X

Sempre più blu, il film di Giorgio Verdelli su Rino Gaetano: “Suo genio travisato, era come De André e Fossati”

Sempre più blu, il film di Giorgio Verdelli su Rino Gaetano: “Suo genio travisato, era come De André e Fossati”

Federico Fellini diceva che un linguaggio diverso è una diversa visione della vita ed è questa la storia di Rino Gaetano: un artista che ha cambiato il linguaggio musicale avendo con sé una visione della vita completamente diversa. Nato a Crotone, la provincia più povera d’Italia, terra che si ciba di migrazione, disoccupazione, malasanità, criminalità, ma anche coraggio e dignità. Ma allora è davvero sempre più blu il cielo di cui canta Rino? La risposta ci viene data dal docufilm Rino Gaetano Sempre più blu, un film dello scrittore e regista Giorgio Verdelli, scritto con Luca Rea, già stato al cinema il 24, 25 e 26 novembre scorsi, produzione Sudovest produzioni, Indigo Film, in collaborazione con Rai documentari e distribuito da Medusa Film. Per Verdelli è arrivato il momento di tirare fuori Rino da quel circo Sanremese in cui alcuni lo hanno proditoriamente accatastato e restituirgli nuovamente il rango che merita, quello di essere stato sempre e soprattutto cantautore impegnato, in un Paese che ha confuso la sua umiltà con il diritto di umiliarlo e che al figlio della classe operaia non ha mai perdonato il talento, figurarsi il suo genio. Di questo e molto altro parliamo con il regista Giorgio Verdelli.

Nel docufilm Riccardo Cocciante dice che i testi di Rino, alcune volte non corrispondevano alla musica: è il motivo per cui non viene preso troppo sul serio?
Questo è vero. È una cosa che dico quasi sempre. Rino è stato molto sottovalutato, perché ci si fermava alla superficie, e veniva percepito, come dice Cocciante, come un clown, quasi. Tutti si soffermano sul cappello, la sciarpa, le scarpe da tennis e non is soffermano ad analizzare i testi, che molto spesso dicono molto più di quello che ti suggerisca il primo ascolto. Questa cosa l’ha penalizzato molto ma paradossalmente oggi l’ha fatto riscoprire e amare dai giovani. Rino diceva delle cose importanti, con una forte irriverenza, perché lui era irriverente, non era contro, era irriverente, contro tutti i poteri, ma in modo leggero. Un qualcosa di modernissimo, addirittura troppo moderno per l’epoca. Ed è stato anche un antesignano dei rapper e questo, all’epoca, non veniva percepito bene.

Leggerezza fino ad un certo punto. Gianna è leggerezza, Aida e tutto il resto non lo sono più.
Sono d’accordo su questo, leggerezza fino a un certo punto. Aida è uno dei brani che io preferisco di Rino Gaetano, peraltro. Ma anche dal punto di vista musicale, Rino era uno sperimentatore e contrariamente a quello che si crede, era un grande ascoltatore di musica. Ti assicuro che Rino aveva una grande cultura musicale.

Perché dici ‘contrariamente a quanto si crede’?
Perché Rino Gaetano, purtroppo, non dai giornali specializzati, però dai giornali un po’ più, diciamo, leggeri, di gossip, e dai talk show, viene sempre ridotto a quello simpatico che cantava le canzonette un po’ umoristiche. Ma non è vero. Rino Gaetano faceva delle cose musicalmente molto rifinite, era uno sperimentatore. Però aveva una sua idea, pur non essendo un musicista di conservatorio: aveva questa capacità di identificare dei ganci, come dice Foffo Bianchi, che poi attraevano l’ascoltatore per dargli quello che era la sua costruzione musicale.

Né di destra né di sinistra: anarchico? La sua posizione era sempre una sola: a fianco degli ultimi.
Sì, è vero, un anarchico. Per quello era un cantautore molto impegnato, a dispetto di quanto si possa immaginare, perché nelle sue canzoni c’è il lavoro, la povertà, la disoccupazione. Però questo è legato alla calabresità, perché veniva da una famiglia povera, diversamente da De Gregori o da Venditti, che venivano da famiglie benestanti. Questa cosa la subiva, perché, diciamo la verità, non aveva potuto studiare come avrebbe voluto. Era uno che ha fatto della sua ricerca la sua cultura. Lui leggeva, ma leggeva per conto suo, perché aveva studiato al seminario, ma la sua cultura l’aveva costruita da solo. Ed era una persona anche con un retroterra culturale notevole. Infatti, la cosa che mi dà fastidio sono alcune interviste televisive che trovo bruttissime, dove lui parla di Majakovski, e lo pigliavano quasi in giro. Ma lui invece era veramente uno appassionato di quel mondo e lo ha dimostrato.

Paragonabile a De André e Fossati?
Certo, il paragone ci sta anche se sono diversi. E non a caso però De André veniva da una famiglia bene, Fossati non lo so, ma sicuramente da una famiglia medio borghese. A loro era concesso, a Rino Gaetano no. Ti dico una cosa che non viene detta: a Rino Gaetano Sanremo ha fatto male. Lui, se non fosse andato a Sanremo, avrebbe conservato la patina di cantautore vero. Invece a Sanremo sì, ha venduto i dischi, e poi? Lui voleva andare all’Ariston con Nuntereggae più. Era veramente un pezzo rivoluzionario. Anche se la sua performance, dal punto di vista del look, è stata rivoluzionaria. Però tutti a parlare di Gianna, Gianna, che va bene, ma i pezzi veri di Rino Gaetano sono altri.

Il cielo è sempre più blu: un pezzo straordinario ma è un testo drammatico.
Sì, parla del lavoro, infatti. Nel finale del docufilm, l’intervista a Rino Gaetano, ti fa capire tutto. Nel corso di quella riflessione il cantautore dice: ‘Io penso che il mio pubblico sta qui e sappia quali sono i problemi. I problemi sono il lavoro, le case, la sanità e la gente, come dire, ha molto da fare piuttosto che stare a sentire me e te che parliamo di musica’. Ed è una cosa veramente provocatoria. Se tu pensi che lui queste cose le diceva nel 1978-79, realizzi facilmente la portata di queste frasi. Nessuno allora si poneva in questo modo.

Perché farsi coinvolgere per Sanremo?
Si è fatto coinvolgere perché era un ragazzo semplice, perché gli era stato chiesto dalla casa discografica e lui ha detto «Vabbè, lo faccio, lo faccio a modo mio». Magari neanche lui pensava di avere questo successo, pensava che fosse un episodio. In realtà, nell’immaginario del grandissimo pubblico, nel pubblico, diciamo, la parola oramai desueta, nazionale e popolare, è rimasta quell’immagine di Gianna. Difatti se si va a verificare, nel docufilm, ci sono pochissime tracce del Rino Gaetano col cappello, con le scarpe da tennis… etc. etc. Ci sta, ma è il minimo indispensabile, proprio perché io volevo che la figura di Rino Gaetano fosse affrontata davvero, in modo completo, sul serio.

In Rino c’è anche la riscoperta delle radici, che quasi tutti vogliono sminuire un po’: è nato a Crotone ed è lui stesso a ribadirlo.
Lo dice lui – sono calabrese! Rino tornava spesso in Calabria al mare. L’ho conosciuto al confine tra la Campania e la Calabria. Ci ritornava spesso, anche un po’ in sordina. Conosci quella canzone minore, ma molto bella, che si chiama Il compleanno della zia Rosina? La volevo mettere perché zia Rosina esiste veramente e ha 94 anni e vive in Australia. E se ci fate caso, proprio volutamente, ci sono i tre principali cantatori calabresi: Sergio Cammariere, Brunori Sas e Peppe Voltarelli.

Si parla dell’influenza di Rino Gaetano nelle nuove generazioni, però nessuno è arrivato a quei livelli di scrittura ancora e di scioltezza.
Hai detto la parola giusta: scioltezza. Rino aveva una scioltezza assoluta. Aveva questa capacità di arrivare immediatamente in un discorso e sai questa cosa come si evince? La si capisce da una cosa piccolissima. Quando Pippo Paolo lo intervista e dice, tu chi vuoi essere? Renato Zero, Renato Carosone o Renato Rachel? Rino lo guarda con il sorriso meraviglioso e fa- Re-nato! Re-nato! E questa è la scioltezza di Rino Gaetano. Capire immediatamente, arrivare al nocciolo e con un’estrema leggerezza dire una cosa pesante.

In alcune cose Rino Gaetano ha un tipo di scrittura che sa molto Bob Dylan.
Rino ascoltava molto Bob Dylan. Non viene detto ma lui lo conosceva Dylan. Era un grande ascoltatore di musica. Era un appassionato. Amava molto i Beatles peraltro. Conosceva perfettamente e suonava pure i pezzi di Beatles. Aveva questa capacità di fare delle rime in modo inconsueto che deriva anche da una capacità di scrittura notevolissima. Molto maggiore di tanti altri.

E poi la sua grande passione per Enzo Jannacci..
Di questa cosa sono molto orgoglioso perché nessuno mai, se andiamo a vedere, l’ha sottolineato. Io lo sapevo perché me lo disse Rino Gaetano. Adorava Giovanni Telegrafista e la cantava anche in privato. Purtroppo, non ci sono testimonianze di Enzo che parlasse di Rino Gaetano perché non ho fatto in tempo a raccoglierle ma lui lo conosceva e peraltro il fatto che Rino Gaetano lo dice perfettamente -sono stato al Derby a sentirlo- vuol dire molto, vuol dire che si è preso il lusso di andare al Derby a sentire Enzo Iannacci e Enzo Iannacci magari manco lo sapeva che lui era stato al Derby. È una piccola rivelazione però la dice lunga.

Perché hai scelto Rino Gaetano?
Rino Gaetano perché meritava di essere raccontato, perché non è mai stato raccontato cinematograficamente e se lo hanno raccontato è stato sempre travisato. Rino Gaetano era più necessario di altri e anche perché Rino Gaetano mi era molto caro avendolo conosciuto personalmente.

La stampa non ha mai capito la sua musica?
Diciamolo pure: la stampa non ha mai ascoltato Rino Gaetano fino in fondo. Rino dice una frase che reputo fondamentale in Mio fratello è figlio unico, che per me è uno dei capolavori della musica italiana. Dice: “mio fratello è figlio unico perché non ha mai giudicato un film senza prima vederlo”. Questo è il genio assoluto e questa cosa la manderei a molti critici cinematografici e musicali.