Chiara Gribaudo è vicepresidente del Partito Democratico, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati.
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Le pagine dei giornali sono piene di retroscenismi, dietrologie, racconti di palazzo. Ma la vita reale è altra, con il suo carico di sofferenza sociale, di assenza di futuro, soprattutto per le giovani generazioni. Proviamo ad andare controcorrente. La sinistra e la tutela della vita delle lavoratrici e dei lavoratori, sia sulla sicurezza nei luoghi di lavoro sia nella dignità salariale. Il PD batte un colpo su questo?
Il Partito Democratico ha ben chiaro qual è la strada da intraprendere e ci piacerebbe venire quantomeno ascoltati nelle aule istituzionali. Ciò che serve al Paese non sono le norme che produce questo Governo, ma a destra sono più interessati ai titoli piuttosto che alla sostanza. Negli ultimi provvedimenti importanti, Legge di Bilancio e Decreto Sicurezza sul Lavoro è stato praticamente impossibile lavorare: sembra esserci una deriva che vuole totalmente depotenziato il ruolo del Parlamento. Però le linee sono tracciate e chiare, e non da oggi: politiche salariali, a partire dal salario minimo e contratti pubblici che recuperino almeno l’inflazione, welfare, sanità, scuola, maggiori tutele e diritti soprattutto per chi attualmente quasi non ne ha. Ci sono sul tavolo delle proposte concrete, come la Legge Griseri-Prisco per i riders, quella sul salario minimo, quella sull’equo compenso e le tutele per i lavoratori autonomi, ma finché non vengono calendarizzate non abbiamo possibilità di dare risposte ai bisogni concreti. La verità è che, se fossero discusse, questa maggioranza dovrebbe ammettere esplicitamente che è contro le persone che lavorano. Stiamo portando in giro per i territori queste proposte di legge perché c’è urgenza di portare avanti misure strutturali e non bonus una tantum con cui dal Governo si fa propaganda senza aiutare concretamente le famiglie. Dall’altra parte, è stato appena approvato, con la fiducia, un Decreto-legge sulla Sicurezza sul lavoro che fa acqua da tutte le parti: il gruppo PD ha espresso voto contrario e non per partito preso ma perché le nostre proposte non sono state neanche discusse, nonostante come Presidente della Commissione sulle condizioni di lavoro in Italia abbia provato ad avviare un dialogo con tutte le forze politiche e sociali, visto che questo dovrebbe essere un tema senza bandiere, ma così non è stato. Mi dispiace dirlo ma il decreto si è risolto in un’occasione mancata, perché di fatto non contiene le misure di cui realmente c’era bisogno, dimostrando ancora una volta che c’è un abisso tra quello che serve e ciò che viene deciso da questo Governo.
Nel 2025, fino a ottobre, si registrano 896 morti sul lavoro in Italia, con 657 incidenti in occasione di lavoro e 239 in itinere, secondo l’Osservatorio Vega Engineering. I settori più colpiti restano le Costruzioni e le Attività Manifatturiere, con un’incidenza maggiore di vittime nelle regioni settentrionali come la Lombardia, mentre i dati evidenziano un preoccupante aumento degli infortuni mortali (+33,3% nel primo semestre). Cosa fa la politica per provare a combattere questa strage?
Guardi, voglio essere franca, presiedendo la Commissione ho un rapporto diretto con molti familiari delle vittime e ogni volta mi chiedono una cosa che dovrebbe essere semplice, ma che purtroppo in Italia non è: giustizia. Lo chiedono a gran voce a tutta la politica e ancora una volta, con questo Decreto-legge sulla Sicurezza, sono rimasti a bocca asciutta. La verità è che questo Governo sa fare solo slogan, come ad esempio è stato fatto per il badge elettronico: era stato annunciato in pompa magna; invece, si è risolto in un provvedimento debole e legato ad un futuro decreto. Così come non c’è nessun riferimento per accelerare i tempi della giustizia, una procura nazionale del lavoro per accentrare le competenze e velocizzare i processi. Insomma, mancano ancora troppi elementi. Nulla sugli spazi confinati, pochissimo sugli appalti, vero buco nero in cui si annida il peggiore sfruttamento e l’illegalità. Mancano tutti gli elementi con cui costruire nei luoghi di lavoro una vera cultura della prevenzione, che troppo spesso manca in Italia. Servirebbe personale ispettivo ma gli ispettori continuano a essere troppo pochi e a non avere il giusto riconoscimento. Hanno messo qualche risorsa per i dirigenti ma il problema è endemico nel Paese, compreso il fatto che paghe troppo basse rispetto alle responsabilità non stanno incentivando, anzi. Anche su questo, purtroppo, nel Decreto si è fatto troppo poco, e le mobilitazioni dei lavoratori dell’ispettorato sono lì a dimostrarlo.
Lei è la prima firmataria di una proposta di legge per l’estensione delle tutele dei liberi professionisti e dell’equo compenso. Come stanno le cose in questo campo?
Stanno male: questo Governo ha voluto fare una forzatura approvando subito senza confronto a inizio legislatura una legge su equo compenso così piena di limiti che possiamo dire che oggi non sia applicata nei migliori dei casi, e nei peggiori invece rischia di essere solo a favore dei grandi studi professionali, niente di utile per i piccoli, per i giovani ad inizio carriera soprattutto dove invece servirebbe ancor di più. Particolarmente grave è che l’equo compenso il più delle volte non viene applicato nemmeno nelle pubbliche amministrazioni, il ché dimostra che la legge non funziona. E in più a distanza di due anni il Ministero non ha ancora varato i parametri che consentono di applicare l’equo compenso ai non ordinisti. C’è poi un tema di tutele per tutti i professionisti che non sono coperti dalle casse di previdenza. Su questo abbiamo costruito un’altra proposta nel solco di quanto già fatto con la legge 81/2017 che aveva introdotto le prime tutele anche ai non ordinisti. Ora andrebbe fatto un passo in più, motivo per cui abbiamo lavorato su questa PdL come partito, a partire dalla proposta condivisa dalle associazioni. Parliamo di circa 550mila freelance iscritti alla gestione separata INPS: un ventaglio molto ampio di professionisti non regolati da ordini. Un dato basta per dire tutto sulle loro condizioni: nel 2024 la media dei compensi annui è stata di 18mila euro, con una sproporzione notevole tra nord e sud, tra giovani e meno giovani e come sempre tra uomini e donne. Insomma, sono persone in evidente difficoltà. Un’attenzione particolare abbiamo voluto rivolgerla alle madri lavoratrici, perché i dati ci dicono che sono le più penalizzate e in difficoltà. Proprio per questo i primi articoli della PdL riguardano la maternità e i congedi. E poi, ovviamente, c’è in ballo il grande tema dei salari, in questo caso parliamo dei compensi, che in Italia sono troppo bassi. Questo Governo ancora una volta fa propaganda sostenendo che l’occupazione sia cresciuta grazie alle loro politiche, ma la realtà è che troppo spesso si tratta di lavoro povero, oltre che precario.
Qual è il segno politico e sociale della Legge di bilancio 2026?
Ci piacerebbe davvero saperlo, visto che ogni giorno ci sono cambiamenti, marce indietro, tutto e il contrario di tutto. Questa manovra è stata presentata per la prima volta a fine ottobre e da allora ha continuato ad avere stravolgimenti, maxiemendamenti, cambi in corsa, non da ultimo in questi giorni stanno saltando tutte le misure che erano state annunciate pochi giorni fa: pensioni, Tfr, contributo dalle assicurazioni. Ben venga cambiarle, perché erano scelte scellerate e pensate solo per fare i conti in tasca alla maggioranza e non per gli interessi del Paese. Bene cambiarle perché il Governo voleva, per l’ennesima volta, fare cassa con le pensioni, attraverso stratagemmi anche un po’ subdoli come le finestre mobili e il depotenziamento del riscatto della laurea. Mancano pochi giorni alla fine dell’anno e ancora non abbiamo un testo chiaro che, come ormai da prassi, arriverà alla Camera in fretta e furia, sminuendo il ruolo del Parlamento. Servirebbe un atteggiamento serio, perché la legge di bilancio segna il presente ed il futuro di un paese, e questa manovra manca del tutto di visione e dimostra la completa incapacità del Governo Meloni di prendersi carico di ciò di cui il Paese ha realmente bisogno: aumento dei salari, welfare, investimenti, politiche industriali. In un momento di grande transizione chi governa dovrebbe aver chiaro come collocare il nostro paese nelle filiere internazionali. E io davvero non riesco a capire che idea ha questo Governo. Anzi, non riesco a capire se ha un’idea.
Per aver sostenuto i referendum della Cgil e lo sciopero generale del 12 dicembre, Elly Schlein è stata tacciata di massimalismo e di rincorrere le piazze.
La segretaria e il Partito Democratico con lei erano dove dovevano stare: a fianco dei lavoratori e delle lavoratrici. Non erano i nostri referendum ma ci è stato chiesto di prendere una posizione ed è stato naturale appoggiarli. Così come credo che il partito abbia il dovere di essere presente nelle mobilitazioni dei lavoratori, dei disoccupati, degli studenti. Ma siccome siamo una forza seria non ci limitiamo alla critica, ma ci impegniamo ad agire attivamente nelle realtà in cui siamo partecipiamo al governo, e penso ad esempio al protocollo di Roma sui lavori pubblici o al salario minimo in Puglia, su cui pochi giorni fa la Corte Costituzionale ha bocciato il ricorso del Governo. Se vogliono chiamare tutto ciò massimalismo o rincorsa della piazza, possono tranquillamente continuare a farlo, mentre noi ci rimbocchiamo le maniche con serietà perché le cose cambino realmente. È con questo tipo di azioni che si costruisce l’alternativa, alternativa di cui questo paese ha un gran bisogno.