Il controllo del valico
Israele attacca Rafah, i tank contro una città di bambini
Allarme dell’Unicef. Guterres: “Turbato e angosciato”. Netanyahu: il sì di Hamas all’intesa sul cessate il fuoco “serviva solo a silurare il nostro ingresso a Rafah, fermi sulle nostre condizioni”
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
Rafah, l’incubo diventa realtà. Israele assalta una città di bambini. Rafah, atto finale. Leader di mezzo mondo si dicono preoccupati, invitano alla moderazione. Parole al vento, lacrime di coccodrillo. Parole di verità sono quelle del Portavoce dell’Unicef James Elder, dette durante il briefing stampa di ieri al Palazzo delle Nazioni di Ginevra.
“Ogni avvertimento. Ogni storia di bambini uccisi e feriti. Ogni immagine di strazio e spargimento di sangue. Ogni dato sconcertante sul numero di bambini e madri uccisi; di case e ospedali distrutti. Tutto ignorato. La nostra peggiore paura – l’incubo dei gazawi – sembra essere una realtà. Una realtà che chi detiene il potere ha la capacità di prevenire. Per questo l’Unicef e tutte le agenzie umanitarie hanno chiesto un cessate il fuoco e che l’offensiva a Rafah non abbia luogo. Rafah è una città di bambini. Più della metà di ogni singolo bambino e bambina di Gaza vive a Rafah.
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Se definiamo la sicurezza – come dice che dobbiamo fare il Diritto Internazionale Umanitario – come libertà dai bombardamenti, così come l’accesso all’acqua potabile, a cibo sufficiente, a un riparo e a medicine, allora non c’è nessun posto sicuro nella Striscia di Gaza dove andare. A Rafah c’è circa un bagno ogni 850 persone. La situazione è quattro volte peggiore per le docce. Cioè, circa una doccia ogni 3.500 persone. Nelle zone in cui le famiglie sono state invitate a trasferirsi, la situazione è, incredibilmente, molto peggiore.
A Rafah si trova quello che oggi è il più grande ospedale rimasto a Gaza, l’”Ospedale Europeo”, così chiamato in onore dell’Unione Europea che ne ha pagato per la costruzione. In mezzo alla devastazione sistematica del sistema sanitario di Gaza, l’ospedale europeo di Rafah è una delle ultime ancore di salvezza per i civili. Il sud della Striscia di Gaza è anche il punto di ingresso per la maggior parte degli aiuti che entrano a Gaza. Un assalto militare, nella migliore delle ipotesi, complicherà notevolmente la consegna degli aiuti. Se la porta di Rafah chiude per un periodo prolungato, è difficile capire come si possa evitare la carestia a Gaza.
La capacità di sopportazione delle famiglie è stata distrutta. Sono appese – fisicamente e psicologicamente – a un filo. Non ricordo di aver incontrato nessuno a Rafah che non abbia perso una persona cara o la propria casa, per lo più entrambe. Le persone sono esauste. Sono malnutrite. I bambini sono malati. In realtà, centinaia di migliaia di bambini a Rafah hanno una disabilità, una condizione medica o una vulnerabilità che li mette ancora più in pericolo e rende molto più difficile il loro trasferimento, anche se ci fosse un posto dove andare.
A Rafah ho visto bambini con amputazioni che vivevano nelle tende perché gli ospedali erano pieni. A quei bambini – e a molti altri – viene ora detto di andare in zone come Al Mawasi. La cosiddetta “zona sicura” di Al Mawasi: dove l’Unicef ha riferito di un bambino, Mustafa, che era andato a prendere del prezzemolo per la cena di famiglia. Mustafa è stato colpito alla testa e ucciso… nella “zona sicura” di Al Mawasi… la zona in cui i bambini e le famiglie di Rafah dovrebbero ora fuggire.
Gli eventi dello scorso fine settimana a Gaza – le continue uccisioni di bambini, i nuovi attacchi delle parti in guerra e ora gli ordini di evacuazione – evidenziano ancora una volta come le parti in conflitto continuino a ignorare completamente le vite e la protezione dei bambini e dei civili. Questo deve cambiare. Anzi, questa è l’ultima occasione per cambiare. Gli aiuti devono affluire. Gli ostaggi devono essere liberati. Rafah non deve essere invasa. E i bambini non devono più essere uccisi. Abbiamo supplicato e implorato innumerevoli volte; lo facciamo ancora una volta. Per i bambini di Rafah. Abbiamo bisogno di un cessate il fuoco, ora”.
Ma il fuoco divampa e rischia di provocare una immane carneficina. Sul terreno, all’alba di ieri le Forze di difesa israeliane hanno confermato che la 401ma Brigata corazzata ha preso il controllo del valico di Rafah dal lato di Gaza.
Il varco con l’Egitto adesso non è più collegato alla strada Salah a-Din road, nella parte orientale della città, che nella notte è stata conquistata dalla Brigata Givati. E nell’operazione, hanno riferito le Idf, sono stati uccisi 20 miliziani, mentre sono stati localizzati tre “importanti” tunnel.
Inoltre, è stata colpita e distrutta un’auto carica di esplosivo lanciata contro un carro armato israeliano. Nessun militare è finora rimasto ferito nell’azione. Video e immagini diffusi sui social hanno mostrato grandi bandiere israeliane issate su tank israeliano della 401/esima Brigata corazzata che ha preso il controllo del valico di Rafah nel lato di Gaza. Accanto a questa la bandiera dell’unità.
Sui social sono apparse anche immagini di bandiere israeliane innalzate sul valico stesso, sempre nel versante di Gaza. «Un accordo tra Israele e Hamas è essenziale, un’opportunità cruciale che la regione – e il mondo – non può permettersi di perdere. Ma le cose si stanno muovendo nella direzione sbagliata. Sono turbato e angosciato dall’attività militare israeliana a Rafah. La chiusura dei valichi di Rafah e Karem Shalom è particolarmente dannosa per una situazione umanitaria già disastrosa, devono essere riaperti immediatamente».
Lo ha detto il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, esortando Israele a «fermare qualsiasi escalation e impegnarsi nei colloqui diplomatici». Un appello affinché arrivino pressioni su Israele e sulle altre parti interessate per concludere un accordo con Hamas che riporti a casa gli ostaggi trattenuti da sette mesi nella Striscia di Gaza arriva dalle famiglie delle persone tenute prigioniere nell’enclave palestinese.
Il Forum delle famiglie degli ostaggi e dei dispersi parla di «momento cruciale» con una «opportunità concreta per il rilascio degli ostaggi» e rivolgendosi ai governi con cittadini tenuti prigionieri sottolinea come sia di «massima importanza manifestare il più forte sostegno per un simile accordo».
Il messaggio, riportano i media israeliani, è stato inviato alle ambasciate di Paesi con propri cittadini tra gli ostaggi rapiti nell’attacco in Israele del 7 ottobre dello scorso anno, dopo che ieri Hamas ha detto di accettare una proposta di cessate il fuoco presentata dai mediatori di Egitto e Qatar.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha affermato che l’accettazione delle condizioni per il cessate il fuoco effettuata lunedì da Hamas “era intesa a silurare l’ingresso delle nostre forze a Rafah, ma ciò non è avvenuto”. Lo riporta Ynet.
“L’ingresso a Rafah serve a due grandi obiettivi di guerra: il ritorno dei nostri rapiti e l’eliminazione di Hamas”, ha aggiunto precisando che “come stabilito all’unanimità dal gabinetto di guerra, la proposta di Hamas è molto lontana dalle richieste necessarie di Israele” pertanto lo Stato ebraico “non permetterà ad Hamas di ripristinare il suo malvagio dominio nella Striscia di Gaza”.
“Israele non può accettare una proposta che mette in pericolo la sicurezza dei nostri cittadini e il futuro del nostro Paese”, ha detto ancora. Quanto ai colloqui al Cairo “ho dato istruzioni ai mediatori di continuare a rimanere fermi sulle condizioni necessarie per il rilascio degli ostaggi e sui requisiti essenziali per garantire la sicurezza di Israele”. L’assalto alla città di bambini continua.