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“Ebrei e israeliani assuefatti alla crudeltà di massa, è il crollo di civiltà”, intervista a Stefano Levi Della Torre

“Ebrei e israeliani assuefatti alla crudeltà di massa, è il crollo di civiltà”, intervista a Stefano Levi Della Torre

Stefano Levi Della Torre, saggista, critico d’arte, ha il dono della chiarezza analitica e del coraggio e dell’onestà intellettuali che lo portano a prendere posizioni che fanno discutere e, soprattutto, pensare dentro e fuori l’ebraismo italiano.

Sta facendo molto discutere la presentazione in Parlamento di quattro disegni di legge – Romeo (Lega), Scalfarotto (Italia Viva), Delrio e altri (Pd), Gasparri (Forza Italia), quest’ultimo con una proposta che interviene persino in ambito legale – che hanno adottato la definizione di antisemitismo elaborata molti anni fa dall’Ihra – la International holocaust remembrance alleance – che qualifica come antisemita ogni critica radicale a Israele e verso il sionismo quale sua ideologia fondativa. A lei la parola.
Lo spirito nazionalistico e identitario ha un movente fondamentale: il proteggersi dal mutamento e dalla storia. Si accentua quando si sente di non comprendere gli eventi: si parla di sovranismo quando evapora la sovranità, si parla di identità quando non capisci chi sei perché non comprendi il tuo contesto e i tuoi rapporti in esso. Come un mollusco, fai il guscio. Il guscio ideologico e psicologico. Qui siamo, mi pare, nel mondo, e tra gli ebrei che assomigliano a tutti, quanto a reazione animale. Per me una discriminante passa tra chi pensa che la storia continui con più o meno gravità o chi pensa che siamo a una svolta radicale. Quando si impose il nazismo fu (comprensibilmente) difficile per tutti, e per gli ebrei in particolare, concepire il salto. Per ragioni logiche e psicologiche si pensava che si trattasse di una questione conosciuta e già elaborata, la persecuzione, solo più grave. Invece era un’altra cosa. Pensare alla gravità ma nella continuità è normale e rassicurante. Ma era un errore e ora è un errore.

Vale a dire?
È in corso un mutamento di “natura”, né Israele, né l’ebraismo, né il mondo sono più come prima. Non si tratta di malattia, ma di un crollo di civiltà. Sia gli a-critici sia i critici moderati si rifugiano nel continuismo, nel “non c’è nulla di sostanziale da correggere”. L’essenza resta quella di prima. Questo essenzialismo rassicurante, questa cecità sulla catastrofe è il rifugio mentale dominante anche tra gli ebrei e tra gli israeliani. L’assuefazione o la giustificazione o la sottovalutazione della crudeltà di massa è sintomo di un crollo di civiltà.
La frattura attraversa tutto il mondo ebraico, non solo le diverse condizioni ebraiche ma anche l’ebraismo come specifico ambito di tradizioni e cultura. La frattura passa attraverso i criteri etici e di pensiero e anche nell’interpretazione dei testi, se vengono intesi come autoreferenzialità nazionalistica o come sapienze di comprensioni o relazioni col mondo.

Un mondo segnato dalla “strage di Hanukkah”.
La terribile strage antisemita di Sidney può darsi sia un’iniziativa personale di due terroristi ma è certo il sintomo di un clima mondiale di insorgenza antisemita, in cui tradizioni antisemite del passato si incrociano e si nutrono del massacro israeliano dei palestinesi che è appoggiato dalla connivenza diffusa del mondo ebraico e dalla sostanziale passività dell’occidente e dello stesso mondo islamico. Quel massacro è anche il segno di un conflitto, ispirato dall’ideologia dell’Isis, che attraversa il mondo islamico. Della strage di Sidney, Netanyahu ha subito accusato l’Australia, il riconoscimento dello Stato di Palestina come istigazione all’antisemitismo. Ha accusato l’Australia per disconoscere il contributo sostanziale che la reazione genocida all’aggressione di Hamas del 7 ottobre sta dando all’insorgenza antisemita. Il fatto che il riconoscimento della Palestina non si limiti all’Australia ma comprenda più di 150 Stati del mondo corrisponde all’intenzione di Netanyahu. di propagandare l’idea che il mondo è antisemita per cui Israele non ha che l’uso indiscriminato della forza per sopravvivere e del terrorismo di Stato per prevenire le aggressioni. Ora, l’interpretazione dell’antisemitismo che Netanyahu usa nella propaganda ufficiale consiste nel pensare che gli ebrei con l’antisemitismo non c’entrino niente se non come vittime innocenti e che la questione stia tutta nella testa e nella psiche degli antisemiti.

Come declinare oggi l’antisemitismo?
Sull’antisemitismo ci sono due impostazioni. La prima si concentra sulla vittima, e la vittima è innocente per definizione, il movente è tutto del persecutore. Pensarla diversamente sarebbe incolpare la vittima di quel che subisce e giustificare il persecutore. Ma questa impostazione non spiega nulla di come funzioni l’antisemitismo; ne parla come di un male che c’è perché c’è, una fatalità metafisica destinata agli ebrei qualunque cosa facciano, non resta che difendersi e rivendicare solidarietà. Ma questa idea dell’odio antisemita come di una fatalità è diffusa tra gli ebrei desiderosi di innocenza, ma è un’idea di ascendente greco, in contrasto con l’ebraismo che insiste invece sulla responsabilità (che non equivale a “colpa”) su quanto ci accade. Un’altra impostazione più realistica non si rifugia nella metafisica del Fato, ma parla dell’antisemitismo come di una perversione umana e storica, non parte dall’innocenza della vittima ma del suo modo d’essere, perché è su questo su cui fantastica il persecutore e di questo suo immaginario è del tutto responsabile e colpevole. C’è un’analogia tra antisemitismo e misoginia: è il modo d’essere dell’ebreo e rispettivamente della donna (a cui donna ed ebreo hanno pienamente diritto), a scatenare nel misogino e nell’antisemita la percezione vittimistica di doversi difendere dal loro potere, dal turbamento o dalla minaccia che rappresentano nel suo immaginario. Ciò che produce l’odio dell’antisemita (e rispettivamente del misogino) non è la diversità ma piuttosto la devianza dal modello dominante di sé e dei propri “accessori”. E la devianza ci implica ed è perciò più perturbante della semplice diversità, da cui ci separa l’estraneità, mentre l’odio è esasperato dalla contiguità sociale e dalla deviante parentela religiosa dell’ebreo e dalla parentela carnale della donna. Molto prima di qualunque colpa, è il modo d’essere della vittima ad essere elaborato da chi ne è turbato o esasperato come colpa per giustificare “razionalmente” la sua ostilità anche mortale. Nell’animo del persecutore, il modo d’essere ebreo o d’essere donna diventano colpa di essere ebreo, colpa di essere donna. Se poi al modo d’essere si aggiunge da parte ebraica una colpa reale o presunta, questo non fa che incoraggiare chi ha interesse a criminalizzare un modo d’essere come fosse una colpa.

E i leader europei come reagiscono?
A metà giugno di quest’anno, in occasione del G7 in Canada, il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha coniato una sentenza madornale a sostegno di Israele che bombardava l’Iran, insieme con Gaza e il Libano: Stanno facendo il lavoro sporco per noi. Voleva essere un riconoscimento della politica israeliana che infatti, allargando il bombardamento all’Iran e al Libano aveva inteso rendersi utile non solo a sé ma anche all’occidente, perché il suo conflitto coi palestinesi, fatto di crimini di massa a Gaza e in Cisgiordania, era troppo “privato” per ottenere pieno consenso. Ma quella sentenza del cancelliere tedesco, malgrado le sue intenzioni, ha un’eco minacciosa: gli ebrei hanno svolto spesso il “lavoro sporco” per conto dei poteri, quando questi, ad esempio, concedevano agli ebrei il privilegio di gestire attività utili o necessarie, quali l’esazione delle tasse o il prestito in denaro, o l’attività medica, precluse ai cristiani per ragioni ufficiali di dottrina ed etica. Funzioni di mediazione tra sudditi e autorità che poi si rovesciavano in motivo popolare di accusa e ostilità antiebraica in caso di crisi o conflitti sociali. in cui gli ebrei diventavano capri espiatori. Questa è stata l’alternanza tra privilegi corporativi e persecuzione lungo la storia degli ebrei nella loro dispersione tra le nazioni. E in futuro? Per l’Israele governato dalla destra, il privilegio di svolgere il “lavoro sporco” per sé e par conto di grandi poteri può essere un vantaggio immediato ma per i crimini che implica attenta alla sua autorità e prestigio, e perciò lo rende spendibile come “capro espiatorio” nel grande rivolgimento dei rapporti geopolitici nel mondo. E Israele coinvolgerebbe la diaspora in questo destino…

Quale?
Quello di pagare molto caro, in termini di antisemitismo, la connivenza occidentale e della maggioranza degli ebrei col “lavoro sporco” che l’attuale governo di Israele sta compiendo in nome degli interessi propri e altrui. Ora, di fronte all’insorgenza antisemita, da destra e da centro-sinistra ci si precipita in soccorso degli ebrei. Gasparri da destra, Delrio da centro-sinistra. Sono proposte di legge che convergono su una definizione così allargata di antisemitismo da arrivare a porre limiti al confronto tra posizioni diverse sul sionismo, sugli orientamenti dell’attuale maggioranza in Israele, molto sensibile verso se stessa ma insensibile o favorevole alla crudeltà di massa che il governo di estrema destra esercita da anni verso i palestinesi di Gaza e Cisgiordania. Una legge speciale per gli ebrei? Già questo suscita allarme.

Perché?
L’imporre a favore degli ebrei il privilegio dell’esenzione dalla critica politica ed etica, il circondare gli ebrei di un tabù, chiudendoli in un ghetto di “intoccabili”, non può che produrre ostilità verso gli ebrei e antisemitismo. Visti gli orientamenti autoritari della destra italiana, il porre gli ebrei come argomento e criterio per limitare la libertà di dibattito, da estendere poi a chissà quali altri argomenti, non è favorevole alla libertà di dibattito e di informazione, e non è favorevole agli ebrei. Incoraggia l’antisemitismo addirittura “in nome della libertà”. Credo che queste proposte di legge siano in buonafede da entrambe le parti, ma la buona fede non esenta dal comprenderne le conseguenze deleterie. C’è però una differenza: da destra, la proposta è volta a sancire un patto con la destra ebraica e israeliana per affinità ideologica, uno scambio per cui gli ebrei ripuliscono la destra italiana dai suoi ascendenti antisemiti in cambio di un sostegno senza riserve all’attuale politica di Israele, Da centro sinistra c’è invece un subire un ricatto, quello di non figurare da meno della destra nella lotta contro l’antisemitismo. Non è vero che la storia non sia maestra. La storia insegna che contro l’antisemitismo non valgono “leggi speciali” discriminanti e corporative ma valgono al contrario la diffusione di culture universalistiche e leggi a sostegno dei diritti umani. Ed è angoscioso per il destino degli ebrei, di Israele e dei palestinesi che proprio a queste culture, leggi e istituzioni nazionali e internazionali siano nemiche acerrime le destre al governo in Israele, in America e nel mondo.