La Corte di Appello di Torino, riunitasi in mattinata ha espresso una sentenza, a detta della difesa, bella e carica di significato. L’imam della moschea Omar Ibn Al kattab di via Saluzzo a Torino, Mohamed Shahin, deve essere rilasciato dal Centro di Permanenza per i Rimpatri di Caltanissetta in cui è trattenuto. L’imam, da sempre è stato considerato persona di pace e dialogo. Di origine egiziana, vive in Italia da quasi 21 anni, ha due figli, uno di 9, l’altro di 12 anni, nati qui. Il 24 novembre scorso, mentre li accompagnava a scuola, era stato fermato dalle forze dell’ordine che gli hanno revocato la Carta di soggiorno – a durata illimitata – e ne avevano disposto il trasferimento presso il Cpr siciliano, non certo il più vicino. Per la sua liberazione si sono mobilitate persone, fra cui il vescovo di Torino, forze politiche e sociali, con il movimento “Torino per Gaza”.
La Corte ha accolto uno dei ricorsi presentati avverso il suo trattenimento e di conseguenza la sua espulsione, sulla base della documentazione fornita dai legali, Fairus Ahmed Jama, che ha avuto la nomina e che è stata supportata dal collega Gianluca Vitale, appurando che non solo Mohamed Shahin non costituisce pericolo per la Sicurezza nazionale e l’ordine pubblico, ma che la sua figura si è sempre distinta adoperandosi per il dialogo interculturale. L’imam si è distinto in questi anni per il legittimo sostegno alla causa palestinese, partecipando ad iniziative di lotta ed intervenendo pubblicamente. Il 9 ottobre scorso, durante una delle innumerevoli manifestazioni, aveva dichiarato che l’attacco del 7 ottobre era stato un atto di resistenza dopo anni di occupazione e repressione. Quanto basta per suscitare polemiche. Anche grazie all’islamofobia che è fortissima nelle forze di maggioranza, la frase, estrapolata dal contesto, era stata considerata un’incitazione al terrorismo.
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La deputata di FdI, Augusta Montaruli, nota alle cronache per una condanna ad 1 anno e 6 mesi, per peculato, passata in Cassazione che l’ha costretta a dimettersi da sottosegretaria e legata allo scandalo “rimborsopoli”, dal parlamento ha denunciato quanto affermato dall’imam. Appare grottesco che tale accusa giunga da chi considera Hamas – un partito politico i cui principi sono affini a quello di FdI – ma che per la parlamentare è unicamente un’organizzazione terroristica. L’onorevole Montaruli poi è fra i tanti che continua a negare che a Gaza sia ancora in corso un genocidio, in quanto tale condannato dalla Corte Penale Internazionale. Il negazionismo è quello si considerato un reato perseguibile.
Il ministro dell’Interno Piantedosi aveva avviato un’indagine e, sulla base del sospetto che Mohamed Shahin sia vicino alla Fratellanza Musulmana, una forza politica presente, con nomi diversi in molti Paesi, in Egitto illegale, ma che non è in alcuna black list, ha disposto l’espulsione dell’imam. Shahin, in attesa dello svolgimento del procedimento, poteva – al limite – essere almeno trattenuto nel Cpr di Torino, dove vive la sua famiglia, ma lo si è allontanato immediatamente e trasferito in quello di Caltanissetta, dove è stato quasi impossibile garantirne i diritti alla difesa. Per 24 ore si erano addirittura perse le sue tracce poi, grazie al fatto che in ognuno dei moduli in cui è diviso il Cpr nisseno, è presente un telefono cellulare, ha potuto contattare famiglia e avvocata. In pochi giorni, il 27 novembre, il trattenimento è stato convalidato (l’udienza si è svolta on line) e in molti hanno temuto la sua deportazione in Egitto. Durante la detenzione le mobilitazioni sono state accompagnate da numerose azioni legali. Sapendo di rischiare un rimpatrio che ne avrebbe messo a rischio la stessa vita, Shahin ha chiesto protezione internazionale e ha avuto un primo incontro con la Commissione territoriale per la richiesta d’asilo competente, quella di Siracusa, sempre con modalità on line.
Sono partiti i ricorsi al TAR del Piemonte, rispetto alla revoca della Carta di soggiorno e a quello del Lazio, per l’espulsione, ma i legali erano già pronti, in caso di esito negativo, a rivolgersi alla Corte Europea in una corsa contro il tempo. Tanti gli esempi di procedimenti di questo tipo. Uno dei legali di Shahin ci raccontava di un altro cittadino egiziano, condannato per il possesso di video di stampo jihadista. Dopo 3 anni di carcere ha usufruito dei benefici dello sconto di pena e quando questa è stata estinta, agenti di polizia lo hanno preso a casa, lasciando moglie e 3 figli piccoli e riportato in Egitto dove è rimasto in carcere per 6 mesi subendo anche torture. Da poco si sono avute sue notizie positive. Il giorno della sua deportazione era stato presentato ricorso presso la Corte Europea che lo ha accolto la sera stessa disponendone il rientro troppo tardi. Di casi simili ne accadono con frequenza. Alcuni ricordano ancora la vicenda dell’imam di Carmagnola, ma spesso sono avvenute senza neanche “ipotesi” di reato.
Se fossimo ancora in un pieno stato di diritto, oltre alla libertà di manifestazione del pensiero, per reati anche gravi, come quello di istigazione, si dovrebbe poter aprire un procedimento penale in loco e non sbarazzarsi di una persona interrompendo anche la sua vita. Da considerare poi che vari articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, proibiscono l’espulsione verso un Paese in cui si rischia di essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti. Nel caso di Shahin, le mobilitazioni – c’è stata anche una petizione per impedire la sua deportazione – e le azioni legali, hanno portato primi risultati, ma non si può abbassare la guardia. Comunque vada a finire, la vicenda ci impone di ragionare su tre considerazioni: Mohamed Shahin non rischia la deportazione per terrorismo – i nostri governi fanno affari anche quei Paesi in cui la Fratellanza Musulmana, con nomi diversi, governa – ma per il suo supporto alla causa palestinese.
I due ddl, quello di Gasparri e quello di Del Rio, che equiparano antisemitismo e antisionismo e che tentano di limitare tanto la libertà di critica ad Israele che quella di manifestare, cercano capri espiatori da utilizzare per rafforzarne la portata. Dalla segreteria del Pd ed in particolare da Elly Schlein sono giunte fortissime critiche al ddl presentato dal proprio parlamentare che invece, con esponenti della maggioranza, auspica di poter unificare il tutto in un unico progetto. Giorni fa, poi – secondo punto -il Consiglio Europeo ha votato a maggioranza un documento che ridefinisce le modalità di rimpatrio delle persone “irregolari”. Il testo, che dovrà passare al vaglio del Parlamento Europeo, definisce una nuova lista di “paesi sicuri” in cui sarà possibile effettuare rimpatri veloci e fra questi è contemplato, anche l’Egitto, il Paese della vicenda di Abu Omar, di Patrick Zaki, di Giulio Regeni.
Recentemente è stato liberato, l’anglo egiziano Alaa Abd El-Fattah ma restano, come accennato in migliaia i detenuti senza processo, sottoposti a torture, che sovente spariscono nel nulla. Non solo oppositori della Fratellanza, ma soprattutto sindacalisti, intellettuali, giornalisti, chi comunque prova a mettere in discussione un regime che per l’occidente non deve essere disturbato. Da ultimo, in preparazione della campagna elettorale, il governo deve poter mostrare il solito pugno forte sull’immigrazione, fattore di consenso. Espellere persone, additandole di costituire un pericolo per il Paese è un’antica ricetta, mai contrastata fino in fondo.