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La teoria della fragilità, il saggio di Roberto Gramiccia

La teoria della fragilità, il saggio di Roberto Gramiccia

Partiamo dalla fine di questo saggio, dal titolo implacabile -Teoria della fragilità- di Roberto Gramiccia, con la collaborazione di Ginevra Amadio – Ed. Diarkos, ottobre 2025 – pp. 384, euro 19,00. Ci muoviamo al contrario, coma fa l’autore, attraverso nomi e volti, storie personali e individui all’interno della società, per cerchiare di rosso un termine centrale, tanto nel libro quanto nella società occidentale. che però si tende oggi a nascondere sotto il tappeto come si fa con la polvere: fragilità. Fragilità intesa come materiale di scarto di una civiltà e di una cultura che fa dell’esaltazione della prestazione, della forza, dell’efficienza il vessillo e lo spartiacque tra chi e ciò che è utile, e chi e cosa non lo è e va quindi emarginato ed eclissato.

Di che cosa parliamo esattamente quando parliamo di fragilità? Chi sono i fragili? Quanto hanno marcato la nostra storia in passato? Quale è il momento in cui la fragilità passiva diventa fragilità attiva e ribelle? Sono alcune delle domande che l’autore ci pone. E alle quali l’autore risponde, invitandovi ad andare oltre gli stereotipi o le risposte. Quando la società individua una persona fragile, le attribuisce in automatico un destino di perdizione, che non vale la pena indagare. Il fragile è irrimediabilmente visto come qualcuno che non ce la farà. Ma Roberto Gramiccia ribalta completamente questa narrazione, indagando a fondo i nessi impliciti che legano capitalismo e fragilità, divertendosi a smontarli. Di persone fragili che hanno scritto la storia, la storia è piena, segnala l’autore. Si tratta di persone che quella fragilità intrinsceca l’hanno scagliata contro la società, frantumandone i cristalli in mille pezzi. Si parte da Spartaco, e si passa per Enea, San Francesco, Leopardi e Gramsci, e ancora Rosa Luxemburg e Alda Merini, Diana Spencer, Mario Schifano, Gianni Rodari, Pier Paolo Pasolini, Cesare Pavese, Anna Frank, Virginia Woolf, Franz Kafka.

L’autore definisce “ fragili eroi”, con un ossimoro potente che diventa pietra angolare dell’anticapitalismo, contro cui il capitalismo si rompe la testa più volte. Del resto, argomenta l’autore, ce lo dice anche la scienza che nessuno è immune dall’essere fragile, mentre la storia ci insegna che la fragilità è la “cosa” più democratica che abbiamo, tanto quanto lo è la temuta morte, Serve dunque parlare a quersto punto di Leopardi e Gramsci, dei quali si sa che non godessero di buona salute ma che essendo invece dotati di immense risorse intellettuali riuscirono a marcare con le loro opere la storia. Così accadde anche per la rivoluzionaria Rosa Luxemburg, definita dall’autore “potente e gentile”, una delle donne che ha cambiato il corso della storia e dei movimenti politici, accusata da alcuni suoi -compagni di avere un approccio al mondo e anche alla lotta politica troppo “romantico” e poco rigoroso dal punto di vista della disciplina rivoluzionaria-. E poi Gramiccia concentra lo sguardo su Franz Kafka, definito il “più fragile degli scrittori” ma anche per questo motivo, per questa definizione, quello più potente, quello più sontuosamente fragile. Cesare Pavese non era certo considerato un leader, però è diventato lo scrittore simbolo di una generazione intera, quella del Dopoguerra, che poi animerà il Sessantotto, che l’ha segnata e plasmata profondamente, e che. La fragilità, spiega al’autore, è spesso legata alla mobilitazione, alla ribellione ad uno status di permanente sfruttamento e oblio. E poi c’è ancora un altro “fragile eroe”, Pier Paolo Pasolini. Non riusciremo mai a capire fino in fondo quanto la sua enorme fragilità sia stata in realtà il motore stesso della sua esistenza.

L’autore non dimentica però i fragili di oggi senza nome e senza volto, che la storia non la cambiano, ma spesso la subiscono sopraffatti dal mito del successo e della performance. Queste persone, a meno che non godano di protezioni particolari, sono oggi regolarmente messe ai margini della società, perché colpevoli di possedere sensibilità non conformi e di stili di vita considerati “irrituali”. Un esilio silenzioso del talento che oggi si traduce in un impressionante calo del numero di artisti, narratori, filosofi, pensatori, musicisti, attori di grande valore registrato in questo secolo a causa del dispotismo di una sottocultura tecno-produttiva-calcolante che ha finito per prosciugare le sorgenti della creatività. “Ad esso va ricondotta altresì l’eclissi di quella coscienza di classe che aveva fatto la storia del Novecento, così come la convinzione che non esistano sfruttati ma solo inadeguati, incapaci e scansafatiche…” , è l’affondo dell’autore.

Teoria della fragilità è un passaggio, più che un saggio, che ci conduce lungo i sentieri della medicina, della filosofia, della politica, della religione. Un viaggio fatto di individui, di nomi e di volti, ma anche di movimenti e sussulti di lotta di classe, di mirabili capolavori di singoli e mirabili conquiste collettive, di liriche dolci e suadenti alternate al grido possente delle piazze, tra poesia e voglia di cambiamento, alienazione e potenza delle masse. Chi oggi pensa, in ossequio al potere biopolitico che la fragilità possa essere rinchiusa e relegata senza conseguenze, dovrà dopo la lettura di questo saggio illuminante ricredersi.