I due attentatori di Bondi Beach, il padre cinquantenne Saiid Aktram e il figlio 24enne Naveed, avrebbero prestato giuramento all’Isis prima di compiere la strage di Sydney di domenica 14 dicembre. Ossia nel primo giorno della festa ebraica di Hanukkah, in cui sono state uccise almeno 15 persone e altre 42 sono ricoverate in ospedale, con la vittima più giovane, una bambina di nome Matilda, di soli 10 anni.
Secondo quanto riportato dai media locali, l’agenzia di intelligence australiana avrebbe indagato su Naveed per i suoi legami con il gruppo terrorista dello Stato Islamico. Alti funzionari coinvolti nell’inchiesta hanno riferito all’emittente pubblica Australian Broadcasting Corporation (Abc) che nell’auto dei due uomini sarebbero state trovate due bandiere dell’Isis, mentre perquisiva il veicolo alla ricerca di esplosivi. La polizia del Nuovo Galles del Sud – lo stato di Sydney – non ha ancora confermato la notizia. Naveed Akram, muratore recentemente rimasto senza lavoro, era stato inserito in una lista di sorveglianza nel luglio 2019 perché sospettato già allora di preparare un attentato. L’Asio, l’agenzia di intelligence australiana, e la polizia locale hanno confermato che l’uomo era “noto” alle autorità, ma non era considerato una minaccia “immediata”, come ha confermato anche il primo ministro Anthony Albanese: “È stato esaminato sulla base delle sue associazioni con altri individui e si è giunti alla valutazione che non vi fosse alcuna indicazione di una minaccia in corso o di un suo coinvolgimento in atti di violenza”.
Il padre Sajid invece, piccolo imprenditore locale, non era nella lista dei sospetti terroristi ed era in possesso di una licenza per detenere sei armi da fuoco. Il cinquantenne è morto in una sparatoria con la polizia dopo aver fatto fuoco sulla folla di bagnanti per oltre 10 minuti. Il figlio resta ricoverato in ospedale sotto sorveglianza della polizia, che ha perquisito l’abitazione della famiglia a Bonnyrigg, alla periferia occidentale della città, e un Airbnb a Campsie, un altro sobborgo a ovest, dove padre e figlio avrebbero soggiornato nei giorni scorsi. Secondo quanto riferito dai loro familiari, i due avevano detto di essere partiti per un fine settimana dedicato a immersioni subacquee e nuoto. Invece, si sono recati sulla spiaggia più famosa d’Australia, armati di fucili a canna lunga e ordigni artigianali, prima di aprire il fuoco contro centinaia di ebrei riuniti per l’evento “Hanukkah by the Sea”.
La carneficina poteva essere anche più grave: la polizia ha trovato rudimentali ordigni esplosivi su un veicolo nella zona dell’attacco. A neutralizzare i killer è stato l’intervento della polizia ma prima anche il coraggio di un passante che ha disarmato a mani nude uno degli attentatori. Ahmed al Ahmed, 43 anni, ha trovato il coraggio di sgusciare tra le macchine parcheggiate e saltare addosso a un terrorista, gli ha strappato il fucile di mano e glielo ha puntato contro. “Un vero eroe – dirà più tardi il premier del Nuovo Galles del Sud Chris Minns – Molte persone questa notte sono vive grazie a lui”. Il terrorista disarmato è tornato verso il ponte dal complice, che nel frattempo vedendo l’altro in difficoltà spara contro Ahmed, ferendolo al braccio. Un video girato da un drone che volteggia sopra il ponte riprende poco dopo il killer già a terra, privo di sensi. L’altro terrorista è ancora in piedi e continua a fare fuoco, da un lato del ponte e poi dall’altro, riparandosi dietro le spallette, ma gli agenti che avanzano sparando tra le auto ormai lo hanno accerchiato. Viene colpito anche lui, cade al suolo.
La coppia, ipotizzano fonti di intelligence, può aver raccolto uno dei tanti appelli lanciati dai propagandisti della guerra santa ad uccidere «ebrei e crociati» oppure sono stati innescati da qualcuno. Sotto osservazione i contatti con il centro islamico Medina Dawa ma anche un viaggio compiuto dai due nelle Filippine, zona con gruppi radicali armati. Il Mossad aveva comunicato agli australiani – ed altri partner occidentali – il pericolo di attentati. Secondo Tel Aviv c’è stata una sottovalutazione da parte delle forze locali, una polemica che è diventata poi scontro politico con il premier Albanese. Ad innescarlo è stato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per il quale le politiche del governo australiano, tra cui il riconoscimento di uno Stato palestinese, hanno incoraggiato “l’odio contro gli ebrei che ora infesta le vostre strade”. “L’antisemitismo è un cancro. Si diffonde quando i leader restano in silenzio. Bisogna sostituire la debolezza con l’azione”, ha affermato Netanyahu, citato dal quotidiano “The Times of Israel”.
“Ci troviamo in una battaglia contro l’antisemitismo globale e l’unico modo per combatterlo è denunciarlo e contrastarlo”, ha proseguito il premier israeliano, aggiungendo che lo Stato ebraico continuerà a farlo con le proprie forze di sicurezza e con il sostegno del governo e della popolazione. “Non ci arrenderemo, non abbasseremo la testa, continueremo a combattere come hanno fatto i nostri antenati”, ha concluso Netanyahu.