Rita Bernardini, presidente di Nessuno Tocchi Caino, che iniziative sulle carceri avete organizzato per le festività?
Proseguiremo quell’opera “laica” di “visitare i carcerati” che negli ultimi due anni ci ha visto varcare per centinaia di volte la soglia di un penitenziario per andare a trovare la comunità penitenziaria. Non solo a Pasqua, Ferragosto e nelle festività di fine/inizio anno. Quest’anno da Natale al 2 gennaio saremo a Rebibbia Nuovo Complesso, Rebibbia Reclusione, Rebibbia Femminile e a Regina Coeli. Queste visite non si limitano alle ore di permanenza in carcere, ma producono dei report che inviamo al DAP affinché intervenga per risolvere i problemi concreti che vivono le persone detenute e le persone che in carcere ci lavorano, spesso in condizioni di vero e proprio degrado. Cerchiamo così -almeno- di contribuire a ridurre i danni provocati dal sistema penitenziario.
Dal suo osservatorio privilegiato come descriverebbe l’attuale condizione delle carceri?
Fuorilegge. Estranea al dettato costituzionale. Portatrice di sofferenza, di morte e di trattamenti contrari al senso di umanità. Il carcere è una fabbrica di recidiva. Un detenuto deve essere davvero molto dotato per uscire a fine pena vivo, in salute e pronto a rientrare nella società da buon cittadino.
I Papi reclamano amnistia, parte anche dell’avvocatura, della magistratura, dell’accademia, della società civile. Eppure, il Governo resta sordo. Cosa allora resta da fare, da sperare?
Occorre incarnarla la speranza affinché non sia foriera di illusioni. Amnistia e indulto sono provvedimenti costituzionali di “buon governo” per affrontare il sovraffollamento dei detenuti e quello dei procedimenti penali pendenti che a milioni ingolfano la nostra giustizia i cui tempi sono irragionevolmente lunghi come certificato da almeno trent’anni dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. Una giustizia che arriva troppo tardi è una giustizia negata sia per le vittime del reato sia per il reo. Provvedimenti di clemenza dovrebbero essere obbligatori per uno Stato che non riesca ad assicurare un’esecuzione penale e un’amministrazione della giustizia “legali”. Pannella e il Presidente Napolitano (con il suo messaggio alle Camere del 2013) parlavano di “obbligo” di intervento immediato per uno Stato che voglia definirsi “di diritto”. Se si transige su questo, si è pronti a fare qualsiasi scempio della democrazia nella sua accezione più alta.
A proposito di amnistia, anche il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale si è espresso a favore. Che giudizio dà dell’attuale Collegio?
Alla prova dei fatti il mio giudizio è molto negativo: niente relazione al Parlamento, visite di cui non si dà conto se non dei chilometri percorsi negli spostamenti da carcere a carcere, report di dati complessivi non più aggiornati. Sarà che siamo passati dal precedente collegio – eccellente -con Presidente Mauro Palma all’attuale, devo dire che la delusione è altissima. Ma sono pronta a dare atto di qualsiasi cambiamento in positivo come ho fatto recentemente dopo le sagge parole di Riccardo Turrini Vita.
Da ex parlamentare che conosce quindi bene le dinamiche di partito cosa non ha funzionato nei diversi appelli del presidente del Senato La Russa?
Non sono per niente negativa sulle dichiarazioni di La Russa il quale, da seconda carica dello Stato, ha almeno aperto una breccia nel solido muro della sua maggioranza di manettari e giustizialisti. Chi sta dalla parte dello Stato di diritto e dei diritti umani fondamentali deve farsi forte della sua netta presa di posizione anziché schernirla.
Lei ha notizia della task force istituita a luglio al Ministero della Giustizia con i magistrati di sorveglianza?
Ne ho notizia solo dagli interventi pubblici della Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma, Marina Finiti che – da donna delle istituzioni – ci lavora con tanta buona volontà. Ma occorrerebbe ascoltarla la dottoressa Finiti quando parla della situazione degli Uffici di Sorveglianza, del personale amministrativo che manca, dell’essere stati esclusi dal PNRR, dell’essere costretti ancora a lavorare sul cartaceo, dei compiti aumentati a dismisura e, quindi, dell’impossibilità a riuscire a far fronte alle centinaia di migliaia di persone che attendono una decisione: solo i liberi sospesi sono almeno 120.000. I magistrati della sorveglianza in tutto sono solo 246 in tutta Italia.
Che bilancio fa, invece, della politica in materia di penale e carcere di questo Governo?
Molto negativa, tranne che per la riforma della separazione delle carriere dei magistrati che richiamerà gli elettori al voto referendario di primavera. Come radicali di Nessuno tocchi Caino la aspettavamo da quasi 40 anni e facciamo parte del Comitato per il SI’ dell’Unione delle Camere Penali su richiesta esplicita del Presidente Francesco Petrelli. Se tutto andrà in porto, sarà un primo passo per una riforma complessiva: mancano, per esempio, ancora la responsabilità civile dei magistrati e la rivisitazione di quel principio che abbiamo solo noi in Italia dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Secondo Lei Nordio è frenato dalla sua maggioranza o davvero ormai crede anche lui in questa cultura carcerocentrica alla Delmastro?
Vorrei chiederglielo perché non ho dimenticato il suo impegno passato per la de-carcerizzazione, a favore delle depenalizzazioni, e sul suo essere a fianco di Marco Pannella a favore di un provvedimento di Amnistia. Penso che ci vedremo presto e glielo chiederò. L’incontro me lo ha promesso anche se non gli abbiamo risparmiato critiche e – come Nessuno tocchi Caino con Roberto Giachetti – lo abbiamo addirittura denunciato insieme ad Ostellari e Delmastro.
Cosa spera che dica sul tema il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso di fine anno?
A me piace moltissimo quel che dice il Presidente della Repubblica non solo sulle carceri, ma anche in politica estera. Tiene la barra dritta su ciò che è indispensabile in una democrazia. Mi lasciano perplessa le sue quotidiane esternazioni su qualsivoglia argomento, mentre sulle questioni veramente importanti – come la condizione inaccettabile delle nostre carceri – io credo che dovrebbe esprimersi indirizzando messaggi alle Camere come previsto dall’art. 87 della Costituzione. Mi auguro che scelga questa strada, come fece Napolitano nel 2013.
Lei farà un nuovo sciopero della fame?
Ne ho fatti molti nella mia vita di radicale e certo non escludo di ricorrere ancora a questo strumento della nonviolenza che è una forma alta di dialogo con i rappresentanti delle istituzioni. Non di rado abbiamo coinvolto nell’azione nonviolenta decine di migliaia di detenuti. Ammetto però che mi pesano non poco le richieste degli amici (e parlo di amici veri) che, quando lo sciopero della fame si prolunga, mi sollecitano a smettere. Ricordo ancora quando, durante la battaglia contro lo sterminio per fame nel mondo, Marco Pannella ideò i “tentativi” di sciopero della fame, fino a quello – lunghissimo, ma finalmente “riuscito” – che consentì di raggiungere, almeno in parte, gli obiettivi prefissati. Seguirò probabilmente quell’esempio. In un’epoca in cui tutto rischia di diventare artificiale, credo che un gesto che coinvolga il proprio corpo, nella sua dimensione reale e tangibile, possa stimolare riflessioni che spesso si preferisce evitare, rifugiandosi in slogan facili e superficiali per non affrontare la complessità dei problemi.