Celebre per le sue corrispondenze dal Vietnam e da Baghdad e in tanti altri scenari di guerra. È morto a 91 anni Peter Greg Arnett, storico reporter di guerra, tra i più famosi al mondo negli anni in cui era in attività. Aveva vinto anche il Premio Pulitzer in una carriera non esente da controversie come quando nel 199 lasciò la CNN dopo un servizio su una presunta atrocità della guerra del Vietnam che si rivelò infondata e come quando venne licenziato dalla Nbc nel 2003 per aver dichiarato alla televisione di Stato irachena che il piano militare della coalizione stava fallendo. Ha raccontato in tutto 17 guerre tra Asia, Europa, Medio Oriente e America Latina. Ad annunciare il decesso il figlio Andrew.
Non era stato un giornalista facile, spesso contraddiceva le direttive e si assumeva rischi. Era stato anche accusato di parteggiare per i nemici degli Stati Uniti. Arnett era nato il 13 novembre 1934 a Riverton, in Nuova Zelanda, e aveva lasciato la scuola a 17 anni per lavorare in un quotidiano locale. Il primo scoop nel 1960, quando si era tuffato nel fiume Mekong e aveva nuotato fino alla Thailandia per trovare una linea aperta e trasmettere la notizia del colpo di stato nel Laos dopo che i carri armati avevano bloccato l’ufficio del telegrafo a Vientiane. “Avevo la storia battuta a macchina, il passaporto e venti banconote da dieci dollari stretti tra i denti […] mi credevano pazzo, ma per me aveva senso: dovevo far uscire la notizia il più in fretta possibile”.
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Quel Premio Pulitzer lo aveva vinto nel 1966 per la sua copertura della guerra in Vietnam per l’Associated Press. Aveva cominciato a lavorare con l’AP un anno prima, come corrispondente per l’Indonesia: era stato espulso dalle autorità di Giacarta quando aveva scritto della tragica situazione economica del Paese. A Saigon lavorò con un team di altissimo livello, con il capo della sede Malcolm Browne e l’editor fotografo Horst Faas, che insieme avrebbero vinto tre Premi Pulitzer. Rimase a Saigon fino alla caduta della città, conquistata dai ribelli nordvietnamiti nel 1975, raccontando il caos in città con gli elicotteri carichi di profughi.
Era stato lui nel 1968 a raccogliere la celebre frase di un maggiore americano: “Si è reso necessario distruggere la città per salvarla”. Il presidente Lyndon B. Johnson e il generale William Westmoreland avevano anche tentato di farlo allontanare. Aveva infine disubbidito agli ordini della redazione della sede di New York, che gli chiese di distruggere tutti i documenti dell’ufficio, e invece lui li spedì tutti al suo appartamento a New York: quei documenti oggi si trovano negli archivi dell’agenzia. La sua collaborazione con l’AP durò fino al 1981, quando passò alla neonata CNN.
Avevano fatto il giro del mondo anche le sue corrispondenze da Baghdad allo scoppio della Prima Guerra del Golfo, nel 1991. Era tra i pochi giornalisti a essere rimasto nella capitale dell’Iraq per la CNN quando gli Stati Uniti avevano lanciato l’operazione Desert Storm: trasmetteva le sue corrispondenze dall’hotel Al Rashid con le sirene e le esplosioni a fare da sottofondo. Raccontò i combattimenti sul fronte e riuscì a riportare interviste esclusive, come quella al leader iraqeno Saddam Hussein e a Osama Bin Laden, il leader di Al Qaeda che nel 2001 organizzò gli attentati dell’11 settembre, in una località segreta in Afghanistan, che minacciava apertamente gli USA. Peter Greg Arnett è morto ieri a Newport Beach, in California, circondato dall’aggetto di amici e familiari, a causa di un cancro alla prostata. Era entrato in un hospice sabato scorso. Aveva avuto due figli con Nina Nguyen. Si era ritirato nel 2007, aveva insegnato giornalismo in Cina e aveva pubblicato due libri memoir.