Sarebbe stato gestito da una donna “Mia Moglie”, il gruppo finito al centro dell’attenzione dei media per la condivisione e condivisione, oltre che all’esposizione a commenti, di immagini di compagne e mogli all’insaputa delle stesse. Al gruppo erano iscritte oltre 32mila persone. È l’ipotesi della Procura di Roma nell’indagine, scattata a fine agosto dopo l’esplosione del caso, per diffusione illecita di foto e video sessualmente espliciti. Lo riporta in un articolo il quotidiano Repubblica.
Le fotografie erano scattate in ogni occasione, intima o pubblica: in casa, al mare, al supermercato, spesso rubate e pubblicate senza il consenso delle donne ritratte. Anzi, quella violazione del consenso era spesso rivendicata. A far esplodere il caso è stata in particolare Carolina Capria, autrice e attivista femminista che ha denunciato la pagina tramite il suo profilo Instagram, “L’hascrittounafemmina”. Il gruppo era aperto da sette anni, lasciava intendere collegamenti con altre chat di altre applicazioni. “Segnalato. La cosa più orribile di tutte sono le foto delle persone ignare di essere postate commentate fotografate violentate. Persone che dormono o che stanno in spiaggia a rilassarsi. È di una violenza allucinante. Mi viene da piangere dalla rabbia”, aveva scritto Capria.
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Alcune donne avevano cominciato anche a riconoscersi nelle fotografie. Il Partito Democratico aveva chiesto la chiusura del gruppo. “Basta tolleranza del sessismo e della violenza contro le donne sui social, altrimenti è complicità – il commento del gruppo del Pd nella Commissione Femminicidio e violenza del Parlamento – Troviamo sconcertante e inaccettabile l’esistenza di queste chat misogine, specchio di una cultura di possesso e sopraffazione che ignora il consenso delle donne”. Meta aveva annunciato subito la chiusura del gruppo “per violazione delle nostre policy contro lo sfruttamento sessuale di adulti – aveva spiegato Meta con un comunicato alle agenzie -. Non consentiamo contenuti che minacciano o promuovono violenza sessuale, abusi sessuali o sfruttamento sessuale sulle nostre piattaforme”.
Quel caso non era finito, era continuato con il sequestro dei forum “Phica.net” e il gemello “Phica.eu” cui erano iscritte oltre 700mila persone, con centinaia di migliaia di accessi quotidiani. Stando a quanto scrive Repubblica, la polizia postale avrebbe scoperto che i due avrebbero utilizzato cellulari intestati a terze persone, acquistati con sim card anonime per complicare la la scoperta dell’identità. Secondo l’ipotesi di indagine, la donna avrebbe gestito con un uomo il gruppo, i due avrebbero collaborato alla pubblicazione e alla moderazione dei contenuti.