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“I misteri di Monti Parioli”, Fulvio Abbate e Bobo Craxi all’esordio nel genere poliziesco

Foto Fulvio Abbate/Facebook

Foto Fulvio Abbate/Facebook

Pubblichiamo qui di seguito ampi stralci di un capitolo del libro.

A un certo punto invece Panunzio, mettendo i gomiti sulla scrivania, come ad asciugare il sudore dalla fronte, lamentando il troppo riscaldamento in verità spento da tempo, si impapocchiò nel richiedere a entrambi di descrivere che genere di rapporti intercorrevano tra loro e i frequentatori abituali della Stuzzicheria, non pronunciando però mai la definizione investigativa di “Cricca dello champagne”. In verità, il poliziotto li chiamò in altro modo, ossia “gli attenzionati di via dei Monti Parioli”. Si intuiva che c’era sotto qualcosa di interessante, almeno ai suoi occhi. “Si tratta di capire, onorevole, e pure nel suo caso, dottor Flavio, cioè di intendere quali siano esattamente i vostri rapporti con queste persone…”.

Abbate, vilmente o forse con orgoglio identitario, precisò, mettendo le mani avanti, d’essere residente al Gianicolo: “Personalmente abito a Monteverde Vecchio, cioè Roma Ovest, quindi la mia frequentazione del suddetto esercizio commerciale da lei menzionato appena adesso deve ritenersi puramente episodica”. Certo, tutto vero, qualche volta, aggiunse, era stato a cena con amici da quelle stesse parti in un ristorante malese, “Chikutei”, in via Luigi Luciani, ma nulla di più: “…aggiungo che ormai il locale è chiuso, ci andavo sempre con un’amica che adesso non vedo più da tempo, quindi, gentile commissario, faccia lei i suoi calcoli…”. Panunzio allora, aggrottando la fronte sopra le sopracciglia folte e i radi capelli tinti rimasti ai lati delle tempie, aprì il cassetto e pose sulla scrivania, come fossero carte di un personale “Mercante in fiera”, una decina di fotografie: tutte facce, in certi casi riprese, carpite segretamente con un teleobiettivo di comprovati avventori della Stuzzicheria: l’odontoiatra sosia di Caligola, il criminologo, la procace scosciata, il tenente-colonnello d’artiglieria o magari del Corpo di Commissariato dell’Esercito, l’avvocato costituzionalista, l’amica “roscia” del notaio, la professionista dalle lunghe gambe lucenti fuori dall’abito di seta a fiori, l’agente immobiliare di case di pregio, il consulente finanziario, il “simpatico della comitiva”, il concessionario di fuoriserie, il presentatore cosiddetto “rattuso” gravato da una denuncia per molestie, l’uomo dal cappotto color cammello, il giornalista e produttore di cinema ruffiano e convinto che andassero frequentate unicamente le persone famose, l’ex finanziere…

Quest’ultimo, proprio il “Finanziere”, chiamato da tutti così, altri non era che un ex graduato del corpo in questione asceso ai gradi più alti, nonostante i suoi trascorsi con gravissimi esiti giudiziari per aver avuto da giovane, parliamo degli anni Settanta, frequentazioni fitte con un personaggio significativo dell’eversione nera detto “Er Ciolla”. Frastornati fra un “non saprei”, “non ricordo”, “boh?”, “mai visti”, “mai coperti”, “sarà, ma questo lo pensate voi”, un allarmato “questo lo sta dicendo lei”, “quest’altra cosa non direi proprio, se permette, non è bello insinuare”, Abbate e Craxi, soprattutto il primo, che intanto aveva assunto un’aria da tramortito, diversamente dall’altro che stava cominciando a spazientirsi, continuavano a non comprendere la ragione del tutto irrituale della loro presenza in commissariato. “Quanto a questo Er Ciolla da lei menzionato, non ne so proprio nulla, mai neppure sfiorato, così come Er Tovaglia, così Sergio, compianto tabaccaio del Bar “Brunori” nel quartiere Miani, chiamava Arafat, per via della kefiah sul capo”, aggiunse Abbate per fare il simpatico. Panunzio intanto aveva preso a fissarli con occhi puntuti interlocutori, quel che è peggio senza comunque spiegare che, in nome della presunzione d’innocenza, potesse trattarsi comunque di un grande equivoco, man mano che passavano le ore, pronto sicuramente ad assumere un tratto grottesco cui dovevano seguire opportune e doverose scuse. (…)

Per farla breve, Panunzio si era d’improvviso convinto, grazie all’incontro fortuito con Abbate e Craxi, di poter consegnarsi all’età della pensione ormai prossima con un gallone, un “baffo”, una qualifica ulteriore, quindi anche un sicuro premio di buonuscita. Forse sollecitato in questa direzione dalla consorte Enza, infermiera, mancata caposala nonostante ogni sforzo, nel suo reparto, non si è ancora detto, presso l’ospedale “Vannini” detto anche delle “Figlie di San Camillo” in via di Acqua Bullicante a Torpignattara. Banalmente non si trattava di un modesto reato di molestie, nonostante un’avventrice della Stuzzicheria avesse sporto denuncia per un caso di palpeggiamento tra seni e cosce; qualcuno in pratica, probabilmente il dentista ricciuto o magari il costituzionalista “integerrimo”, aveva toccato dapprima il petto e poi le terga di una giovane piacente, nulla a che vedere, per gentilezza e classe, con la presenza di Ludovica, una studentessa normalista reduce da un seminario sul sociologo francese Émile Durkheim che si era tenuto non lontano da Monti Parioli, presso l’Istituto di Cultura Austriaco. Dalla mano furtiva dei probabili “rattusi”, parola propria del campano con venature irpine Panunzio, erano però state toccate molte altre cose, inutile dire che la questione vedeva coinvolti altri clienti dello stesso esercizio commerciale. Per quale ragione fosse adesso chiamata in causa la coppia Abbate e Craxi non era tuttavia facile da comprendere.

Al momento sappiamo soltanto che l’immaginario del nostro poliziotto era rimasto colpito dal fatto che Abbate talvolta presenziasse come commentatore a “Forum”, una trasmissione televisiva dove si svolgevano processi ora di ordine condominiale ora legati a dissapori coniugali non meno colmi di implicazioni sui beni materiali. Vincenza Pacileo, coniugata Panunzio, Enza per il marito, spettatrice ghiotta, ne seguiva perfino le repliche. Proprio lei, forse una sera, si era rivolta al marito, esponendo così: “Panunzio, lo sai che oggi a ‘Forum’ c’era proprio uno antipatico, dice che fa lo scrittore, dice che ha scritto i libri, ma secondo me è solo un cretino vero, calzato e vestito, uno che si sente pure superiore, e mi sa pure che è tipo comunista, io mi aspettavo che arrivasse la contessa forestiera che sta in una villa sull’Appia Antica, che sarà pure lei antipatica per come parla tischi toschi, ma almeno non è comunista come quell’altro, sì, Flavio Abate…”. Il marito, mentre indossava la vestaglia, pianelle ancora in mano, improvvisandosi fine politologo, cercò di rassicurarla: “Enza, non ci stanno più i comunista, questi nuovi non sono più comunista, come si dice, ora sono tutti ventisettisti, gli interessa solo la pagnotta, quale comunista, da quando è morto Bèrlinguer non ci stanno più…”, così disse marcando impropriamente l’accento sulla prima E: “Bèrlinguer”.

Tanto fece, tanto disse, che riuscì comunque a ficcare in testa al marito che quello, l’Abate Flavio, era una “brutta persona” dalla quale occorreva aspettarsi ogni bassezza morale e perfino materiale. “Non mi stupirei neppure se uno di questi giorni trovassero che è pure finocchio, gay come dicono questi nuovi…”, aggiunse ancora la coniuge. Il resto veniva da sé, era bastata un’informativa sulla frequentazione della Stuzzicheria di Monti Parioli affinché Panunzio decidesse di convocarlo insieme all’amico Craxi. Per tagliare corto, in attesa di raggiungere il tavolo della cucina sotto il neon, l’assistente capo coordinatore chiosò: “Però il compare suo, Craxi Vittorio, si vede da lontano che è persona perbene ed educata, e con tutto quello che ha passato o combinato all’epoca dell’inchiesta ‘Mani pulite’, pure se è socialista, non frequenterebbe mai un farabutto, se ci fosse ancora vivo suo padre Bettino glielo farebbe vedere lui, che dopo il duce non c’è stato nessuno migliore di Craxi, nessuno, te la ricordi quello che ha fatto a Sigonella quando ha chiamato i carabinieri a fermare gli americani…”.

La moglie lo interruppe all’istante: “Ma chi, quello che ha il nome di un cane? Quello, Bobbi, fa più schifo dell’altro, Panunzio, svegliati!” Avvenne così che in breve tempo i due si sarebbero visti recapitare quasi sicuramente un avviso di garanzia con timbro e firma del dirigente superiore accanto al “si proceda pure” del verbalizzante, cioè il diretto superiore Carabilleci, un ordine subito trasmesso al sottoposto Cocilovo perché lo facesse pervenire sulla scrivania di Panunzio.