Camilla Laureti, europarlamentare Pd, prima Vicepresidente del gruppo dei Socialisti e Democratici all’Eurocamera.
Non possiamo che partire dalla strage a Bondi Beach durante la festa ebraica dell’Hanukkah. Come si sente di commentare?
Esprimendo la massima condanna verso un crimine tanto efferato. Abbiamo voluto aprire l’assemblea nazionale del Pd dedicando un minuto di silenzio come segno di rispetto e vicinanza alle vittime e alle loro famiglie. L’antisemitismo non può trovare spazio nella nostra società perché abbiamo memoria di cosa ha significato nel Novecento, l’abisso che ha determinato, e va contrastato in ogni sua forma, perché una democrazia è inconciliabile con esso.
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Parliamo della situazione internazionale. Lo sforzo diplomatico in Ucraina e Palestina sembra asfittico. Anche gli eventi di queste ore, con l’incontro di Berlino tra Zelensky e Witkoff e Kushner e poi il vertice del cosiddetto formato Washington, il confronto europeo sul congelamento e l’uso degli asset russi e la risposta feroce di Mosca, il Consiglio Ue di giovedì: il quadro è mutevole e tutt’altro che chiaro. L’Europa appare terribilmente debole…
La tregua in Medio Oriente non è affatto pace. In Cisgiordania la violenza dei coloni continua supportata dal governo criminale di Netanyahu. La Striscia è segnata da una catastrofe umanitaria epocale e irrisolta. L’obiettivo politico, quello dei “due popoli due stati”, che solo può dare speranza concreta, appare lontano. Sull’Ucraina, la situazione non possiamo dire che sviluppo prenderà. Certo è che solo l’Europa è rimasta a presidiare il diritto internazionale e le ragioni del paese aggredito. Ed è qui che l’Italia si deve radicare senza ambiguità. E su questo continueremo ad incalzare il governo Meloni: non ci si può affidare a Trump che significa affidarsi a Putin. Che pace sarebbe quella sancita sulla testa degli ucraini? Certo non sfugge che l’Ue paga lo scotto della mancanza di una politica estera e di difesa veramente comuni e la trasformazione piena in soggetto politico. Quanto potrebbe incidere, sul piano diplomatico, un’Unione capace di posizionarsi in modo unitario? Io penso molto, moltissimo. Se l’avessimo già realizzato questo passaggio cruciale, probabilmente avremmo scritto un’altra storia dei conflitti recenti. Ma come dice il vecchio adagio, purtroppo, la storia non si fa con i se…
A conferma della debolezza europea anche la National Security Strategy 2025 del presidente Trump. Come si risponde a questa strategia che ha incontrato anche il favore del presidente Putin?
L’Europa rischia di diventare una pedina in uno scacchiere dominato da opposti imperialismi, quello russo e quello americano, accomunati dall’obiettivo di scardinare l’Ue -per ciò che rappresenta anche in termini di valori- e ogni forma di multilateralismo. L’obiettivo è sostituire l’equilibrio del diritto con lo squilibrio della forza muscolare a livello globale. Un pericolo che va evitato rafforzando l’Unione. Come può la premier far finta di niente? Al contrario di ciò che vorrebbero Trump, Putin e i nazionalismi, non serve meno Europa, ne serve di più. Federale, capace di parlare con una sola voce in politica estera e di difesa. Un’Ue che si trasformi in soggetto politico vero, cessando di essere solo potenza economica. Questa trasformazione vitale risulta difficile perché la trazione nazionalista dei governi – compreso il nostro- è pressante. L’Italia in questo contesto sta diventano sempre più marginale, perché guidata con contraddizioni, divisa fra chi guarda a Mosca, come Salvini, e chi a Washington, come Meloni, e chi cerca di barcamenarsi tra queste spinte, come Tajani. Una condizione da brividi se pensiamo alla posta in gioco. Meloni pensa di potersi “salvare” coltivando un rapporto privilegiato con Trump, ma non è così. La vicenda irrisolta dei dazi lo conferma. Serve l’unione, l’Unione europea.
Cosa significa in pratica?
Significa avviare riforme, come per esempio quella per il superamento dell’unanimità nel Consiglio per interrompere la logica dei veti che diventa ritardo, quando non vero e proprio immobilismo, soprattutto in un momento in cui prevalgono i sovranismi: pensiamo al sostegno all’Ucraina o alle politiche migratorie avversati dai governi nazionalisti come l’Ungheria di Orban. Significa partire da una cooperazione rafforzata con chi ci sta. Significa investimenti comuni come abbiamo fatto con il Next Generation EU, che in Italia vuol dire PNRR, cioè unico fattore di crescita per un paese inchiodato dall’assenza di politiche di questo governo. Significa autonomia strategica europea sul piano sociale e industriale, ma anche accelerazione della conversione ecologica e digitale che sono due sfide centrali e che vanno accompagnate da finanziamenti di sostegno, difesa comune con investimenti condivisi in ricerca e tecnologia e non corsa al riarmo dei singoli paesi a scapito dello stato sociale, una vera e sola politica estera, spinta al processo di integrazione. Significa difendere gli organismi multilaterali e la giustizia internazionale, come l’Onu e la Cpi.
La scorsa settimana, ad Anversa, si è riunito l’ufficio di presidenza di S&D e i capi delegazione, a cui lei ha preso parte come Vicepresidente dei socialisti europei al Pe. Cosa è emerso?
È indubbio che la Commissione stia compiendo una pericolosa virata, nel merito e nel metodo politico, di cui come socialisti dobbiamo tener conto. C’è sempre maggiore frequenza di sintonia, nei voti, fra Ppe e destra estrema. E si tratta di votazioni su temi spesso strategici per la nostra agenda politica, penso in particolare alla transizione ecologica ma non solo. Noi continuiamo a credere in un’Europa che mantenga ben saldo il suo pilastro ecologista e sociale. Questo è il nostro faro, indicato anche nella piattaforma politica che abbiamo sottoscritto per dare fiducia alla Commissione von der Leyen. Ma questa fiducia non è un assegno in bianco, come ha ricordato sempre la nostra presidente Iratxe Garcia Perez. La Commissione deve allora cambiare passo perché il sostegno dei Socialisti non è scontato. Penso in particolare al Fondo Unico in relazione Quadro finanziario Pluriennale 2028-2034. Noi siamo profondamente contrari, e lo dico anche da responsabile per le politiche agricole del Pd oltre che da componente della Commissione Agricoltura. Non possiamo accettare, per esempio, il tentativo della Commissione di snaturare la Politica agricola comune, riducendone i fondi e accorpandoli con quelli della coesione e del sociale in unica linea di finanziamento. Non possiamo accettare che la Pac sia rinazionalizzata. In questo modo, la Pac viene infatti svuotata di forza e di senso. Perciò difendere la Pac, oggi, significa difendere la stessa idea d’Europa. Sul fondo unico non faremo sconti alla Commissione.
Domenica si è tenuta l’Assemblea nazionale del suo partito, il Pd, di cui lei è componente della segreteria nazionale con la delega all’agricoltura. La leadership della segreteria è uscita rafforzata oppure no? Il Pd nelle ultime settimane ha fibrillato non poco, anche in relazione al rapporto con Conte.
Noi abbiamo una segretaria che ha portato il Pd dove deve stare e dove, però, aveva smesso di essere. A questa direzione politica chiara, perché chiara è l’idea di paese che vogliamo costruire, si è aggiunto il lavoro per l’unità delle forze di opposizione. Questi due elementi hanno portato ad importanti vittorie alle Regionali, ad un importante traguardo prima alle europee, e sono la leva per le prossime elezioni politiche. Il Pd a guida Schlein cresce e questo è un fattore positivo che penso nessuno possa contestare. L’alternativa alla destra, la peggiore di sempre, esiste e può vincere, continuando a parlare con le persone che ci chiedono unità e risposte di fronte all’incapacità del governo, come ha ribadito la nostra segretaria annunciando da gennaio un impegno in tutta Italia per raccogliere idee e proposte per l’alleanza più importante: quella con il Paese. Il Pd poi porta nel nome la sua essenza, penso a “democratico”: le sensibilità diverse sono un elemento di forza in una formazione come la nostra, siamo l’unico partito che discute e lo fa a viso aperto. Schlein ha ribadito ciò che dice da sempre: “sono la segretaria di tutti”. Su Conte dico semplicemente questo: abbiamo il dovere di rispondere alla richiesta di unità del nostro popolo, abbiamo in questo senso una responsabilità enorme sulle spalle.
Il Governo sembra registrare un successo con la decisione del Consiglio Ue di dare via libera al regolamento che istituisce un elenco di paesi di origine sicuri. Ossigeno per il cosiddetto modello Albania?
Il modello Albania è un modello al contrario, esempio dello sperpero di denaro pubblico: 700 milioni di euro per due centri restati sostanzialmente inattivi, come certificato dagli organi di controllo (da Anac alla Corte dei Conti). Risorse che potevano essere destinate alla sanità, per esempio. Ed è un modello al contrario anche per la sua eterogenesi dei fini: nonostante quello che vorrebbe il governo, nonostante la discutibile lista europea, la valutazione di ogni singolo caso di richiesta di asilo resta infatti nelle mani dei giudici, come sancito dalla stessa Corte Ue. Quello che si determina però è un indebolimento dei diritti e delle garanzie per le persone migranti. Oltre che sui paesi di origine sicuri, anche rispetto ai cosiddetti paesi terzi sicuri solleviamo massima critica: abolendo l’obbligo di connessione, il migrante può essere deportato in uno stato in cui abbia anche solo transitato oppure con cui l’Ue ha stretto accordo dietro corresponsione di denaro. Che tipo di accordo e con quali garanzie sui diritti non è dato sapere. L’esternalizzazione delle frontiere e le procedure accelerate non sono la strada giusta, lo abbiamo già detto in occasione dell’approvazione del nuovo Patto asilo e migrazione che, infatti, non abbiamo votato. Non è la strada giusta sul piano della certezza del diritto, di cui l’Europa dovrebbe essere avamposto, e sul piano dell’efficacia, perché quello che serve è la condivisione del fenomeno -strutturale e di cui abbiamo bisogno- fra tutti i paesi europei. Una politica che vede l’opposizione dei governi amici di Meloni, come l’Ungheria di Orban. Ora aspettiamo il trilogo e l’approvazione del Parlamento, dove ci batteremo perché il provvedimento cambi. Ad oggi, essendo l’iter legislativo in corso, i centri, frutto del protocollo con l’Albania, sono illegali.