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Sostegno all’Ucraina ma senza asset russi: 90 miliardi dall’Europa alla resistenza di Kiev, Meloni: “Prevalso il buon senso”

European Commission President Ursula von der Leyen, left, and Italy’s Prime Minister Giorgia Meloni, right, arrive for a round table meeting at the EU Summit in Brussels, Thursday, Dec. 18, 2025. (AP Photo/Geert Vanden Wijngaert) Associate Press/ LaPresse Only Italy and Spain

European Commission President Ursula von der Leyen, left, and Italy's Prime Minister Giorgia Meloni, right, arrive for a round table meeting at the EU Summit in Brussels, Thursday, Dec. 18, 2025. (AP Photo/Geert Vanden Wijngaert) Associate Press/ LaPresse Only Italy and Spain

Accordo raggiunto nella notte in Europa sul sostegno all’Ucraina negli anni 2026 e 2027 ma senza ricorrere agli asset russi che si trovano in Unione Europea. 90 miliardi di euro all’Ucraina, invasa dalla Russia di Vladimir Putin nel febbraio 2022, ma senza ricorrere ai titoli di Stato, obbligazioni, quote societarie e riserve monetarie russi detenuti soprattutto in Belgio. Bocciata la linea spinta dalla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e del cancelliere tedesco Friedrich Merz. Risultato che alla vigilia non era considerato affatto scontato. “Ha prevalso il buon senso”, il commento della premier italiana Giorgia Meloni. Rimandato anche l’accordo tra UE e Mercosur che ieri aveva scatenato le proteste in piazza degli agricoltori.

È stato uno dei vertici più delicati degli ultimi anni, forse della storia intera dell’Unione. Europa stretta tra la guerra della Russia all’Ucraina a Est e la dottrina di allontanamento degli Stati Uniti del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump dall’altra parte dell’Atlantico. Kiev rischiava di rimanere senza risorse già nei prossimi mesi. 27 capi di Stato e di Governo hanno discusso. Contrari Belgio, Italia, Bulgaria, Malta e Repubblica Ceca. I leader ungherese e slovacco, Viktor Orban e Robert Fico, i più esplicitamente contrari alla linea anti-russa e più vicini a Putin. A quel punto ha preso forma una sorta di piano B.

Un prestito da 90 miliardi finanziato sul mercato dei capitali con la garanzia del Qfp, ovvero del bilancio pluriennale comunitario: saranno reperiti sui mercati finanziari emettendo debito comune. È stato decisivo per raggiungere l’unanimità il sostegno di Praga, Bratislava e Budapest a patto di avere la possibilità dell’opt-out, di non partecipare al prestito per Kiev. L’accordo è stato trovato in meno di un’ora di riunione a notte fonda. I beni russi congelati rimarranno bloccati fino a quando la Russia non avrà pagato i risarcimenti all’Ucraina.

Se non lo farà, l’Unione si è detta pronta a ricorrere nel rispetto del diritto internazionale, a quegli stessi asset per rimborsare il prestito. Se l’Unione avesse utilizzato quegli asset, non avrebbe speso risorse proprie per sostenere la resistenza di Kiev ma si sarebbe esposta a ritorsione legali da parte di Mosca. “Se sai fare il tuo lavoro, e parli con le persone, si può arrivare ad un accordo. Mi sono preparato, ho parlato con molte persone, anche se non si svelano i segreti del mestiere”, ha dichiarato il premier belga Bart De Wever, l’oppositore più strenuo del ricorso a quegli asset in quanto una società in Belgio si trovano 185 dei 210 miliardi di asset russi congelati in Europa.

“Sono contenta che abbia prevalso il buon senso, che si sia riusciti a garantire le risorse che sono necessarie ma a farlo con una soluzione che ha una base solida sul piano giuridico e finanziario”, ha dichiarato la Presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni. “Il tema degli asset rimane nelle conclusioni, ricordo che la decisione più importante sulla questione degli asset l’abbiamo già presa qualche giorno fa quando li abbiamo immobilizzati garantendo che non vengano restituiti. Nelle conclusioni si dice che l’Unione Europea, chiaramente seguendo quella che è la normativa, si riserva anche di considerare l’uso di questi asset soprattutto per ripagare il prestito che dovrà fare, ma questo è un lavoro che deve ancora andare avanti”.

Rimandato a gennaio invece l’accordo tra Unione Europea e Mercosur, il mercato comune sudamericano. Italia e Francia sono i due Paesi più contrari all’accordo che porterebbe alla creazione di un grande spazio di libero scambio con Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Bolivia. È in fase di negoziazione da 25 anni, riguarderebbe un mercato di 780 milioni di persone e un quarto del prodotto interno lordo mondiale. Chi lo critica, sostiene che minerebbe le normative ambientali e colpirebbe il settore agricolo europeo. L’accordo era stato firmato un anno fa ma affinché entri in vigore è necessario il voto favorevole del Consiglio.