Una strage con una matrice ben chiara, l’antisemitismo. È quella causata dall’attacco alla Bondi Beach di Sidney, in Australia, da due uomini, padre e figlio forse di origini pakistane.
A morire sotto i colpi dei fucili imbracciati da Naveed Akram, 24 anni, e dal padre 50enne, Sajid, entrambi di origine pachistana, sono state 16 persone.
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Sono le 18:45 di domenica quando i due, da un ponticello vicino la spiaggia, aprono il fuoco: il bilancio conterà 16 morti, tra cui anche uno degli attentatori, il più anziano, e oltre 40 feriti, molti dei quali in gravi condizioni. Tra le vittime una bambina di 10 anni, un cittadino francese e due israeliani, oltre al rabbino di Sydney Eli Schlanger.
Sulla spiaggia uomini e donne della comunità ebraica stavano organizzando una festa, “Hanukkah by the sea“, una ricorrenza fra le più celebrate e sentite del loro calendario.
Le immagini riprese dagli smartphone vedono una folla scappare dalla spiaggia, ma anche l’atto di eroismo di un uomo che affronta a mani nude uno degli attentatori. Ahmed el Ahmed, fruttivendolo 43enne proprietario di un negozio nel sobborgo di Sutherland, riesce a disarmare un attentatore che era sceso dal ponte pedonale, costringendolo alla fuga: alla fine anche “l’eroe” resterà ferito, ma le sue condizioni non destano preoccupazioni.
Nella notte australiana filtrano voci, non confermate, di ulteriori arresti di persone legate ai due attentatori, mentre non ci sono dubbi sul ritrovamento di “numerosi ordigni esplosivi improvvisati” vicino al luogo dell’attacco, all’interno di una vettura a disposizione della coppia di terroristi. Nell’auto i killer avevano due bandiere del Califfato ed è possibile che vi sia stato un giuramento di fedeltà al movimento, atto che di solito precede gli attacchi.
Secondo quanto riportato da Abc News, uno degli attentatori era presente nelle liste di sorveglianza dell’Asio, l’agenzia di intelligence australiana: “Non in una prospettiva di minaccia immediata, quindi dobbiamo indagare su cosa sia successo”, ha spiegato il direttore generale dell’Asio Mike Burgess. Sajid Akram arrivò in Australia con un visto da studente nel 1998: il figlio Naveed è un cittadino australiano.
La polizia ha confermato che Sajid Akram aveva un porto d’armi di categoria A e B (le categorie di licenza più diffuse e le più semplici da ottenere in Australia) da circa dieci anni e che possedeva sei armi da fuoco registrate.
Attentato che ha provocato anche un durissimo scontro istituzionale tra Australia ed Israele. Colpa delle dichiarazioni di fuoco del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che dopo l’attacco ha accusato le politiche del governo australiano, tra cui il riconoscimento di uno Stato palestinese, che incoraggerebbero “l’odio contro gli ebrei che ora infesta le vostre strade”. “L’antisemitismo è un cancro. Si diffonde quando i leader restano in silenzio. Bisogna sostituire la debolezza con l’azione”, ha affermato Netanyahu. Il primo ministro australiano Antony Albanese aveva definito l’attacco un “vile atto di antisemitismo” e aveva annunciato una proposta di legge sul porto d’armi più severa.