcher” alla Meloni: il Parlamento esautorato

Evitata (ma sfiorata) la crisi. La legge di Bilancio sembra scritta da Monti. Impedita la discussione in Parlamento. Salta il piano casa

Politica - di David Romoli

23 Dicembre 2025 alle 09:39

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Foto Mauro Scrobogna /LaPresse
Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

“Percorso tortuoso ma siamo arrivati in vetta”: mentre la manovra giunge in extremis al Senato per una delle approvazioni più fulminee di tutti i tempi, a cui seguirà la firma praticamente al buio della Camera, il ministro dell’Economia Giorgetti sceglie di vedere la metà piena del bicchiere glissando sullo scacco che ha dovuto subìre ritirando la norma sulle finestre pensionistiche sotto la minaccia di crisi del governo del suo stesso partito, la Lega.

Non che il ministro più austero dai tempi di Mario Monti abbia tutti i torti. Anche senza l’intervento sulle finestre la legge di bilancio sfoggia il suo segno: quello della difesa dei conti pubblici e dello spread ridotto al minimo a ogni costo, e il costo, si sa, è l’austerità. Per i pensionati lasciare il lavoro in lieve anticipo sarà ancora più caro e con meno strumenti a disposizione: farlo sarà più difficile e comunque, dati i costi, lo faranno in pochissimi. Il fiore all’occhiello, taglio dell’Irpef dal 35% al 33%, porterà nella migliore delle ipotesi 400 euro in più all’anno nelle tasche del ceto medio: una miseria. Persino il bonus famiglie è appena un ristoro. Salvini, peraltro, ha pagato la vittoria nello scontro sulle pensioni con un ulteriore taglio ai fondi per il piano Casa, che chiedeva invece di aumentare e con il no secco all’allargamento della rottamazione delle cartelle.

Gli unici a uscire soddisfatti dalla via crucis della legge in commissione Bilancio sono gli imprenditori, che portano a casa praticamente tutto quello che chiedevano: fondi per la Zes, per la Transizione e per il caro materiali, più gli incentivi per le aziende che usano beni strumentali materiali e immateriali nuovi, purché europei. In una delle manovre più povere di sempre, 18,7 mld, un fetta grossa, 3,5 mld spuntati fuori all’ultimo momento vanno alle imprese. E’ la linea della premier ancor più che del suo ministro dell’Economia. Giorgia Meloni non figurava in realtà nel plotone della destra sociale neppure ai tempi di Alleanza nazionale. Ha appena vinto il premio Thatcher e se lo merita: il suo punto di riferimento è quello. Non si lamenta la sempre più folta categoria dei proprietari che trasformano le case in B&B: Fi (e Lega) la hanno spuntata facilmente e la tassa non va oltre il 21%. Si lamentano, ma proprio non dovrebbero, le banche e le compagnie di assicurazioni. Qualcosa in più pagano ma il muro costruito da Tajani ha evitato prelievi anche solo un po’ dolorosi.

E tuttavia lo scontro che per qualche ora aveva portato la temperatura oltre i livelli di guardia non è una tempesta effimera e già sepolta. Per la prima volta da quando il governo è in carica si è parlato di crisi di governo: è un passaggio non secondario. Per la prima volta la tensione che montava da mesi e mesi tra il ministro leghista dell’Economia Giorgetti e il leader della stessa Lega Salvini è emersa in piena vista. Quando per racimolare i fondi necessari alle aziende il ministro ha preso di mira i già maltrattati pensionati, è stato Salvini a muovere i suoi fedelissimi, Durigon e il pasdarano Borghi per minacciare il tracollo del governo. E’ un segnale chiaro e comprensibile. Per tre anni Salvini ha sostanzialmente subìto le decisioni della premier, di un responsabile dell’Economia fedele ma che nell’esericizio della sue funzioni guarda molto più a Draghi che non ad Arcore, di una Fi lanciata all’inseguimento e che, stando ai sondaggi, lo avrebbe ormai raggiunto e superato.
Ormai di fatto in area pre-elettorale Salvini deve invertire quella tendenza e modificare la sua immagine rumorosa ma sotanzialmente inoffensiva. La premier è decisa a cambiare la legge elettorale e l’intera destra non può che convenire, essendo con questa legge non solo possibile ma probabile un esito senza vincitori e senza vinti, soprattutto al Senato.

La nuova legge eliminerà i collegi uninominali, quelli che permettevano al Carroccio di moltiplicare il potere di condizionamento e dunque i seggi. Ci dovrebbe essere un proporzionale puro ma con premio di maggioranza e dunque la competizione interna sarà giocoforza molto rafforzata. Per competere, un Salvini peraltro galvanizzato dall’assoluzione dovrà decidersi a puntare almeno un po’ di più i piedi proprio sul fronte del rigorismo e su quello degli aiuti all’Ucraina, cioè i fronti più importanti di tutti ma anche quelli in cui sinora non ha praticamente mai toccato palla. Lo ha fatto per la prima volta sulla manovra, dovrà farlo la settimana prossima sul decreto per le armi all’Ucraina e se vuole restare in partita nelle elezioni del 2027 non potrà più smettere di farlo.

23 Dicembre 2025

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